a pale horse named death
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A Pale Horse Named Death – Ancora non ci siamo ma…

When The World Becomes Undone è l’ultimo album degli A Pale Horse Named Death!

Che nome straordinario… è meglio di Type O Negative e Life Of Agony, per quanto mi riguarda. Per il resto fermati lì. Sal Abruscato è stato sia nei TON che i LOA e sono un po’ di anni che è alle prese con questo gruppo le cui premesse restano interessanti ma ogni volta disattese da lavori (questo è il terzo album in quasi dieci anni di vita) più o meno irrisolti.

Nulla di male, dati i tempi. E un disco come When The World Becomes Undone stavolta è quasi una roba d’alto livello. Quasi. Ci sono le buone canzoni di una volta. La tikketetrakkete per esempio è il più bel pezzo che gli Alice In Chains (non) abbiano mai scritto da quando si sono rimessi assieme senza Staley. Buuuum!) e poi c’è stile.

Leggete che liriche, per dire:

When your children close their eyes
They will dream of a paradise
When their tears turn into blood
When the world becomes undone, yeah

When your love has fallen apart
You will have deflated heart
When their dreams turn into blood
When the world becomes undone, yeah

Metteteci sotto un giro di piano semplice ma da paura (cazzo, saranno tre accordi, ma così potenti da farvi scorrere davanti agli occhi la fine dell’amore, della salute e della speranza) e il gioco è fatto. And You Are of the Catto! Maooooo!

Anche Love The One To Hate è grandiosa, magari fin troppo TON ma c’è un bridge al centro da strapparsi la criniera per l’emozione. Al minuto 1 e 41 secondi, per essere precisi: quando la sciarada beat-doom si blocca e parte un riffone basso che apre la portiera in faccia alla disperazione pura del Dada di Alice Cooper.

When The World Becomes Undone è una specie di concept che mescola funerali, rituali sinistri, autocompiacimento e livore, struggimenti grunge e lisciabussi stoner-doom. Un lavoro a tanto così dal colpaccio con cui gli A Pale Horse Named Death fanno comunque capire che, se non riescono a essere ancora maturi, bisogna continuare a dargli fiducia, perché la classe c’è.

In fondo non esiste in giro una band capace di riesumare gli anni 90 (dai Type O Negative di Bloody Kisses fino ai Chains di Dirt, i Soundgarden del periodo d’oro, qualche bell’assolo indiavolato alla Zakk Wylde dei primi tempi meno sboroni con la BLS) in modo così privo di scrupoli ma efficace. A tratti sembra proprio roba grossa, ‘sto album, davvero. Poi ci svegliamo e vediamo che il cellulare è pieno di messaggi del 2019. I bei tempi sono finiti e questi colori davvero non corrono più.

E bisogna ammettere che a momenti di indiscutibile ispirazione (vedi Lay With The Wicked, in stile BOC e Dreams Of The End, che ricorda i Paradise Lost del periodo goth 2002-2007) WTWBU spara anche qualche brutta loffa alternative metal (We All Break Down) e ci sventola davanti al naso un paio di sipari dark-doom manieristici da starnuto incessante (Vultures).

Il nome resta ancora la cosa migliore degli A Pale Horse Named Death, ma attendiamo pazienti che prima o poi arrivi un disco altrettanto degno.