Ieri mi è successa una cosa. Lo so, immagino che come apertura sia piuttosto scema. Sai le cose che sono successe? Una sola? A noi ne succede più di una, di solito. Ok, ve lo concedo. Come frase non ha molto senso, ma era per dirvi che c’è un fatto, accadutomi ieri, che mi ha spinto a riflettere. Brrrrrrr!Io sono il tipo che non crede assolutamente alla classe politica esistente. Non credo alla riforma scolastica, non credo al mondo dell’editoria, non credo al Campionato di Calcio, non credo all’amo… (ehm, no, a quello ci credo, specie quando non mi converrebbe), insomma però… io non credo a tante cose, all’umanità.
Ecco, facevo prima a dirvi che non credo all’umanità. E quando mi viene in mente un’idea, uno spunto che possa risolvere un problema di questa umanità, finisco per dirmi che tanto i politici non lo accetterebbero, la gente non saprebbe come affrontare le cose in una maniera che le tenga alla larga dai propri istinti più bassi, che questo paese, insomma, l’Italia, non ha speranze eccetera eccetera.
E tutto rimane come prima. E nulla cambia. Io quindi sono quello che dice, tanto l’umanità è sempre la stessa e non ha scampo e poi sono per primo io a smettere di provare a cambiarla e non darmi scampo. In verità io la cambio già, la realtà. Come?
Nel mio piccolo.
Seguitemi, prego. Da questa parte.
Dire “nel mio piccolo” è umile ma di solito indica una cosa grandiosa. Significa che tu, nel tuo piccolo, stai facendo qualcosa di diverso, che provi a mandare le cose in maniera diversa. E facendo questo magari non convinci la classe politica, magari non ti daranno retta fiumi di persone, ma di sicuro, crei un principio di reazioni che potrebbero, anzi, che sicuramente, possono condurre qualcosa che non va dove pensi sia giusto andare, a virare in una direzione differente.
La cosa che mi è successa ieri è di aver sentito lo sfogo di questa mia amica. Lei è profondamente amareggiata per come è ridotto il sistema scolastico italiano. Lei è madre. Il figlio va alle elementari ma non è solo per questo motivo che ce l’ha tanto con la Scuola di oggi. Noi tutti siamo interessati a intermittenza al sistema scolastico. Quando i nostri figli vanno a scuola, allora ci interessa. Appena ne sono fuori, allora ce ne freghiamo. Spesso finiamo per fregarcene, quando ancora i nostri figli sono dentro quel casino, ma non giudichiamoci troppo, la vita è dura, e a volte uno deve pensare a cose più concrete, tipo la dose di eroina, l’ultima stagione di Games Of Thrones o magari la nuova dieta priva di verdure (che gonfiano e ora si dice, pensate un po’, che rallentino il metabolismo, causa quindi, ecco porcatroia, di tanti insuccessi dovuti personali con le diete a base di verdure a volontà).
I figli dovrebbero essere il nostro primo interesse, il nostro primario pensiero angoscioso, ma la testa dopo un po’ allenta, ci permette di respirare e così finiamo per non badare molto ai nostri figli.
Poi però a Natale veniamo convocati a scuola per la recita di fine anno e scopriamo che la preside ha organizzato una specie di spettacolo in cui un presentatore tiene a bada i giovani alunni con intimazioni e qualche epiteto, e la loro “recita” consiste nel vederli seduti per due ore sul palco, mentre una serie di rappresentanti di qualche associazione umanitaria contro la droga, arringano la folla dei genitori, con problemi seri, per carità, scottanti, ma senza far nulla per comunicare con i bambini che stanno dietro e renderli partecipi di questi problemi.
Potevano fargli fare un incontro con gli adulti dopo Natale. E la recita?” Un paio di canzoncine sul Natale all’inizio, tutti insieme a fingere di cantare su un nastro registrato dove bambini del tempo di Sergio Endrigo, coreggiano di alberi e legni e case carine.
La recita era quella. Però io non voglio usare ‘sto post per parlarvi della scuola e il casino dell’istruzione. Voglio parlarvi di una cosa che ci riguarda davvero da vicino, vale a dire: il nostro piccolo. Questa mia amica ha passato una giornata difficile, perché dopo aver tentato di sollevare un dibattito sulla scuola che fa schifo, su facebook, ha riscosso poco o nulle reazioni. Qualche battuta, una manciata di like e il nulla del nulla. Si è depressa. Si è sentita inutile e ha provato un senso di grande impotenza e rassegnazione.
Lei però è una buona insegnante, fa ripetizione a diversi bambini, partecipa a un corso di recupero in cui mette tanto entusiasmo e passione, alla faccia della prof di ruolo che assiste alle lezioni della mia amica come se avesse davanti una povera Heidi appena scesa dai monti delle caprette.
Come se non bastasse lei sta tirando su il figlio a sani principi, gli fa svolgere le ricerche usando “i libri” e non wikipedia. Gli sta trasmettendo l’amore per la letteratura, lo sta tirando su bene. Però è sempre più frustrata perché vede la scuola ridotta un disastro e i genitori che in mezzo alle macerie si limitano a lamentarsi per i troppi compiti e a fare come dice Galimberti, da sindacalisti per i figli.
Vorrebbe sensibilizzare gli altri papà e mamme, scuotere la scuola, organizzare un dibattito con gli insegnanti, ma c’è una calma piattissima. Disinteresse, stanchezza, ignavia, direbbe Dante.
Al che io non ci sono stato e le ho detto che lei sta già facendo tantissimo. Nel suo piccolo sta aiutando un figlio a crescere come lettore, educandolo a pensare e accettare le proprie differenze, sta aiutando dei bambini ad amare i libri e divertirsi nello studio, sta recuperando dei fuori classe prossimi alla rottamazione. Io credo che sia tutto quello che lei debba fare.
Dobbiamo vivere secondo i nostri principi e fregarcene di quello che non succede, dei politici lassù, che si comportano come se non esistessimo. Dobbiamo, secondo me, cercare di rispettare noi stessi, dare ai nostri figli l’amore e la passione che ci tiene in piedi. Solo così cambieremo qualcosa. Non tutto. Qualcosa. Ma è molto, nel nostro piccolo c’è l’oceano.
Perché se io insegno a mia figlia ad amare i libri, lei crescerà e trasmetterà questa passione ai suoi e così via. Sarà una donna consapevole, complessa ed educata a riconoscere e tradurre ciò che prova in parole e quindi a comunicare ciò che ha dentro. Non la educo alla sofferenza, ma ad articolare pensieri e considerazioni intorno alla propria sofferenza, che se non fosse in grado di riconoscere e definire, esprimerebbe come un lento gemito isterico da piedi a un letto di solitudine. E influenzerà delle persone, questa mia figlia illuminata, dei bambini.
Si tratta di un fiumicello di buone cose che si inoltra giù per il culo di una montagna inerte e congelata, ma è qualcosa. Un fiume che parte da me. Nel mio fottutissimo piccolo grande tentativo di fare della mia vita ciò che credo sia giusto.