Tattooed On My Brain è un disco dei Nazareth, uscito nel 2018 e recensito da Fabio Zanello.
In un’epoca dove molti gruppi storici del rock annunciano reunion e dischi nuovi senza rispettare i piani di lavorazione, c’è chi sceglie la concretezza come i Nazareth. La coppia di fuoriclasse rappresentata dal cantante Dan McCafferty e dal chitarrista Manny Charlton dovrebbe stare sul podio insieme a colleghi come Jagger & Richards oppure Simmons & Stanley. Ma il destino ha voluto altrimenti, poichè ai successi commerciali dei primi anni di attività come Razamanaz e Loud ‘n’ Proud, entrambi del 1973, è seguita semplicemente una fase di culto per adepti. Peccato perchè che la loro musica dovrebbe avere maggiore ascoltabilità mediatica, poichè con Tattooed On My Brain i Nazareth oltre a pubblicare l’album numero ventisei e tagliare il mezzo secolo di carriera, compiono un vero prodigio, che è riuscito a poche altre band della loro generazione.
Non solo perchè un vocalist come Carl Sentance è stato un degno rimpiazzo di McCafferty, ormai pensionato, ma perchè i tredici brani di questo prodotto, rimuovono dal nostro inconscio dischi sbagliati come Sound Elixir (1983) e Cinema (1986), avvicinandosi piuttosto a perle come Big Dogz (2011) suonate con entusiasmo ed energia contagiosa.
Si passa così dall’adrenalinica State of Emergency, che ricorda i Van Halen dei tempi d’oro anche per i virtuosismi chitarristici, al ritmato hard rock di Don’t Throw Your Love Away, una canzone quasi fuoruscita dalle menti di Gene Simmons e Paul Stanley per il pathos in crescendo; si scivola da You Call Me, una ballata blues con delicati arpeggi del nuovo chitarrista Jimmy Murrison (sic!), in grado di scatenare un’emotività febbrile ed estatica nell’ascoltatore, a brani dai riff in stile tipo AC/DC come The Secret is Out, Crazy Molly e What Goes Around.
Senza dimenticare altri brani come l’epica ed incalzante Pole to Pole e i riff corposi ma orecchiabili di Change. Qualcuno definirebbe Tattooed On My Brain un disco un pò derivativo, ma spalanchiamo pure le porte del futuro a questi arzilli veterani, che suonano rock come si faceva una volta senza fronzoli e tanti videoclip inutili.
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