Lords Of The Permafrost è il nuovo album dei veterani Usurper.
In un mondo che pare voler cambiare sempre (e sempre più velocemente) in cui tutti credono ormai che sperimentare a tutti i costi sia necessario, capita che le poche certezze possano risultare gradevoli.
Mentre piegavo lamiere e verniciavo marmitte, oggi, sentivo proprio una gran voglia di qualcosa di familiare, una sana iniezione di Thrash come si faceva una volta, che mi mandasse su di giri il motore.
Sono stato ascoltato dalle divinità non ben definite che abitano le officine più oscure. Queste hanno esaudito ogni mia richiesta facendomi pervenire il nuovo disco degli Usurper.
Nitriti di felicità distorti e metallici aleggiano nell’aria!
La coerenza è decisamente la dote migliore degli Usurper, ragazzi dai nomi bizzarri e dai testi horror occulto-sovrannaturali; americani di Chicago che tornano a incidere dopo anni (il loro precedente Cryptobeast era del lontano 2005).
Il loro gruppone in bilico tra il black ed il thrash, sciolto nel 2007 e rifondato nel 2015, offre a coloro che hanno nostalgia dei cari vecchi suoni, potenti, ruvidi e senza fronzoli, un sound spesso a base di una bella serie di riff cadenzati e di chitarre che sembrano asce bipenne implacabili.
La batteria di Joe “Apocaliptic” Warlord segna il tempo picchiando duro, coadiuvata da Scott Maelstrom al basso. La band tiene il passo con ferocia degna di un combo di pischelli agguerritissimi. Notevole anche la voce di Danny “Tyrantor” Lawson, perfetta per il genere presentato, potente e decisa, molto thrash anni ottanta.
Lords of the Permafrost si compone di otto canzoni che arrivano dritte al cuoricione metallone dell’ascoltatore senza girarci intorno. Fa venire voglia di saltellare e di usare quella bombola di protossido per accelerazioni sulla quale avevo scritto “Da non usare MAI, rischio grippaggio”.
I pezzi corrono via come un fiume in piena. Bello l’assolo di chitarra di Rick Scythe in Gargoile, uno dei miei momenti preferiti dell’intero lavoro insieme a Beyond the Walls of Ice, perfetta per provocare headbanging selvaggi nell’ascoltatore.
Una buona capacità creativa, pur rimanendo sempre nei canoni del genere, emerge soprattutto in canzoni complesse come quella che chiude le danze, Mutants of the Iron Age, forse la song in cui il lavoro della sezione ritmica è maggiormente in risalto tra rallentamenti e cambi di tempo.
Ovvio che, in un contesto come questo, sia d’obbligo una copertina dell’album in perfetto stile Usurper, cosa che i nostri non ci hanno fatto mancare, con tanto di gargoile scheletroso e cornuto assiso su uno stemma di pietra in una landa desolata ricoperta di ghiaccio (roba da aver freddo come all’Elefantentreffen, il noto motoraduno invernale tedesco, quando improvvisamente finisce la grappa).
Gli Usurper, senza far nulla di iperbolico e strano, sanno coinvolgere e si fanno voler bene. Sono il gruppo da ascoltare a volume indecentemente alto e lo sono da venticinque anni e più, non cambieranno (spero) mai e questo rende loro onore.
Defenders come oggi, ormai, ce ne sono troppo pochi.