Grand Guignol Orchestra è il nuovo album dei Pensées Nocturnes, uscito nel 2019 per i cazzi propri (indipendent) e recensito da Francesco Padrecavallo Ceccamea.
I Pensées Nocturnes sono una meraviglia, almeno al primo impatto. Forti, non c’è che dire. Immaginate una cricca di malati di mente vestiti da pagliacci che distruggono, ululano alla luna, stuprano galline, si tagliano, cantano, piangono, ridono e spaccano strumenti musicali. Non ve lo sto ordinando di immaginare ‘sta merda, sarà la cosa più naturale del mondo che farete, vederla con il vostro occhio cerebrale: la musica vi spingerà il culo della fantasia verso uno scenario debosciante e sinistro, fatto di mostri vestiti da clown. Vi domanderete cosa possa essere capitato per ridurre degli uomini a un tale stato di larvale perversità. Le 10 tracce ingarbuglieranno solo di dubbi le vostre caviglie.
Non scherzo, la musica dei Pensées Nocturnes è un’orgia costante di caciara, delirio, Pannywise in doppiacassa, una poesia livorosa incorniciata da ritmiche blast-beat, rullame estremo, un po’ di cazzofigajazz e infine ancora, imbarazzante dolore di chi è ubriaco a merda e piscia lacrime davanti a voi e i vostri figli mentre cercate di finire la pizza al ristorante.
Le visioni si affastellano (significa che si accumulano) a mano a mano che si procede con le tracce: risate sguaiate, ingiurie, versi d’amore a qualche donna morta (ma ancora calda) e poi fiati e fiatella, esplosioni, minacce di morte, esecuzioni in chiave di basso; e tutto ciò avviene in Deux bals dans la tête ma anche in L’Alpha mal o magari L’Etrangorium. Bello, tutto seducente ma cazzo, tremendamente impaludato dentro la propria stessa idea di partenza.
In fila si succede il gran carrozzone d’Inferno così temuto dalla società coulrofobica (che vuol dire paura dei Clown). E vi dirò, gli autori del disco potrebbero anche essere dei musicisti affetti da tale fobia, qualcuno magari li ha tramortiti, vestiti da pagliacci e lasciati in una enorme stanza di specchi tipo quella del nuovo Suspiria di Guadagnino, e poi ha messo un otto piste a registrare tutto quello che succede, quando i poveracci si svegliano e bum! a fianco trovano nell’ordine:
-uno strumento da suonare (o con il quale difendersi)
-qualche bottiglia di grappa
-piatti pieni di coca
-e tanti pagliacci terrorizzati tutt’intorno, che si tappano la bocca e si indicano tra loro o negli specchi.
C’è di tutto musicalmente, i brani, cantati in francese, vanno in progressione, senza una struttura ballabile o cantabile, diciamo così. Declamabile magari sì, deprecabile soprattutto. Dai meandri onirici e buffoneschi di Fellini/Rota, alla Santa sangria di Jodorowsky, il sesso sporco e la polvere da sparo del maestoso Ballata triste de trompeta di De la Iglesia e i Darkthrone.
Innegabile il riferimento stilistico principe agli A Forest Of Stars, tra le altre cose, se vogliamo proprio parlare di musica. L’ensamble inglese indica infatti ai Pensées Nocturnes la via per accogliere nel medesimo sacco compositivo praticamente tutto e il contrario di tutto.
Quando poi irrompe la Titina (Poil de lune) resa celebre da Chaplin (ma scritta da un certo Léo Daniderff) in chiave brutal grind, con tanto di ottoni e cori lirici, sembra davvero di aver trovato un pescione temibile, nel mare metallum dell’underground più audace.
Peccato che andando avanti il disco riveli il limite di tutta la cosa. Si tratta di un progetto, come quasi tutto ciò che è black metal (ma diciamo proprio metal e basta, da dieci anni in qua). Non esiste una band, suona tutto un certo Vaerhon. che poi si fa le foto vestito da clown psicopatique con altri sgherri e finge che ci sia una commistione di varia cicciosità, ma è tutto cerebro e digital factory di lui meme.
Poi dal vivo fanno il gruppo, come i Satyricon e compagnia, e hanno anche un discreto seguito e una buona resa ma che in confronto alla fantasia pura scatenata di chi ascolta le musiche di un album come Grand Guignol Orchestra, deludono.
I Pensées Nocturnes sono un gruppo che fa headbanging e black metallism: c’è lui al centro, trombone puntato sulla folla e poco istrionismo sbrodolato dall’alcol. Che va bene ma è troppo poco, cazzo. Ci vorrebbe una troupe di ballerine tossiche, nani pederi, cani mutilati, cavalli inculati, una cosa tipo il Cirque du soleil virato al Satana, mentre invece c’è solo un gruppo che non può o non vuole essere all’altezza della musica che suona, e forse saggiamente, dell’immaginazione provocata nella testa della gente che ascolta la musica che il gruppo stesso suona.
E questo non è neanche il primo disco che fanno. Vaerhon ne ha realizzati tipo cinque e pure ora non c’è una label vera a supportarli. Segno che nonostante un bel prodotto, un talento innegabile, i Pensées Nocturnes se la stiano giocando maluccio.
Facciamo finta di non averli veduti su You Tube e torniamo alla musica in cuffia. Il concept della Pagliacci Band (una versione per adulti, molto per adulti della Insane Clown Posse senza parti rap e molto sangue e violenza) è solo un concept.
E più che una band, Pensées Nocturne sono una sorta di istallazione acustica, un’idea artistica messa in carne appesa a sgocciolare su pentagrammi, e che esaurisce il proprio scopo suonando se stessa.
Era troppo chiedere delle canzoni vere. Ormai non vanno più. Non ha senso scriverne, tanto nessuno le compra, no? In fondo il manicomio è servito e quando finisce l’album siamo sazi di tutta quella bolgia col cerone e i nasi a palla che hanno affollato e fatto bagordi con la nostra testa. Siamo sollevati che ciò che sentiamo su disco non sia accaduto davvero, se non in qualche anfratto del cervello di Vaerhon (talento eccezionale, in ogni caso, da tenere d’occhio)
Grand Guignol Orchestra dei Pensées Nocturne è una sorta di Leoncavallo-Sade, se vogliamo.