The Heretics, il nuovo disco dei Rotting Christ uscito questo Febbraio 2019
Incredibile ma vero: anche nel paese dove si può fare il bagno al mare in pieno inverno, e la neve la si può vedere ogni volta che i Ghost producono un pezzo decente, anche lì, In Grecia, si può udire del buon black metal. E da dal lontano ’89 i Rotting Christ ce lo testimoniano egregiamente.
Band che non ha bisogno di presentazioni, ma per chi di black metal non se ne fotte una beneamata pita, si tratta del gruppo più famoso della terra d’Iliade, nonché il facitore di musica più satanista (ora piovono gli indignati) e blasfema di tutto l’Egeo.
Molto atteso dai fan più incalliti e meno, Heretics è l’ultimissimo album dei due fratelli Tolis, uscito il 15 Febbraio scorso sotto la label Season of Mist.
Che dire di questa ultima produzione… Che è un guazzabuglio di idee, influenze confutabili, cori e poemi. Troppi cori. E anche troppi poemi.
A tratti c’è del pagan (proprio così), del death metal e ad altri del black un po’ troppo melodico e mieloso. E neanche le collaborazioni con Irina Zybina dalla band russa Грай (Graj), artefice dei vocalizzi in Vetry Zlye e di Melechesh Ashmedi in The Voice of Universe possono smuovere dallo stato catatonico che l’ascolto di The Heretics ti induce.
Intitolato “Gli eretici”, tuttavia, non vediamo più la nomina inconfutabile ed esplicita del nostro compagno di giochi Satana, il quale non viene mai nominato se non con la definizione di angelo caduto. Sakis, qui sembra aver fatto i suoi compiti a casa e ha, dunque, ben pensato di inserire ottime citazioni come quella tratta da “Il racconto d’Inverno” di Shakespeare, pezzi del poema epico Il Paradiso Perduto di Milton e altre saccenterie. Il risultato sono delle lyrics dall’alto potere drammaturgico e sensate, tutto sommato in linea con gli standard soliti della band.
Heretics, però, ti lascia impassibile. A tratti dimentichi persino di ascoltare. Ho dovuto persino rimettere da capo il disco e forzarmi di stare attenta. Sembra quasi di ascoltate un timido debutto di una band emergente e non l’ultimo di un nome storico e autorevole, se non per qualche pezzo che ricorda sommariamente il precedente Rituals.
Per quanto si possano apprezzare l’evocatività di tracce ben riuscite come The voice of Universe, con le sue percussioni e i cori celebrativi che donano la tipica atmosfera da messa blasfema, o Fire God and Fear a The Heretics manca la personalità. Tutto appare semplice e immediato, ma sotto i livelli di guardia della pura banalità.
Se lo si paragona al precedente Rituals, del 2016, in The Heretics c’è un abisso che nemmeno Huysmans potrebbe descrivere.
Da tanti anni siamo al corrente che Cristo sta marcendo ma dopo questa ultima release, anche la band stessa mostra segni di muffa. Ci frega poco degli scatti fotogenici di Sakis sulle più rinomate riviste metal, qui abbiamo il disperato bisogno dell’intervento di Saratoga assorbi-umido-contro-alghe-muffe-e-licheni. E anche piuttosto urgentemente.