horsehunter
horsehunter

Horsehunter – Nome del cazzo ma fichi!

Horsehunter è un disco degli Horsehunter uscito per Magnetic Eye Records nel 2019.

Gli Horsehunter vengono da Melbourne, Australia e devolgono alla trinità che di questi tempi, almeno nell’underground, va moltissimo. Mi riferisco allo Stoner-Sludge-Doom Metal dei miei coglioni. Non sono un appassionato di questa formula perché mette insieme il peggio di tre sottogeneri. Sto generalizzando, me ne rendo conto, tanto più che gli Horsehunter non rientrano in questa schiatta di mediocrità assoluta, ma fatemi dire tutta la cosa, ok?

Dello stoner prendono i suoni di merda; dello sludge la cazzo di voce urlata, autentica manna per appiattire ogni cosa; del doom la lentezza, tralasciando tutto il resto e soprattutto che doom non vuol dire necessariamente lentezza, questo è un fraintendimento che io stesso ho dovuto smaltire, anche grazie alle chiacchiere con una indiscutibile autorità in materia: Salvatore Fallucca di Classix Metal. Ci torneremo.

Comunque, gli Horsehunter cominciano male. Guardo la tracklist e vedo solo quattro pezzi lunghissimi e già mi deprimo. I primi minuti del pezzo d’apertura poi, Nuclear Rapture (titolo abbastanza di merda) sono esattamente ciò che mi aspetterei nella peggiore delle ipotesi, vale a dire quella di cui sopra. Una chitarra fuzza fuzza che blatera accordi in solitaria, seguita poi da un ritmo di basso e batteria del tipo cheduecoglioni e infine la voce sopra urla e urla cose incomprensibili ma sicuramente molto tristerrime. Sette minuti così e io sto seriamente per archiviare il disco e passare ad altro.

Poi però ecco che al nono minuto, quando la canzone è ormai una sorta di gommone armonizzato che galleggia sulla mota di una palude di scorregge depressive, inizia a titillarmi l’anima storda un bell’arpeggiotto di quelli che si inerpicano verso certe combinazioni alternative come ne faceva Jeff Buckley, per intenderci.

E da lì ecco una sparata di accordi in plettrata alternata, tipo black metal, che però crescono via da quel guazzone di budella e grida disperate, e ci trasportano quasi insperabilmente, verso un cielo opaco ma un cacchio di cielo, capite? E dopo oltre le nuvole, su in alto, dove c’è un sole che benedice i figli dell’uomo e dal soffice tappeto di nubi ecco che vedo inalberarsi un assolo indiavolato di grandissima classe: è l’equivalente della pianta di fagioli che cresce fino al culo del gigante, avete presente il cartone della Disney. Questo assolo eleva lo spirito. Cazzate così non ne ho mai scritte, non sono un fottuto hippie, chiaro? Ma qui lo sono, in questi pochi minuti il tipo sembra sempre sul punto di cadere nelle solite svise alla dove cojio cojio e invece ha un controllo da grandissimo scopatore, capite? Sa perfettamente dove caracollare, in quale sacca di scala chiudere e in quale bending inerpicarsi per ripartire più cazzuto di prima. Yeah, gente. Sono soddisfatto.

Sul serio, non so chi dei due, se Dan McDonald (oramai uscito dalla band) o Michael Harutyunyan (lo scrivo una volta sola per intero quel dannato cognome, da adesso lo chiamo Mick) ma un assolo così corposo e di respiro blues non lo sentivo dal 1992. Porcazzozza, che roba!

La base d’accompagnamento ricorda un po’ Welcome To The Machine dei Pink Floyd, ma è come se su quel giro d’accordi suonasse Jeff Beck. Forse esagero, machissenefrega. State leggendo un cavallo.

Il resto dell’album degli Horsehunter è assai più intrigante e vario di quanto possa sembrare l’inizio. Ci sono addirittura cose simili a dei ritornelli e Collapse fa pensare ai Pallbearer.

Cazzo, Bearer Metal!