Lords Of Chaos è un film di Jonas Akerlund, realizzato nel 2018.
E anche qui a Sdangher è arrivato il momento di scrivere qualcosa su Lords Of Chaos “dopo averlo visto”. Ne abbiamo scritto troppo prima della visione e adesso bisogna dire qualcosa “dopo” la visione. Qualsiasi cosa leggerete io parlo a nome mio, non so cosa ne pensino gli altri sdangheri del film. A me è piaciuto. Lo trovo la miglior cosa possibile tenendo presente che è basato su un mega-faldone di sensazionalismo, buone interviste e congetture oziose, che altro.
Nell’ultimo anno ho visto altre due pellicole sul metal. Una commedia e un dramma. Heavy Trip (film ambientato in Finlandia) tra luoghi comuni e facili risate, tira fuori un quadro abbastanza inquietante sull’attitudine metal di tante menti borchiate d’Europa. Il secondo, Metalhead, l’ho recensito per Nocturno qualche mese fa ma risale al 2013. Si tratta di un piccolo film toccante che cerca di raccontare lo stesso momento storico di Lords Of Chaos però visto da fuori. Vi consiglio di integrarlo al film di Akerlund. Ve lo raccomando caldamente.
Riguardo proprio a Lords Of Chaos vorrei prima fare un appunto in merito alla questione della scelta degli attori. Appena si vocifera di un biopic ed esce la foto dell’interprete scelto per il ruolo da protagonista, ecco che scatta il “Nojesomigghiapegnente” generale.
Vorrei far notare al mondo che il bravo attore può diventare chiunque, anche voi. E se sulla carta (o la foto) non sembra credibile perché più grasso o più stempiato o con gli occhi di un diverso colore rispetto al reale soggetto da interpretare, se l’attore suddetto sarà bravo, riuscirà comunque a farvi dimenticare la sua faccia e mostrarvi quella di chi interpreta.
Rory Culkin nel ruolo di Euronymous non potrebbe essere una scelta meno azzeccata, ma finiamo per piangere Euronymous nell’ultima scena, nonostante abbia il viso di “Mamma ho perso il black metal” di un Culkin qualsiasi. Ve lo garantisco. E questo perché si tratta di un buon attore che oltretutto ha dovuto basarsi sul nulla per creare il personaggio. Non c’erano video di Euro e le testimonianze degli amici ed ex-compagni di band sono sempre state così contraddittorie e disturbate. Aveva solo le foto e magari qualche registrazione audio.
Stesso problema per il figlio di Val Kilmer nella parte di Dead. Chi l’ha mai veduto il vero Dead? Eppure è Dead. Perfettamente Dead. Anche per coloro che lo conobbero. Se becchi un attore in gamba, questo è il genere di magie che avrai.
Niente male la scelta di condire di ironia la prima parte del film. C’è chi l’ha criticata definendola troppo giudicante ma io ci ho colto tanto tenerume e fede al vero. La scena black norvegese nel film sembra una via di mezzo tra Porky’s e un disco dei Venom ma che ci crediate o no, era così.
Tutti i sopravvissuti all’Inner Circle, da Fenriz ad Abbath, assicurano che al tempo, prima che iniziassero i roghi e le morti, l’aria era parecchio cazzona, allegra e ridanciana. E un videoclip come Call Of The Wintermoon era molto più aderente al mood generale di quanto a tante prefiche revisioniste piacerebbe pensare oggi.
Akerlund ha mostrato la goliardia di quei giorni, di quei ragazzi, di quella scena, dopo anni di retorica e tetraggini inesorabili. Le foto di Euro e Dead che si atteggiano a signori del chaos, se potessero parlare, riferirebbero le risa e le urla allegre dei loro amici fuori dall’obiettivo. La scena della festa nei boschi, con Fast As A Shark degli Accept cantata tutti in coro, con gli headbanging in collettiva e il sesso, le vomitate, non sono bagordi tanto diversi dalle birrate nella metropolitana di Stoccolma dei Nihilist e i loro amici Treblinka. Solo che lì non c’era nessun Varg a rendere le cose più incasinate.
Una volta, il mio amico Denis Bonetti (se esisti ancora fatti vivo, amico) mi parlò del libretto di un’edizione speciale dei primissimi lavori dei Tiamat. Era sconvolto perché in quelle paginette si raccontava una situazione da disperati, tossici e violenti che non aveva nulla da invidiare a quella dei Mayhem. Eppure i Tiamat oggi sono una band un po’ imbolsita che ancora viaggia per Festival Europei e non fa male a nessuno, tranne al cuore di chi li vorrebbe ancora ai livelli di Wild Honey.
Lo slogan di Lords Of Chaos dice based on truth and lies ed è perfetto, tenendo presente lo strascico di polemiche che ha sempre accompagnato il libro.
Ma cosa è truth e cosa è lies?
Ok, diciamo che la parte truth è quella della violenza, basata sui registri della polizia e rigorosamente ricostruita. Ogni coltellata che Varg infligge a Euro è autentica, non c’è nulla di shakespeariano che non lo sia stato realmente. La pugnalata finale nel cranio di Euro, nessuno sceneggiatore l’avrebbe mai inserita.
C’è sempre una sorta di rispetto per la salma dell’eroe, nel mondo della fiction. Quando muore, per quanto il corpo possa essere torturato e umiliato, al protagonista si evita un trattamento degno di una comparsa in uno slasher.
Vero, ci sono stati dei tentativi sperimentali negli ultimi anni, in televisione, ma hanno causato gravi traumi negli spettatori. Uno per tutti, il forchettone con cui la madre di Jax ammazza la nuora Tara in Sons Of Anarchy .
Su Lords Of Chaos, la scelta di Akerlund di mostrarci la testa di Euronymous bucata da un coltello è solo per fedeltà al reale. Non c’è nessuna regola o trasgressione alla norma del bel morire cinematografico. Fa solo un sacco di male ma è vera.
Interessante perché il modo di rappresentare la morte è sempre stato piuttosto retorico, persino quando il cinema vorrebbe venderci per realistico qualcosa che in genere nessuno vede: un omicidio. Le morti di Lords Of Chaos sono una cosa che non avete mai visto. Non ce ne sono in Tarantino, in Ferrara, in Pasolini e in tutti i registi horror degli ultimi anni.
Penso soltanto alla morte del montanaro in Un tranquillo week-end di paura, in quel momento sospeso in cui l’uomo è trafitto dalla freccia di Lewis (Burt Reynolds) e se la tiene stretta al corpo, cadendo in ginocchio e tirando per le lunghe con la propria agonia sgomenta fin quasi a portare lo spettatore allo sbadiglio. Quella è la cosa più vicina a una vera morte che io abbia mai visto. Akerlund riparte da lì.
La parte delle lies invece onestamente mi confonde. Tolte le morti su cui si poteva mentire per salvarsi il culo o la memoria, che altro c’è da dibattere? Si vede solo l’adolescenza funesta di un pugno di disadattati in fissa con il metal. La maggior parte dei loro casini è frutto del sistema ormonale in fermento in un contesto culturale troppo represso. Ma per Akerlund il vero motivo è uno solo e vuole farlo capire proprio scegliendo, in modo deliberato, “l’attore sbagliato” per il ruolo di Varg.
Grasso, con le gambe a X, piuttosto brutto, l’attore che lo interpreta è persino ebreo e si chiama Emory Cohen. Il resto del gruppo intorno a Euronymous non lo accetta, lo sfotte, gli ride dietro in ogni occasione, eppure lui finisce per imporre brutalmente sugli altri la propria virilità in divenire. A dirla tutta non è che l’originale nazista Vikernes fosse tanto più fico, quando si spinse fino a Oslo per incontrare il suo amico Euronymous. Guardate qui…
A detta del libro però il loro incontro sembrava più Hitler che va a trovare Mussolini a Roma e non un’assidua manovra persuasiva di un nerd ciccione che vuol entrare nella comitiva dei ragazzi fichi. Il Varg del film è comunque molto simile a quello raccontato nel Lords Of Chaos letterario. Si tratta di un mitomane, un narcisista disperato, un viziato figlio di puttana che capisce cosa gli altri stanno facendo e vuol farne parte.
Quando butta nel fuoco la “toppa sbagliata”, quella degli Scorpions, che sul finire degli anni 80 erano diventati una morbida matrona sfornaballad e mid-tempos alla Bon Jovi, decide che il solo modo di farsi strada in quel branco di lupi è spingersi più avanti di tutti nella gara a chi ce l’ha più duro. E in questo lui riesce.
Avesse intuito un altro modo per emergere, ci sarebbe riuscito in quell’altro modo. Per Varg la violenza non è una necessità primordiale ma solo un mezzo per arrivare al successo sociale, nel suo modo contorto di intendere successo e sociale in un micromondo elitario scollegato dal vero successo e il vero sociale. In quel tugurio di anime lui deve essere la prima-donna.
E così Varg brucia per primo le chiese sfidando l’immobilismo di Euro; approfitta della timidezza e le idee puritane del suo amico, per surclassarlo sul piano sessuale con le groupies che girano intorno alla band, e se non fosse per Bard Faust, determinato a partecipare alla gara di celodurismo con gli altri e primo artefice di un omicidio, anche lì sarebbe stato Vikernes a buttare all’aria il più terribile di tutti i tabù, al solo scopo di vincere la gara del più cattivo.
Alla fine del film però mi sono trascinato dietro uno strano malessere. Un senso di vergogna, di umiliazione e di ammirazione vaga. Questa gente ha vissuto il metal più a fondo di quanto sia riuscito io. Euro ne fece davvero una vita. Credevano nella propria musica. Credevano in qualcosa. Ed erano dei ragazzini che si baloccavano col diavolo. Vengo da quell’adolescenza anche io. Quando Le bestie di Satana sono finite su tutti i giornali mi sono sentito molto più coinvolto di un qualsiasi tizio della loro età, magari cresciuto tra Tears For Fears e Prince.
Ma non è solo quello. Mi infastidisce la figura di Varg. Forse la decisione di farlo interpretare a un attore palesemente sbagliato, che non gli somiglia nel fisico, che non ha il suo carisma e non trasmette quella rabbia luciferina, rende la rappresentazione ancora più disturbante in generale. Fa pensare al Berlusconi pluri-interpretato in Il caimano di Nanni Moretti. Il regista romano gli leva la faccia da carnevale e gli mette la propria, seria, barbuta e triste. Le parole del cavaliere sulle labbra di quel musone suonano molto più allarmanti e minacciose.
Ciò che mi sorprende è la scelta di farlo diventare un toro da monta scatenato e pronto a fottersi ogni femmina a tiro. Non riesco a gestirlo, mentre scopa, orrido e insopportabile tutte queste belle nordiche dall’aria malaticcia. Il vero Vikernes non si sa come fosse in questo senso. Ero preparato a un’altra storia, ecco. Insomma, è cresciuto camminando nei boschi intorno a casa e fingendo di conversare con gli hobbit. Arrivato a Oslo si trasforma in un satiro? A quanto risulta non era così allupato. Ecco le lies di cui si dice nel titolo. Che vanno aggiunte alle lies che servono al film per trovare la via della realizzazione. C’è la storia d’amore, c’è il conflitto tra bene e male. O in questo caso, tra male e malissimo.
In Euro pare non ci fosse tanto sentimentalismo. Si passava anche lui in rassegna le sbarbe che orbitavano attorno all’Helvete ma qui lui ne esce come un Giovane Holden del black metal. Se l’avessero reso impotente o con malcelate tendenze omo, probabilmente il vero Varg avrebbe stappato una bottiglia di vino della vigna di Satyr e ci sarebbe fatto venire lo scorbuto per festeggiare “questa verità”.
Ma torniamo al Vikernes di Akerlund: un fottidonne indefesso. Pare quasi che il regista abbia voluto dargli il contentino ma non è così. In realtà è come se gli dicesse: ti ho tolto l’aspetto carismatico e seducente per far vedere al mondo quanto eri stronzo e disturbato e ridicolo, specie nella tua smania di attenzione che ha finito per mandare all’aria ogni cosa. Senza il tuo bisogno di notorietà e di venerazione, Euro sarebbe vivo e il black metal avrebbe davvero quell’alone misterioso e di culto che tutte le band si auguravano in quegli anni. Invece con Burzum tutto è diventato moda, sensazione e poserismo.
E anche nella tua fame di sesso violento, irriguardoso, da svuotamento di palle, non ne esci come una bella persona, ma per te, il superomista Varg, ‘sta cosa non è comprensibile. Ché le sole donne pronte ad ammirarti e venirti dietro erano (e sono) delle malate di mente con un gran bisogno di sputi in faccia, è di sicuro un aspetto che il tuo cervello “narci” ti ha sempre risparmiato dal registrare.
Euro di Akerlun si innamora, lui nel film è human, persino than human, e persino nel momento in cui tutto il mondo ha pensato non lo fosse (nel modo folle come ha gestito il ritrovamento di Dead) anche lì, il regista gli ha restituito una dimensione vera, sensibile, facendolo piangere retrospettivamente e dandogli una serie di incubi e sogni conciliatori.
E pure queste sono lies. Pare infatti che Euronymous fosse diventato insopportabile e dittatoriale con gli altri Mayhem, nei mesi precedenti alla sua scomparsa. Pare. Pare. Pare. Nessuno potrà mai dire davvero come e cosa fossero quei tizi. Però una storia Lords Of Chaos è riuscito a tirarla fuori. Una bella storia di adolescenza confusa e ribellione. Non c’è nemmeno bisogno di conoscere i dischi dei Darkthrone o di Burzum per capirla.
Ah, non mi risultava nemmeno che Euro, prima di morire si fosse fidanzato a casa, tagliato i capelli e avesse cambiato ascolti, passando da Bathory ai Tangerine Dream. Varg sentiva i Dead Can Dance la sera dell’omicidio, questo è giusto o per lo meno testimoniato.
Questi blackster erano poco blackster già nel momento clou.