I Necrophagia sono condiserati da alcuni sedicenti esperti come la prima vera death metal band della storia. Ovviamente è un’esagerazione. Sono senza dubbio dei precursori e vanno messi in elenco assieme agli Hellhammer, i Master, i Possessed e i primissimi Death, come esempi di proto-death metal. Prototoprototoproto. Quanto mi piace mettere la parola proto davanti alle cose: proto-scopata, proto-vaffanculo, proto-proto. Ci sta sempre bene, non trovate?
Comunque, quello in cui i Necrophagia sono davvero stati i primi (e non gliene viene riconosciuto il merito mai abbastanza) è l’aver introdotto brani di film horror nel metal. Oggi qualcuno potrebbe considerarli come emuli più estremi e gretti di Rob Zombie, ma loro arrivano prima di lui e il montaggio/sodalizio sonoro tra cinema di serie Z e musica hard dell’Hi-Tec Wizard è da ricondurre alla scalmanata e oscura band di Killjoy De Sade, anima e mente unica del progetto Necrophagia.

Il disco che testimonia quanto detto sopra è l’esordio del 1987, Season Of The Dead.

Se musicalmente non ci spostiamo da un thrashettone più in linea con le asperità teutoniche rispetto alla scioltezza ginnica della Bay Area, a livello di testi siamo già proiettati oltre i muri di un vecchio cimitero olezzante, con i testi incentrati su tematiche horror sì, ma piuttosto infoiate, sadiche e mortifere, ripartendo con entusiasmo più o meno dove la rogna nichilista degli Slayer si era fermata.
Anche la voce di Killjoy è più estrema rispetto a una qualsiasi thrash band e, come nel caso di Jeff Becerra dei Possessed, il principale modello di riferimento non è uno screamer come Cronos o Tom G. Warrior ma l’attrice Mercedes McCambridge, indimenticabile e terrifica voce di Pazuzu, demone possessore della piccola Reagan McNeil in L’Esorcista.
Una volta concluso l’album, Killjoy è felice come un bimbo ma gli altri membri della band non tanto. Preferiscono mollare il progetto Necrophagia e dedicarsi ad altro. Così il pover De Sade è costretto a congelare la band e dedicarsi alle sceneggiature di improbabili e costosissimi film horror che non vedranno mai luce. Alla fine degli anni 90, grazie alla buona volontà di un fan illustre della band, Phil Anselmo, Killjoy riesuma i Necrophagia e non solo, il frontman dei Pantera decide anche di unirsi alla band come chitarrista, dando risonanza a uno dei nomi più oscuri della scena underground metal americana.
Il ritorno ufficiale è Holocausto De La Muerte del 1998, un lavoro che sorprende per freschezza, ariosità e potenza. Oltre alla componente brutale, ogni brano riesce a infondere un’atmosfera morbosa e inquietante che altre band cimiteriali hanno abbandonato in favore di una piatta predica di violenza e sadismo.

Non che episodi come Blood Freak siano passeggiatine in prati di margherite, ma al parossismo sanguinario di alcuni passaggi ultra-accelerati si alternano momenti più lenti e pregni di perversità e brama sanguinaria scatenata. Immaginate: la confessione di una creatura immonda che con voce fragile e smaniosa descrive con voluttà ogni azione disgustosa che il proprio istinto immondo la costringe a compiere. Cazzo, fico, no?
Altro elemento che spicca nella ricetta death di Killjoy è la tastiera, ispirata chiaramente ai modelli compositivi dei Goblin, Fabio Frizzi , John Carpenter: la Key è ingrediente fondamentale all’aria plumbea e rancida dei brani. È uno dei motivi per cui un disco dei Necrophagia pur essendo incentrato su un metal estremo dozzinale non annoiano mai. I brani sono ricchi di arrangiamenti, score di film, e ognuno di essi vuole trasmettere qualcosa di sinistro, malato, contaminarci con la paura e l’amore per il cinema horror più becero e intransigente.
Killjoy è un grandissimo fan di film raffinati come Rosemary’s Baby, ma il suo modo di omaggiarli è aggiungendo l’elemento carnale, splatter, sanguinario, fulciano, all’oscuro e tormentato tocco di Polanski. In Deep Inside, I Plant The Devil’s Seed “l’ inseminazione di sperma viziato, la carne vaginale contaminata conducono inevitabilmente al Vomito sul seno della donna che sta a cosce spalancate e partorisce il figlio bastardo senza luce”.
Ehm… Sarà la presenza di Anselmo ma nella rinascita dei Necrophagia di Holocausto… si aggiunge allo stile thrash/death qualche vistoso elemento groove e blues, con riff sabbathiani e da scapoccio. Cosa che non ritroveremo nel successivo The Divine Art Of Torture, dove l’amore di Killjoy per il black metal più nichilista e impenitente si fa sentire di brutto.

Frank “Killjoy” De Sade, pur rimanendo un idolo del sottosuolo metallaro putrido e sconosciuto, si è tolto un bel po’ di soddisfazioni dalla rinascita dei suoi Necrophagia, finendo con la sua band sul DVD della riedizione di Cannibal Holocaust e avviando una collaborazione con Ruggiero Deodato per la colonna sonora del suo ritorno cinematografico.
Inoltre la band ha collaborato attivamente per i propri videoclip con uno dei registi più indigesti e intriganti dell’horror moderno, Jim Van Bebber (autore degli imperdibili corti My Sweet Satan e Roadkill – The Last Days Of Jim Martin), si sono fatti disegnare le copertine dal critico dei film che mordono, Chas. Balun (R.I.P.) e si sono persino messi a disposizione per la fantasia malata e scellerata dal grande regista José Mojica Marins, che del resto loro stessi hanno omaggiato con un intero album dedicato alla figura di Coffin Joe in The Divine…
I Necrophagia registrano ancora tre album, che in fondo aggiungono poco. Nel 2018 Killjoy muore per cause sconosciute, ponendo fine alla storia della band oltre che alla propria.