Purgatory è l’EP dei Jon Schaffer ‘s Purgatory, uscito alla fine del 2018. La recensione è a cura di Alessio Mazzoni, cavallo da zolle dure.
Torna solo dopo un anno dall’ultimo album dei suoi Iced earth il chitarrista con la bandana, il mitico Jon Schaffer che per l’occasione richiama a se i vecchi compagni di merende Purgatory, band con cui esordì oltre 30 anni fa. Difficile capire bene il significato di tale operazione.Il buon Schaffer, ormai miliardario, decide di far guadagnare due soldini anche ai vecchi amici? Oppure, e io da buon maligno complottaro opto per la seconda opzione, il bandanato, vedendo che da ormai piu di 20 anni non produce un disco di rilievo, richiama i vecchi sodali e si gioca la ultime carte per impietosire l’ascoltatore a comprare i suoi dischi?
C’è da dire che una mossa la azzecca. In un epoca in cui i dischi durano davvero troppo e non come una volta quando i vinili contenevano il minutaggio, far uscire un EP offre due possibili risultati: se il disco è buono puo far crescere l’attesa per il lavoro completo, se si rivela una schifezza invece puo far sospendere una partita di serie A senza grossa spesa, lanciando fortissimo e di taglio il cd verso il guardalinee che ha appena segnalato in fuorigioco il tuo giocatore preferito
Veniamo comunque al punto fondamentale, il disco che si apre alla grande con In Your Dreams canzone che in 5 minuti ci fa il riassunto di cosa significhi Us Metal, ritmi non veloci con voce stentorea che ci riporta ai vecchi anni 80/90 epoca in cui avevamo tutti i capelli e non avevamo il fiatone a fare un piano di scale.
Si continua sempre su buon livelli con le successive due canzoni che però iniziano a evidenziare piccoli problemini come la poca duttilità del cantante Gene Adam e l’annoso difetto di Jon Schaffer a comporre assoli memorabili, anche se va detto che le lead guitar sono in combutta con quelle di Bill Owen, perciò è difficile dare responsabilità precise a uno o l’altro.
Il disco scorre via piacevolmente fino ad arrivare al brano forse piu rappresentativo e cioè Burning Oasis, altro gran pezzo che chiude l’EP lasciando l’acquolina in bocca per ciò che potrà essere il cd completo. Non siamo ai livelli di Something Wicked This Way Comes o dei Demons & Wizards, ma in tempi bui del metal come questi, possiamo considerarla una ventata di aria fresca.
Da dire che i testi non sono per niente originali visto che parlano dei principali serial killer della storia (forse solo i Manowar e Jovanotti sanno fare di peggio) e che il disco è dedicato al bassista originale degli esordi, Richard Bateman morto di infarto a pochi giorni dall’uscita del disco.
Ripeto e ribadisco: non un disco epocale ma, in tempi di shoegaze mathcore nu metal e nullità simili, sta roba è oro colato.