jonny pettersson
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Jonny Pettersson e la piaga del project metal!

Questa non è una recensione di Serpent’s Curse degli Heads For The Dead, uscito nel 2018 come tante altre cose realizzate da Jonny Pettersson.

Allora, oggi ho sentito e risentito un album su cui facevo un certo affidamento per una buona recensione, Serpent’s Curse degli Heads For The Dead. All’inizio quasi che mi sono entusiasmato, specie per il pezzo Deep Below, così minaccioso e lovecraftiano. Poi però ho continuato a sentire e non ho trovato granché. Si tratta del solito disco death old school alla svedese, come ne escono ormai due al mese da sette anni. Il migliore tra quelli che ho sentito è Slaves Beyond Death dei Black Breath, band da cui mi aspettavo grandi cose, ma che da un paio d’anno non si fa più viva. E inizio a preoccuparmi.

Tornando agli Heads For The Dead ho dato un’occhiata a chi c’è dietro. Sono andato su Encyclopedia Metallum e presto fatto. La line-up è composta solo da due membri: Jonny Pettersson, che ha suonato tutti gli strumenti,

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illo, tenetelo a mente.

e Ralf Hauber, che ha cantato i pezzi.

Ok. Non è un gruppo. Si tratta di un progetto. Uno dei tanti di Jonny Petterson. Costui suona con gli Ashcloud (con i quali fa Death Metal, sempre suonando tutto lui):

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illo è davanti, esatto.

con i Gods Forsaken (ancora death metal ma ci canta solo e si fa chiamare Caligari;

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il primo a sinistra…

i Just Before Dawn (ancora death metal ma oltre a cantarci suona pure il basso);

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Jonny Pettersson è uno di questi

ancora: Nattravnen (che se dal nome sembra una roba black, e lui ci suona tutto da solo, in realtà è sempre death metl);

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non riesco più a capire chi sia, ma c’è. Forse è tutti e due.

poi ci sono gli Ursinne

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Jonny Petterson degli Ursinne

e chiudo solo perché mi sono rotto il cazzo di elencarli tutti, i Wombbath.

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Capito chi è?

Direte, come mai tutte queste band death, ma Jonny Pettersson non ha una famiglia, una vita sentimentale, una casa? Non dorme? Non caga? Certo. Ma è compulsivo e forma o aderisce a band death metal una al giorno. E grazie alle moderne tecnologie e la gran generosità di giudizio verso la propria creatività, lui fa dischi uno al mese e trova anche il tempo per tutte le altre normali funzioni fisiologiche.

Magari li registra per intero da solo se non trova chi gli da retta, ma li fa. E poi i dischi girano e noi dobbiamo recensirli.

Come mai non una sola grande band death metal? Perché probabilmente, come non avrete sentito nemmeno uno dei nomi dei suoi progetti, nemmeno se condensasse in un monicker solo la sua roba, ne sentireste parlare. E comunque ogni gruppo death di Jonny Pettersson varia nelle tematiche. Uno l’ha messo in piedi per dire a tutti quanto lui è satanista. Un altro invece è perché ama il gore e vuole raccontarci storielle gore. Uno ancora è perché lui pratica l’occultismo e quindi deve metterci al corrente delle sue esperienze occulte. E così via.

Possiamo sopportare così tanto un singolo uomo?

Senza rendercene conto sì. E come lui ce ne sono molti altri che producono sei dischi all’anno con sei differenti band tutte ininfluenti, votate all’old school, al black, il death, il black-death, il brutal-death-raw-black, tutte con i loghi illeggibili, tutte con le foto sgranatissime, il trucco in faccia o le braccia incrociate in un chiodo, col cimitero dietro, tutto in bianco e nero. Ogni band è convinta sostenitrice della tradizione e intasante l’intero circuito dei promo, come se già non ci fosse roba da sentire e recensire.

Gli Heads For The Dead non sono una band. Non c’è gente che suda in una saletta e investe ogni energia in una sola scommessa. No, lì ci sono i riff che Petterson non è riuscito a far piacere alle decine di altre line-up in cui milita. E allora se proprio nessuno vuole usare i suoi riff lui mette in piedi un progetto. E noi dobbiamo sbobbarcelo e scrivere una rece. Perché quel progetto ha una copertina, una cartella file da inviare con wetransfer, una storia, delle foto promo scattate al volo e una qualcosa records che lo distribuisce.

La rece ovviamente recensirà ogni disco di Petterson e non potrà stroncarlo perché è spiccicato alla roba dei tempi migliori, almeno in superficie, quindi se stronchi gli Heads For The Dead, per dirne uno a caso, stronchi i Malevolent Creation di The Ten Commandaments. Perché ha lo stesso suono, riff simili e tanto rispetto per gli anni d’oro e un’attitudine certa. Basta guardare Petterson nelle foto. Lo vedete il grugno fiero e ostile? La panza birrosa? Le occhiaie da weedpanda?

E allora il doganiere si inchinerà al progettista metallaro e liquiderà il promo con una olimpica conclusione: “progetto old school dal sapore salnitrico che rimanda ai vecchi cimiteri in cui bazzicavano Nihilist e Grotesque, con liriche votate all’amore per i vecchi b-movie italiani e tanta energia cannibalica. Vadi pure!”

Tradotto: è un disco che non aggiunge un cazzo alle decine di cose uscite in Svezia tra il 1988 e il 1995. Imita il vecchio suono non per una questione di ortodossia ma perché è comodo. Cosa ci vuole oggi per realizzare un disco col suono dei primi Entombed? Allora costava soldi, era un azzardo mettere su un nastro quella roba caotica e indecifrabile. Oggi basta un pedale boss, un multitraccia e qualche buon programma al pc e te lo fai comodamente dalla cameretta tua mentre mamma ti chiama per la cena.

Ma se ora fare un disco è una cosa facile, economica e che permette a gente come Jonny Pattersson di scodellare album con la stessa facilità con cui Ma’ Barker faceva figli, ciò che più danneggia è questa cultura dell’ortodossia militante. Decidi di fare un album death e ricalchi i gruppi passati. Perché? Cosa te ne viene? Non c’è nulla della tua personalità, non c’è niente di interessante in quello che fai, che possa tirar fuori il tuo genere tanto amato dalla fossa in cui si è cacciato nel 1996. Me lo dici che lo fai a fare?

“Perché amo il death e mi piace che resti puro”, risponderà Pettersson.

Bene. Allora ascoltati i Dismember e vai a fare le cover dei Dismember nella bettola in fondo alla strada dove vivi, cazzo. Ma non realizzare dischi che poi IO devo recensirti. Porca di quella maiala!

Eh, ma il death è la mia passione e nella vita io voglio realizzare dischi death.

No, dico io. Tu ami solo rompere il cazzo al mondo con i tuoi dodicimila riff inutili. Non ami il death. Ogni tuo riff è una badilata sulla faccia degli Entombed. Bastano i Grave a non fare un cazzo da 30 anni. Loro però la pensione se la sono guadagnata. Più o meno.

Concludo: se fare un album ancora costasse come nel 1990 e se ancora, come nel 1990, occorressero dei musicisti veri per formare una band e incidere un disco, Jonny Pettersson non realizzerebbe dieci lavori inutili all’anno. E non ci sarebbero dieci inutili recensioni per lui da scrivergli, ma esisterebbe solo una inutile death metal band felice di incidere un EP da scambiare per posta con gli amici. E allo stesso modo: se uno come Nicke Andersson avesse avuto, nel 1988, uno studio di registrazione in cameretta sul PC, internet e you porn, oggi dovremmo smazzolarci dodici discografie di dodici band create da lui e mai viste dal vivo, e nemmeno una che sia decente la metà della metà degli Entombed.