Fight Like A Band è il disco della Ron Keel Band, uscito nel 2019 per EMP Outlaw.
Se mi domandassero chi stia invecchiando meglio tra i big dell’heavy rock americano anni 80 vi risponderei i Winger, Tesla e Ron Keel. Risposta assurda, non tanto per i primi due ma sul terzo sfido qualcuno a dire, negli anni in cui esisteva ancora in formato band, che potesse cavarsela così bene in altro millennio.Andiamo, Ron Keel sembrava spacciato persino nel momento in cui urlava The Right To Rock. Puzzava di meteora da lontano e i dischi dei Keel, esclusi i primi tre, oggetto di rivalutazione ora ma ampiamente spertucciati negli anni 80, erano e restano indecenti.
Ed eccolo qui, Ron Keel, vecchio cowboy del rock con una band dal “groove di Nashville ma che vaga per il sunset strip”, come dice la title track dell’album. Sul serio, è credibile. Non lo scrivo agitandomi perché ho già superato lo sgomento due anni fa, quando ho recensito per Classix Metal Metal Cowboy.
Di quell’album avevo detto benissimo. Mi era piaciuto sul serio e, sebbene sia considerato un episodio solista da non mettere in conto a questa nuova avventura della Ron Keel Band, la situazione creativa e stilistica è sempre la stessa: hard rock d’autore con momenti AOR e un sostrato di sound classico da profonda America.
Ci immaginiamo la Ron Keel Band esibirsi dentro una fumosa birreria piena di scritte al neon, milf in gonna jeans e un pubblico maschile col cappello a tesa larga e la pancia gonfia di gas leguminare. Dio benedica l’America, terra di opportunità e di libertà. Viva il sogno americano e… oh cazzo, sparatemi con una pistola non registrata, vi prego.
Il problema di Fight Like A Band, a parte la retorica da gentiluomo di frontiera che ne ha vissute tante ma è ancora in piedi per raccontarle, è che percorre i binari consolidati e non devia di un centimetro. Non c’è un cazzo di giro d’accompagnamento che non abbiamo già sentito duemila volte nei contesti più disparati del rock e del pop bubble-gum, né un arrangiamento o una melodia soprendente. Tutto è così calcificato, è una riproposizione elegantona di un rock tamarro e panciuto di cui si perde il senso una volta fuori dai confini dell’Arizona.
La Ron Keel Band è tecnicamente impeccabile ma l’album è un guscio vuoto. Keel canta così bene oggi, mentre da giovane si sprecava in vocalizzi spericolati e si rimpillicava sulle note alte, come uno scimmiotto terrorizzato. Adesso è un veterano dalla voce corposa e misurata, un mestierante navigato che può permettersi di citare Bon Jovi e Michael Sweet… e Ron Keel stesso.
Nell’ultima parte del disco la Ron Keel Band ripropone infatti alcuni classici del passato: la sopracitata The Fight To Rock, Tears Of Fire… A livello di liriche siamo all’imbarazzo profondo ma bisogna ammettere che qualche melodia efficace, pure i Keel, negli anni 80, la imbroccarono.