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Kaputt Muzik! Rauhnåcht – Unterm Gipfelthron

Stefan Traunmüller è uno davvero impegnato. Su Encyclpedia Metallum risulta che tiene in piedi sei progetti diversi, tra cui questo Rauhnåcht, definito pagan black metal, nato nel 2010 e che vanta una discografia fitta di EP ma con solo due album veri e propri all’attivo. Il secondo è Unter Gipfelthron (che in tedesco significa sotto il trono del picco montano, o qualcosa del genere). Stefan comunque suona tutti gli strumenti, canta, scrive le musiche e spero per lui che se la spassi perché deve farsi un buco quanto un’alce celiaca. L’album è bellissimo. Folk, epicissimo, con melodie grasse e rusticanti quanto una palla di neve piazzata al centro della vostra schiena nuda. Ispirate, imprecate e a gran voce sfidate le brache della montagna. La valanga arriva poco dopo ma non ve ne frega nulla. Questo è essere epici. Fare una cosa e fregarsene delle conseguenze. Le conseguenze generano l’epica. L’epica è come venite fuori dalla valanga di merda che avete generato dicendo oh, sti cazzi, Odino mi assisterà.

Delle cinque composizioni di Unter Gipquello che è, la più riuscita è senza dubbio la title-track: nove minuti di ruttini e cori in clean, Therion e Blind Guardian, battaglioni di riff che rullano intorno alla vostra cervicale e vi spingono a credere di essere guerrieri nobili e assetati di idromele. La musica di Rauhnåcht presenta tutta la grammatica del black più tradizionale ma senza ostentare chissà quale malignità, sono soltanto perturbazioni lungo il viaggio movimentato. Spesso poi si giunge a qualche distesa dominata da un sole progressivo, così pallido e arreso all’avanzata lasciva dei demoni tenebrali.

I brani sono parecchio lunghi ma non risultano mai pesanti, anzi, alla fine dell’ascolto si vorrebbe tornare a viaggiare con Stefan in quei luoghi strani dove ci ha portato un po’ tenendoci per la mano un po’ per il gozzo, in mezzo a latrine sanguinarie lasciate da qualche sciagurata battaglia di bezerk o magari in magiche vallate ombrose piene di mucche chiazzate di blu che discutono di alchimia, oppure sotto la barba maestosa di qualche principe millenario, addormentato fino a farsi pietra, sull’impugnatura della propria spada.