Résignés è un disco degli Ataraxie prodotto in vinile e cassetta dalla XenoKorp, mentre in doppio cd dalla Deadlight Entertainment.
Sembra l’inverno abbia deciso non lasciarci ancora, colpendo dove fa più male il mio già fiacco sistema immunitario. E mentre fuori la pioggia cade a intermittenze disturbanti, perché non arricchire la propria giornata ascoltando del buon funeral doom metal?
Gli Ataraxie con il loro nuovo Résignés albergano già da tempo nel mio lettore mp3, portandomi a eseguire numerosi ascolti prima di poter essere certo di cosa pensarne; complice anche la smodata lunghezza dei brani (per una durata complessiva di un’ora e ventitré minuti circa) l’acquirente (chi poi?) si vede costretto a scegliere tra un edizione doppio cd, o doppio vinile con traccia finale frammentata; perché è bello girare il disco sul piatto a metà ascolto.
No. Non lo è. Smettetela!
Lungi da me criticare il formato, ma tanto verrà surclassato dall’edizione digitale free che tutti (chi poi?) scaricheranno, parliamo del disco che è meglio.
Sarei un falso se iniziassi col dire: “o sì, gli Ataraxie li ascolto dagli esordi e…”, non è vero. Non mi sono andato a scaricare i precedenti album, se non pure i demo, perché quel periodo della mia vita fatto d’un ascolto a ogni costo è morto come il mio fegato tra qualche mese.
Ho ascoltato solo Résignés.
Dopo aver cliccato più volte play, ho compreso alcune cose importanti. Innanzitutto è impossibile ascoltarlo come facciamo di solito con le band death/black/qualcosa metal. Non possiamo star lì a selezionare la nostra playlist dei pezzi preferiti e arrivederci.
Questo è un disco che vive d’un immaginario proprio, inseparabile e fluido, un concept funereo incapace d’esistere singolarmente, ma solo nell’insieme di tutte le tracce. Per dire: la conclusiva Les affres du trépas non può esistere se prima non si è ascoltato tutto l’album, specie nel concept della morte, sul quale il disco poggia.
La vedete la cover? Siamo tutti condannati a morte, in attesa che il boia scagli la sua scure sul nostro collo. Nessuno ne è esente, e tutti moriremo. E il disco stesso è un percorso decadente di funeral doom influenzato dal death metal, con sprizzi improvvisi di riff veloci, che per il genere equivalgono a tempi grindcore per l’umano comune, fino a giungere sul quasi dronico finale, ossessivo, ripetitivo, plumbeo, mortale, ma mai soporifero.
Altra cosa che ho compreso è che si può suddividere l’esperienza di questo album durante il sonno e nella veglia. Nel sonno ho ascoltato Résignés risvegliandomi a metà, con gli occhi ancora pesti e le orecchie intorpidite che non distinguevano più i suoni, come avessi caricato un album noise dei miei, pensando “ma che cazzo sto ascoltando?”, nel vano tentativo di dare un senso non tanto alla mia esistenza, quanto al fatto che non mi levavo le cuffie prima di rischiare un’acufene, che comunque già ho.
Nella veglia forse l’esperienza è stata più traumatica, poiché ero nel box d’un mio amico a discutere di antisemitismo, politica e figa. A una certa attacco l’mp3 e faccio partire il disco. Tempo cinque minuti e abbiamo letteralmente, non sto scherzando, cercato un tutorial su come legare un cappio da appendere a un gancio nel tentativo di suicidarci. Fortunatamente la corda faceva cagare, ma l’esperienza rimane vivida nella mia retina.
Un album da ascoltare prima che la primavera riscaldi le ossa dei morti.