Sant Et Or è un disco degli Erlen Meyer, band francese e bla bla bla.
Non so mai cosa pensare quando vedo che un gruppo arriva dalla Francia. Di solito non mi entusiasma. Non c’è mai niente di classicista nelle band franzose. Sembrano tutte intrigate dal rumore, l’osticismo, la sperimentazione. Slugde, Doom, Black… siamo lì e gli Erlen Meyer (nome proprio di persona, per la precisione un chimico tedesco vissuto tra 800 e 900) sembrano trovarsi a loro agio in questo guazzabuglio creativo. E bisogna ammettere che però se la cavano. Non sembrano i soliti sapientoni che si baloccano con le distorsioni svervegiche, in ritardo di 30 anni, e credono con due moine rumoriste di creare qualcosa di artisticamente valido.
Cantano nella propria lingua, e questa è già una bella cosa. Vorrei che si tentasse di più un metal cantando come se magna, senza quel patetico inglese internettaro che oggi blaterano tutti quanti.
Inoltre nei pezzi c’è un lavoro di chitarre intrigante. Troverete la solita sbobba estrema, però imbastita in modo cosciente e attento ai dettagli. Dove si urla, dove si spinge sull’atmosfera, niente è dato al caso. Direte, sarebbe il minimo. Vi assicuro che non è così. Molte band underground hanno molta meno padronanza del caos che combinano, anche se alla fine gli mettono un titolo e lo delimitano in un minutaggio dichiarato.
C’è anche qualche bella digressione prog, come in Rouge Cardinal, dove verso il quinto minuto parte il theremin, che è una roba da secchioni, ma ci sta bene. Mentre nella successiva Vipéres (il brano più vicino a certe atmosfere post-black) la seconda parte si gonfia in un coro lugubre da cenacolo esoterico andato in merda per il vino sbagliato.
Vengono in mente i morti ciechi di Amando De Ossorio che entrano in un locale di universitari sciccosi con la maglietta dei Darkthrone e li decapitano tutti quanti con i loro spadoni.
Da notare anche la conclusiva Trompe l’Oeil, che pittoricamente è un quadro che genera inganno in chi guarda. In senso letterale infatti significa “inganna l’occhio”. Intitolarci un pezzo musicale è non si sa quanto provocatorio o forse un po’ scemo. Ma vi incoraggio a seguire la scia sonora degli Erlen Meyer. Un tipo parla in francese e che io sia dannato da un testicolo se ci capisco qualcosa, però c’è un crescendo sinfonico sul basso sporco e cadenzato, una roba epicissima che non c’entra un cazzo ma finisce per raggiungere un effetto quasi emozionante.
Quasi. Perché questi dischi undeground non vogliono mai commuovere. Sembrano sempre più impegnati a farci odiare l’Università. In ogni caso gli Erlen Meyer sono una realtà interessante, non lasciateveli svaccare. Non ci scaldiamo come i tipi hipster di Metal Injection e Metal Sucks, però via, magari un giorno saranno qualcosa.