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Si può essere contrari ai Contrarian?

Their Worm Never Dies è un disco dei Contrarian uscito nel 2019.

I Contrarian sono il gruppo di George Kollias (ex-Nile). Lui vi dirà di no, che sono una band vera e propria ma non  è vero. Nati nel 2014 e giunti alla quarta pubblicazione ufficiale senza scalfire le certezze di nessuno, questi yankee dudes non hanno alcuna intenzione di arrendersi.

Come potrete arguire dal nome, i Contrarian suonano al contrario. Le loro canzoni non vanno intese nel modo in cui vi arrivano ma bisogna riavvolgerle nella vostra testa pensando le note prima di quelle prima delle prime e così via.

No, scherzo.

Ma è vero che i Contrarian sono contrari a molte cose e non accettano altre cose ancora.

Quali? Un mucchio, tipo le petizioni e i vermi immortali.

A parte tutto, ora sono serio: sappiate che i Contrarian sono solo un gruppo death tecnico di due taglie più corte rispetto al talento strumentale del loro ellenico percuotipelli.

Their Worm Never Dies lascia un po’ così. Per carità, bravi, eh? Del resto siamo dalle parti di Cynic, Pestilence, Atheist, Death, quindi bisogna essere preparati.

Purtroppo dei 38 minuti scarsi del disco (che formano un concept fantasy su una coppia di pescatori spersi nell’oceano con una scatola di bigattini e tutti i dischi dei Nile… no scherzo!) resta poco da ricordare, a parte la tecnica e una serie di cose acustiche infilate qui e là, che non sono proprio tipiche del death. Se chiudete gli occhi vedete fiori e vento e conigli e non succede niente, nemmeno appare un cazzo di Teletubbies.

Sì, c’è un lavoro interessante con gli armonici da parte di Tasikas o Mason, non so quale dei due chitarristi, ma per il resto è tutto un piripiripiqui e piripiripiqua con il basso che sta ovunque tranne che al suo cazzo di posto.

Pure l’uso dell’effetto eco su alcuni momenti topici del growling di Kollias non è male. Sì, Kollias canta pure. O meglio ruggisce in merito alle cose a cui è contrarion, oltre a menare i tamburoni con l’aerografia della trippa di Karl Sanders sulle pelli.

Però nell’insieme Their Worm Never Dies è tipo una scopatina. Sapete, di quelle gne gne, dove finisci e non ti sembra neanche di aver finito. Vaskania (The Evil Eyes) in apertura impatta bene ma già Exorcism attacca con una intro che è, come direbbe Briatore, da sogno, nel senso di oniricheggiante. Sapete, non fa pensare alla minestra di piselli sulle lenzuola. Comunque alla fine tutto deflagra in un altro bignamino sul techno-death 88-92.

Il finale, col brano lungo di otto minuti, Whomsoever Worships the Whiteworm, più o meno riepiloga il riepilogato generale riepilogando una sorta di riepilogo. Le chitarre tessono un ricamo di nostalgia sul tempo bellissimo e mai troppo goduto in cui il death era inquieto e sfidava il pubblico della birra con strutture jazzate, ruttando testi che invece delle viscere si rivolgevano al cervello.

Non so come potrete interpretarla ma alla fine di Their Worm Never Dies viene voglia di recuperare Consuming Impulse.