Dream Theater – Fate pace con Portnoy e litigate con LaBrie!

Distance Over Time è un disco dei Dream Theater uscito a Febbraio 2019

Questo è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare. E puttanaccia vacca tocca farlo a me, che son già pieno di problemi. Bene, ora i miei problemi saranno controtempati in 7/16.

Si perché sai com’è, quando si parla di Dream Theater son sempre cazzi; cazzi col tapping a due mani.

Nel 2019 sono esattamente vent’anni che ascolto ‘sti smanettoni e sono letteralmente passato dal farmeli piacere, ad amarli, a idolatrarli, al “vabbè, siete sempre nel mio cuoricino, però a ‘sto giro passo”, al rigonfiamento testicolare, fino ad arrivare al “ve possino mortacci vostra, voi, quel cazzo di ipad che fa gli assoli, le suite da 34 min, sto cojone che canta… pure tu muto nippone cazzo c’hai da stare zitto!?!?””.

Che palle.

Se poi ci mettiamo pure che i signori qui ci avevano lasciato con quella tortura inquisitoria di The Astonishing, una bella merdata di due ore che credo non riascolterò mai più nella mia inutile, ma mai inutile come quel disco, di vita. Immaginate quindi con che voglia mi sia approcciato a questa nuova creatura partorita dai Sheldon Cooper del metal.

Ah già, ci sta pure il fatto che i primi due singoli mi hanno fatto cagare molle… wow che gaudio. Ma, come dicevo prima: qualcuno dovrà pur farlo.

Ok, l’ho fatto e se sono qui a scrivervi significa che i coglioni non sono esplosi scatenando un’onda d’urto da radere al suolo il mio palazzo e uccidendo il vicinato: che tra parentesi è esattamente quello che speravo, giusto per farmi due risate.

Scordatevi il track by track che tanto non serve a un cazzo, parliamo del disco in sé: non è male. Non fraintendetemi, anche questo lo ascolterò ancora giusto un altro paio di volte e poi via nel dimenticatoio, ma ha delle potenzialità.

Come dicevo prima, a mio parere i due singoli sono la parte peggiore del disco, e per quanto mi riguarda è sempre una bella cosa. Abbassare le aspettative per poi ammiccare all’ascoltatore con un ” eh?!?!?sentito che roba? cioè ma tu veramente credevi che noi… cioè quelle due canzoni li… ma va là va scemotto. Ascolta qua che roba!”.

Bene o male è andata cosi con questo Distance Over Time, solo che, oh brutti cazzoni, se non mi fate canzoni che non dico memorabili, ma degne del vostro nome, tanto vale che entriate anche voi nel fantastico mondo degli Iron Maiden costellato di cofanetti, live, live, live, cofanetti, live, disco, (ripetere). Tanto che ve frega? Questo è un disco svogliato, prodotto bene, suonato bene, mah… mah… mavaffanculo mi vien da dire. Il ragazzino è bravo ma non si impegna.

Qualcosa di bello c’è. Ovviamente ogni tot saltano fuori cose tecnicamente assurde, anche se Petrucci che ti fa il giro di Do con la chitarra fa salire il crimine, ma Mangini per dire fa un lavoro della madonna, se si pensa poi che è uno che tiene i piatti della batteria appesi come le nonne tengono le pentole di rame in cucina. Pure il muto e lo smanettone alle tastiere ci danno dentro, ma è proprio questo che fa incazzare: mancano le canzoni punto. PUNTO.

E poi c’è LaBrie. Io non so più come offendere quest’uomo. Giuro. Mi spiace perché mi sta anche simpatico, ma lui non canta, lui la canzone la interpreta come un attore di soap opera sudamericana. E poi strilla. Tu sei il fastidio LaBrie capito??!?!?! Il Fastidio!

Concludo perché altrimenti mi incazzo, ma una cosa mi viene da dire ai Dream Theater: fate pace con Portnoy e litigate con LaBrie. Vi prego.