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Roine Stolt’s The Flower King e il trascurabile Manifesto Of An Alchemist!

Nuova prova discografica per Roine Stolt, il 62enne chitarrista svedese che evidentemente, pur di non adempiere ai propri doveri coniugali, cerca di tenersi occupato suonando in piu dischi possibili e cercando collaborazioni (dai Transatlantic ai Kaipa ai Tangent fino agli ultimi nati Sea Within). Il disco infatti è stato registrato in appena due mesi (non una bella cosa per un album prog) e rimane un mistero se sia composto da idee abbozzate e non completamente sviluppate o da brani scartati da altri dischi; più avanti scopriremo il perché.

Vi dico subito che il vostro recensore, da amante del progressive, si è trovato in grossa difficoltà nel dare un giudizio netto a questa opera. Dopo i primi 25 ascolti necessari per farsi un idea, Manifesto Of An Alchemist risulta un insieme di passaggi mirabilmente complicati alternati a momenti di narcolessia profonda e armonie vocali fantastiche usate su canzoni inutili… praticamente, dupalle.

Dal 26esimo tentativo in poi si aprono i kundalini e appare un nuovo mondo. Echi di Yes e Kansas si intrecciano nel brano di apertura Lost America e, saltata l’inutile zavorra di Ze Pawns e Baby Angels (la tipologia del brano tritacoglioni che è presente in ogni disco prog che si rispetti) cori paradisiaci alla Spock’s beard e tentativi fusion discretamente riusciti, finiranno per confondervi e ritrattare l’impressione iniziale. Addirittura l’ombra del Maestro Roger Waters si affaccia nelle atmosfere piu soffuse e pensierose dell’album.

Oltre al capo Roine Stolt, convince molto la sezione ritmica, che è tecnica ma non invadente, composta dai due bassisti Jonas Reighold e Ronald Stolt e dal grande Marco Minnemann, il quale per una volta cerca di non strafare (tipo quello che suonava nei Dream Theater).

The Alchemist e il bel flauto di 6 Thirty Wake Up probabilmente sono gli apici di questo lavoro, che nell’insieme vince ma non convince, con 20 minuti di musica in meno l’album sarebbe stato davvero bello, ma cosa volete, la prolissità che non conduce a nulla, è la piaga che accomuna il 99% dei dischi prog del nuovo millennio.

In conclusione Roine Stolt è come il “secchioncello” della classe: ogni tanto prende 6 anche lui e torna sulla terra, con i genitori e parenti incazzati per non aver tenuto la media del 9, ma la speranza condivisa che col prossimo lavoro lo riporterà agli standard abituali.