Border è un film del regista iraniano-svedese Ali Abbasi, uscito nel 2018.
Tina non è un bel vedere. Sembra affetta dalla sindrome leonina del tipo di La Bella e la bestia. Il suo viso appartiene a qualche anello antecedente all’homo sapiens o la razza antagonista che il sapiens fece sparire: i Neanderthal. Magari i genitori erano tossici o forse lei è frutto di uno stupro di gruppo in qualche manicomio, chi lo sa. Di sicuro è una donna molto brutta, tozza, con una dentatura sporgente e l’insopportabile abitudine di annusare l’aria quando si avvicina qualcuno. In realtà Tina è pagata per fare questa cosa. Lavora alla dogana e per quanto sia impacciata e strana nella sua divisa scura, ogni volta che lei dice “scusi” a qualche passeggero, e la guardia interviene con la perquisizione del bagaglio, ecco che dai borsoni pieni di vestiti accartocciati vengono fuori alcolici, droghe o molto di peggio.
Tina è una specie di segugio e non sbaglia mai. Fino al giorno in cui incontra un tipo così brutto che sembra suo fratello.
Sul serio, si somigliano. Solo che lui ha la barba e l’aria molto più scema. Tina gli chiede di svuotare il bagaglio ma dentro lui ha solo una scatola con degli insetti.
Li alleva?
Probabilmente.
Oltre a fare l’annusatrice alla dogana, Tina sta impiegando il suo portentoso fiuto, in un’indagine della polizia. Si tratta di un giro di pedofili.
La storia però non è questa. Non pensate subito a un thriller. Le cose vanno in una direzione molto diversa dal poliziesco per via dell’arrivo di quel tizio strano con la borsa di insetti. C’è qualcosa in lui che scombussola Tina, proprio tanto. Non smette di pensarlo.
Prima di quello strano viaggiatore la vita di Tina è abbastanza tranquilla per una donna fisicamente sgradevole ma con un buon lavoro e uno stipendio discreto. Una volta a settimana lei va a far visita al vecchio padre in una clinica per anziani. I due si scambiano poche parole affettuose e poi lei torna a casa.
Dove c’è Roland, allevatore di cani e convivente. Scroccone, opportunista e manipolatore, ma queste cose lei le sa, non è stupida. Però non è nella posizione di fare rimostranze a riguardo: pur di non rimanere sola nella sua casa ai margini del bosco, lei si lascia prendere in giro e sfruttare da lui. Lui e i suoi maledetti cani, pronti a saltarle addosso rabbiosi ogni volta che Tina torna stanca dal lavoro.
Oltre a queste magagne ci sono anche le lunghe passeggiate a piedi nudi tra gli alberi, dietro casa, e il bel paesaggio lacustre nel parcheggio della dogana, da ammirare per qualche minuto prima di entrare in servizio o dopo aver smontato.
E poi c’è il tipo dall’aria tanto famigliare, l’insetticultore che non smette di girarle intorno, a quanto pare.
I due fanno amicizia. Lui si chiama Vore e non ha un posto dove stare. Tina lo ospita nell’appartamento sfitto di sua proprietà, nonostante il disappunto di Roland. Ma a lei non importa di Roland. O meglio, ancora un po’ sì, ma sempre meno, da quando c’è Vore.
Quel Vore è un tipo molto strano. Mangia insetti, per esempio. E quando lei gli dice di smetterla, lui le domanda perché dovrebbe farlo.
Perché è disgustoso, risponde Tina.”Tutti lo dicono”
Allora lui la guarda a lungo, sogghigna. Poi le offre un verme. “So che lo vuoi”, dice.
E ha ragione, perché Tina ingoia il verme e va in estasi, come se le stesse scendendo lungo la gola un Kinder Bueno.
Tra i due c’è un’attrazione enorme. E appena Roland se ne va per una delle sue mostre canine del cavolo, Tina e Vore fanno sesso.
O meglio fanno quello che gli esseri della loro specie praticano quando si accoppiano.
Lei scopre un sacco di cose che non sapeva su se stessa, grazie a Vore. Per cominciare Tina ha un insospettabile organo sessuale di forma fallica ma sottile e quasi fungoide, pronto a guizzare fuori da quella che credeva essere una vagina particolarmente stretta e sensibile.
Si è sempre presa la colpa sua se nella vita di lei e del suo convivente non c’è mai stato sesso. Ha sempre pensato di essere frigida, ma ora ecco la sorpresa: se sollecitata dal giusto esemplare maschile, Tina scopa e lo fa in modo gagliardo.
E Vore è il giusto esemplare, anche se per la verità è lui che ha la vagina.
Avete capito bene: tra i due, i ruoli sessuali sono invertiti sul piano pratico. Lei è femmina e lui maschio ma nella scopata tutto si rivolta; anche gli stomaci di molti di voi, scommetto. Se è così, andate pure da Capitan Marvel, e lasciateci continuare con queste schifezze immonde.
Ciò che succede è così rivelatorio per Tina. Il suo primo orgasmo è un grido spaventoso che fa scappare gli uccellini e uggiolare i cani di ogni fattoria nell’arco di dieci miglia. Che è stato?
Se lo chiede senza parlare mentre è stesa di fianco a lui, stremata dopo l’orgasmo.
“Tu non sei umana. Noi due siamo troll”, le dice Vore, che le legge nel pensiero a quanto pare. Un Troll, di quelli delle fiabe, esatto. Ne parla senza mai abbandonare quel ghigno scemoide e aspetta di essere creduto. In effetti quei volti bozzuti, i denti strani… a guardarsi bene, Tina e lui sembrano usciti da un libro illustrato di Andersen.
Ok, fermiamoci qui. Siamo d’accordo che Border è un film fantastico, una fiaba sporca: nella sacca più lercia del mondo reale, tra pedofilia, disperazione e profonda solitudine, due esseri soprannaturali si incontrano e si amano.
La prospettiva esistenziale di Tina da lì si stravolge. Non è deforme. Non ha alcun motivo di vergognarsi. Lei è come il brutto anatroccolo: una specie diversa capitata nel posto sbagliato.
Ecco, immaginate se un giorno qualcuno molto simile a voi vi si parasse davanti. Non intendo esteriormente simile a voi ma proprio dentro. Per la prima volta sentite che quella persona vi comprende, vi conosce quasi meglio di quanto voi vi conosciate.
Tra voi due tutto assume un significato diverso e ciò che non ne aveva nessuno finalmente ha un senso pure quello. Il sesso poi è diverso ma sembra davvero il sesso che avevate perso ogni speranza di assaggiare.
E poi, quando state dicendo a quella persona cosa provate, quanto significhi l’incontro con lui, ecco che vi sentite dire che voi e lui siete di un’altra razza. Non metaforicamente ma sul serio. Che non avete mai avuto nulla a che fare con gli altri. E per questo vi siete sempre sentiti tagliati fuori, esclusi, derisi e respinti. Perché gli altri percepivano la vostra diversità e vi temevano.
E lui vi fissa negli occhi, non vi spaventa e non vi innervosisce mentre tiene il vostro sguardo. E poi vi sussurra: io non ho paura di te. Questa che vedi è la tua terra.
Scommetto che finirete per credergli perché l’amore fa diventare vere anche le fiabe.
Dico tutto questo perché secondo me ciò che succede quando Tina e Vore si incontrano è quello che capita a tutti coloro che hanno la fortuna di incontrare l’essere speciale che davvero gli appartiene. Che lo/la riguarda. Chiamatela anima gemella o come vi pare.
Forse tutti voi siete dei troll, elfi, nani, goblin, in attesa di incontrare qualcuno del vostro mondo. A quel punto la diversità non esisterà più e nemmeno la frustrazione di non sentirsi parte del tutto. Perché il tutto non è tutto. Non per voi, almeno.
Tra i due troll poi le cose si complicano. Vore ha idee un po’ diverse da Tina su come comportarsi con gli uomini. Nel suo disprezzo per il genere umano c’è l’atavica tradizione della sua specie, creature emarginate nel buio e in cerca di riscatto, odiate e respinte dagli uomini perché capaci, con la loro coda sensibile, di carpirne i pensieri e le emozioni e quindi svelarne ogni ipocrisia.
Secondo il folklore i troll rapiscono i bimbi nelle culle e li sostituiscono con dei simulacri anatomici che loro stessi espellono dai propri corpi. In questi rapimenti, Lindqvist e Abbasi vedono il complesso procedimento che conduce quegli sterili neonati partoriti da Vore ad assumere le sembianze ruspanti e vitali di un cucciolo di troll destinato alla perpetrazione della specie. Il cucciolo di Tina.
Lei, che intanto ha scoperto di aver vissuto un’esistenza di bugie appresso a un uomo che ha sempre sostenuto di essere suo padre, scopre di chiamarsi Reva, secondo la volontà dei suoi veri genitori, entrambi appartenenti a una piccola comune di troll rinchiusa e deceduta in un ospedale psichiatrico dove il papà adottivo di Tina, che ne era custode, si offrì di tirarla su, condannandola a una vita di dolore e menzogne.
Border però non è un film impeccabile, è come un fiore raro, meraviglioso ma fragile: appassisce prima ancora che possiate averlo mostrato al vostro io razionale ed esaminatore, anzi, probabilmente è proprio quello che finisce per ucciderlo. Ma non disperate, quando la smetterete di rifletterci su ve lo ritroverete dentro, quel fiorellino straordinario e delicato, al sicuro nel vostro petto indolenzito da troppi amori a caso.
Di sicuro Border ha il pregio di raccontare una storia fantastica a degli adulti, come mi ha suggerito Andrea Guglielmino. Adulti di 40 anni, cresciuti con fumetti, romanzi fantasy e horror, abituati a districarsi in mondi di audaci immaginazioni, padri di famiglia ma capaci di seguire fino in fondo le visioni di Lindqvist/Abbasi e di farlo a piedi scalzi, eccitati e con un senso di appagata fascinazione fin dentro le narici.
Per costoro, e mi ci metto pure io, certo non possono riguardare i cinecomix. Quelli sono realizzati pensando a un pubblico cresciuto a pane e you tube.
Border, anche se può sembrarvi paradossale da sentire, parla di troll senza dire cazzate, non manca di rispetto l’intelligenza e l’emotività di un pubblico all’altezza dello straordinario e del prodigioso in tutta la sua complessità.
John Ajvide Lindqvist è l’autore del romanzo Lasciami entrare, da cui sono stati tratti l’omonimo film svedese di e il remake americano Blood Story. Il racconto su cui si basa Border potete trovarlo nella raccolta Muri di carta, pubblicata da Marsilio.