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Iron Maiden – Fase 3: allungare il brodo!

Se vi siete persi la prima e la seconda parte, cliccate qui e qui)

2007-2010

Sul discorso della lunghezza qualche giornalista si è spinto a domandare a Harris: “quasi ogni pezzo sembra non sappiate come farlo finire. Dopo cinque minuti ripartite daccapo con il riff, poi di nuovo i cori, in coda ancora l’arpeggio dell’inizio, in una specie di false conclusioni che spingono la composizione a livelli sempre più titanici e ridondanti.

E lui ha risposto una cosa molto sensata. A detto più o meno così: “appena inizi a fare musica sei giovane e vedi le cose bianche o nere, quindi è tutto più immediato, semplice. Con gli anni le cose guadagnano un sacco di sfumature e quindi non è più tanto facile dire ciò che hai da dire in quattro minuti. E i pezzi rispecchiano questa visione complessa.

Gli Iron Maiden hanno una media di 60 anni, circa. A quell’età come diventa il metal?

Di sicuro la band ha iniziato a dire un sacco di cose e a usare molte strofe per dirle. Spesso i pezzi sono lunghi anche perché i testi sono lunghi. Raccontano storie, hanno una progressione narrativa delle volte piuttosto avvincente. A detta di Harris, la band prima scrive la musica e poi le parole, ma nel tempo il bisogno di raccontare è cresciuto. Tipico della terza età.

Ma non solo racconti, anche confessioni. Ha cominciato proprio lui, Steve, al tempo di The X Factor a usare i pezzi come occasione per esprimersi dalle profondità della propria anima, non solo per dire stronzate su astronavi e killers o figli settuagenari.

Nel 1995 Steve era depresso per l’abbandono di Bruce, entusiasta in modo irragionevole per il sostituto Blaze (ulteriore segno di confusione mentale, e squilibrio). Il bassista cercò di metabolizzare con le nuove canzoni il divorzio dalla prima moglie e la perdita del padre, a cui era molto attaccato. I testi del disco appaiono oggi cupi, sembrano vagare in cerca di una risposta che non trovano. La musica rispecchia questo randagismo un po’ spompo.

La band preferita di Harris nel 1995 sono i My Dying Bride, al punto di volerseli portare in tour. Tanti ragazzi si sono avvicinati al death doom inglese proprio grazie ai Maiden che li hanno scelti come spalla. Buona parte del pubblico però non ha capito e non ha accettato la presenza di una band così atmosferica e cupa, insieme agli Irons. Eppure Harris era in loop con Turn Loose The Swans. Quasi nessuno ha riscontrato un’influenza di questo genere in pezzi come Look For The Truth, eppure in qualche modo c’è stata una risonanza di certi ascolti, magari maldestra da parte di Steve, però è innegabile che per lui, il periodo 1993-1995 sia stato a dir poco tetro.

Tornando alle canzoni verbose degli ultimi cinque album, le musiche li racchiudono con un certo criterio contestuale, a volte in modo equilibrato e altre come vesti sgraziate, troppo smisurate e stilisticamente sconclusionate. Con il ritorno di Ringo… ehm Bruce, il compito di scrivere le liriche se lo sono spartiti lui e Harris.

Metà uno e metà l’altro, ogni disco è frutto di questi due parolieri. Il contrasto stilistico dei testi è abbastanza evidente, del resto. Dickinson spesso se la cava meglio, ma talvolta è fin troppo audace e presuntuoso. Steve non è malaccio però si capisce che le parole non sono proprio come le svise sul basso, per lui. Scrive strofe su strofe e dice delle cose ma a volte i suoi versi sono meno a fuoco rispetto a quelli di Bruce.

Bruce però è troppo rigido e orgoglioso e si incaponisce sulle lyrics che ha messo nel brano. Tra lui e Harris le discussioni dopo la reunion vertono principalmente su questo: Steve vuole che Bruce cambi una parola e ne usi un’altra con un suono più adatto al riff o le battute del giro e Bruce si indigna perché secondo lui la parola che ha scelto è quella e non ce ne possono essere altre a sostituirla!

Se in ogni caso siete tra quelli che hanno sentito gli ultimi album dei Maiden e si sono lagnati per la mancanza di idee, la lunghezza dei giri e le solite cose, vi invito a mettervi seduti, con il testo davanti, magari tradotto (su internet ormai se ne trovano con facilità di decenti) e godervi i brani cercando ci associarli alle parole. Vi si apriranno dei mondi apparentemente perduti.

Provate con Paschendale o Dance Of Death, The Legacy o Benjamin Breeg. Ma il vero motivo che porta la band a scrivere quelle suite estenuanti non è del tutto spiegato ancora.
Prima di esaurire l’argomento però diamo spazio ai due ultimi lavori: The Final Frontier e Book Of Souls.

(Fine terza parte)