If Icarus Could Fly è un album degli Haunt uscito per Shadow Kingdom Records
Stamane ho trovato davanti alla porta del mio garage una sorpresa di quelle che mi fanno saltellare in giro rombando di felicità tutto il giorno, uno di quei dischi affascinanti che sanno portare un soffio di piacevoli ricordi e una ventata di voglia di vivere. Essendo spesso occupato a rotolarmi felice tra bielle e pistoni (sono un centauro, bestia atipica, invero) mi era sfuggito il particolare che è primavera, ma ci sono qui gli Haunt a ricordarmelo!
Dietro una copertina minimale ma carina, che ricorda un po’ un certo periodo del fumetto americano più “artistico”, si cela un gran bell’album confezionato con cura e stile: il loro splendido If Icarus Could Fly, che certamente piacerà agli estimatori del classico metal anni ottanta come me.
Contiene una miscela di sonorità vintage e ascoltarlo è un’esperienza deliziosa, un salto indietro nel tempo, a quando ancora la gente faceva musica col cuore e non con il pc. Come trovarsi di fronte a un motore a carburatori che sale di giri e profuma di benzina e olio caldo: sa di cose confortanti e solide.
Gli Haunt sono il progetto di quel simpatico mattacchione di Trevor William Church, ex chitarrista dei Beastmaker, che pur essendo californiano è affascinato dal suono della NWOBHM e ce lo dimostra anche in questo nuovo album, dal gusto retrò ma al contempo mai scontato.
Come nel precedente Burst Into Flames, uscito l’estate scorsa, anche in If Icarus Could Fly vi sono tracce di un sacco di gruppi storici (nelle armonie di Ghost, per esempio, è chiara la forte influenza degli Iron Maiden che tra l’altro emerge più volte).
Non crediate, però, che gli Haunt si riducano a una piacevole imitazione! Sono un gruppo che suona e compone del sano metal, spaziando nelle più disparate sfaccettature del “tempo che fu” con una freschezza ed una curiosità davvero esemplari.
In tutte le otto tracce che compongono questo loro secondo disco, i componenti della band danno ottima prova delle proprie capacità, confezionando un raffinato prodotto che si lascia ascoltare e non risulta mai pesante. Il lavoro delle chitarre in particolare è determinante.
Trevor Church ha voluto accanto a sé John Michael Tucker, altro ex Beastmaker, e i passaggi in cui i due fanno emergere i loro strumenti all’unisono (a sentire Clarion rischierete, come me, d commuovervi) sono magistrali. Unica pecca, forse, il fatto che in alcuni momenti una voce più potente avrebbe potuto giovare all’insieme dando un mordente che spesso manca al buon Church.
It’s In My Hands, pezzo già in circolazione da qualche mese a fare da apripista all’album, è un gioiellino che sa andare in crescendo e coinvolge con la sua forza trascinante l’ascoltatore, ma è sentendo Defender, pezzo in chiusa dell’album, che la voglia di uscire sotto il sole a scaldarmi la criniera diventa davvero troppo forte. Sto meditando seriamente di rimandare tutti gli impegni e buttarmi in un misto veloce, godendomi il buonumore che questo album mi ha trasmesso.
Alla prossima cari equini, motorizzati e non!