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Deadly Mercury – Morire per la band, volente o no!

Scatta qualcosa nella testa delle persone, quando un artista muore. Nella musica la morte fisica, magari improvvisa o dopo una lunga malattia di cui non sapevamo nulla (quindi ancora una volta improvvisa, per noi) ci suscita un bisogno immediato o quasi di andarci a sentire i dischi del gruppo di cui il defunto faceva parte o i suoi eventuali lavori solisti. E sembra esserci qualcosa di moralmente sbagliato in questo.

Diventare fan di un grande musicista subito dopo la morte è come se fosse troppo facile. Ci si lascia spingere dal cordoglio per una eventuale fine tragica e si acquistano tutti i lavori di quel musicista.

Quando era vivo lo ignoravamo ma dopo morto ci avventiamo sul suo patrimonio creativo come se non esistesse niente di più urgente e prezioso che divorarlo pensando intorno all’idea della sua morte.

È deceduto, pochi giorni fa, Mark Hollis dei Talk Talk. Io non sono mai stato un fan di lui o della band. Li conoscevo per gli hits più sputtanati e apprezzavo quei pezzi, come la maggior parte dei successi del pop anni 80, ma appena ho saputo che Hollis era morto, sono andato a scaricarmi la discografia. Ho ascoltato i Talk Talk e le sue cose soliste tutto il giorno e senza nemmeno rendermene subito conto, sono finito su facebook a scrivere commenti patetici sotto i post di qualche amico che commemorava la sua scomparsa.

Qualcosa è sbagliato, o forse solo troppo umano, in questo

Ovviamente il fenomeno di quella che definisco “necrofonia”, il mondo discografico lo conosce bene e ha imparato a sfruttarlo da molto tempo. Non vorremmo sapere del lavoro organizzativo intorno al possibile decesso di un vecchio musicista o di un chitarrista allo stadio più avanzato di un tumore al colon. Non vorremmo conoscere il sistema organizzativo super-efficiente che permetta alle etichette di lanciare sul mercato in tempo utilissimo, i dischi di quell’artista, cofanetti, discografie remasterizzate con inediti, raccolte.

Non vorremmo sapere ma immaginiamo che per riuscire a cavalcare l’onda emotiva così bene, i discografici abbiano fatto i loro calcoli e si siano messi all’opera per tempo. Tutto qui.

In queste settimane si parla molto di Lords Of Chaos e del film Bohemian Rhapsody. Tra le due pellicole c’è un elemento comune: si raccontano le vite di artisti morti in circostanze tragiche. E sia il caso dei Mayhem che quello dei Queen possono essere annoverati tra i più spregiudicati esempi di sfruttamento necrofonico.

Quanti soldi hanno incassato i Queen dopo la morte di Freddie? Sicuramente molti di più che prima della sua scomparsa.

La stessa domanda per i Mayhem non ha nemmeno senso farla.

Uno dei momenti più insopportabili del film Lords Of Chaos non è l’accoltellamento finale o l’omicidio del gay nel parco, ma il modo in cui Euro reagisce davanti al cadavere dell’amico Dead.

Per chi non lo sapesse, Euro trova Dead morto nella casa nel bosco dove vivono assieme. Si è sparato un colpo di fucile in testa. Anziché iniziare a piangere disperato e, subito dopo aver riguadagnato un po’ di forze, telefonare alle autorità e all’ospedale per comunicare il suicidio del compagno, Euronymous va a comprare una macchinetta polaroid usa e getta in un vicino discount e gli scatta delle foto. Poi raccoglie dei pezzetti di ossa del cranio di Dead, schizzati in giro dopo l’esplosione, e li mette via per farne dei ciondoli da distribuire agli appartenenti alla band in cui il suicida “cantava”.

La leggenda vuole cose ancora più cattive: Euro mangia pure pezzi del cervello di Dead, cuocendoli in padella e pare sia stato proprio lui ad aver istigato al suicidio l’amico. Anzi, qualcuno dice che l’abbia aiutato a farla finita, anche se Dead non voleva alcun aiuto e nemmeno morire. Il sacrificio era necessario per il futuro della band.

Sono leggende. La verità probabilmente è quella che si vede nel film, almeno la prima parte. Tutto accade perché accade. Non si può dire come reagiremmo di fronte al corpo ancora caldo di un amico che ha deciso di farla finita. Magari corriamo subito dai carabinieri o forse cantiamo la sua canzone preferita e vomitiamo. O ancora usciamo a passeggiare per tre ore e poi torniamo sperando di non trovarlo più lì. C’è quello che dovremmo fare in momenti estremi e quello che effettivamente facciamo NOI in quei momenti estremi mai vissuti prima.

Si dice (nella storia dei Mayhem è quasi tutto un “si dice”) che Dead si sia ammazzato perché non ci stava molto con la testa. Soffriva di una sindrome neurologica, rarissima. Una malattia chiamata Sindrome di Cotard che riguarda il sistema nervoso ed è quindi un disturbo fisico e non psicologico.

La malattia di Cotard portava Dead a non sentire più il proprio corpo, né alcuna emozione. Gli affetti da questo male finiscono per credersi morti.

“Si dice” anche però che Dead avesse deciso di uccidersi perché esasperato e scoraggiato dal fatto che con la band Mayhem non si concludeva nulla da troppo tempo, per la depressione e la stanchezza di vivere senza scopo in quella casa nei boschi, lontano da tutto. Soldi non ce n’erano e lui era stufo di andare avanti in quel modo, quindi prima si tagliò le vene e poi siccome era impaziente di farla finita (e uccidersi in quel modo sarebbe stato infinitamente doloroso) si sparò alla testa col fucile. Le munizioni gliele aveva regalate Varg.

Magari la verità del gesto è questa, ma non è romantica come la faccenda del male raro o del nichilismo estremo di ammazzarsi tanto per ammazzarsi. Dead in fondo era un tipo originale, a dir poco. Lui era un puro. E se ne andò prima che le cose divenissero il pagliacciame che poi diventarono.

In ogni caso il gesto di Euro, nel film di Akerlun, è solo una bravata. E il regista fa in modo di riassestare le cose, soddisfacendo il debito con la coscienza collettiva contratto dal giovane chitarrista dei Mayhem, dandogli quel senso di rimorso che, prima per via onirica e poi attraverso il ricordo, conduce il ragazzo alle lacrime liberatorie per il trauma di aver perso il suo migliore amico ed essersi spinto a specularci su.

Ma riguardo questo punto, viene da chiedersi cosa ci sia di tanto più grave in ciò che ha fatto Euronymous appena morto Dead rispetto a quello che il mercato discografico ha fatto poi con il cadavere di Euronymous. Il giovane ha applicato gli stessi principi necrofili di sempre, trasformando il gesto di Dead in qualcosa di creativo e funzionale per la band. La morte del suicida diventa la copertina di un disco, una delle più celebri e oltraggiose mai realizzate.

La scelta dei pezzetti di cranio da regalare agli altri membri aggiunge quel pizzico di retorica sentimentale e settaria tipica delle band che votano fedeltà ed eterno tributo al membro scomparso (anche se da vivo magari erano arrivati a odiarlo). Il frammento che lo rappresenta diviene un portafortuna, un amuleto protettivo, quasi.

Il comportamento di Euronymous fu una primitiva rappresentazione di ciò che la società gli aveva insegnato su come si può sfruttare la morte di un artista per il futuro della sua band. Gesto cinico, esplicito oltre ogni scusa o soglia di comprensione, ma alla fine, ripeto: cosa c’è di diverso tra l’azione di Euronymous e quella che il mercato ha fatto alla salma di Freddie? Quante porcate sono successe in suo nome dopo che è morto? Quanta grana hanno portato a casa, promoter, discografici, artisti, mescolando scaltre azioni commerciali e sentimentalismi alla memoria di Mercury?

Il modo di Euronymous di applicare i principi nefandi del mercato necrofonico sul corpo dell’artista morto è disumano? No, solo un po’ troppo diretto.