il primo re
il primo re

Il primo re e la vendetta dello spettatore pagante

Il Primo Re è un film di Matteo Rovere uscito nel 2019.

A volte esco dal mio garage, non tanto per scorrazzare sulle strade con rombanti veicoli, quanto per guardare un film.

Spesso torno felice.

A volte mi annoio un po’.

Poi c’è stata la volta de Il Primo Re di Rovere.
Matteo Rovere non lo perdonerò mai. Sappiatelo. Aveva fatto il bel Veloce come il vento e ci sono cascato.
Il Primo Re è un lentissimo film, girato da costui (sceneggiato da lui medesimo, Francesca Manieri e Filippo Gravino), con la complicità di un pugno di attori (bravi, per altro), rendendo la storia della fondazione di Roma una pizza infinita.

Perché dico questo? Analizziamo il film e lo vedrete.

Due tizi, che si scoprirà poi esser fratelli, pascolano le proprie greggi nei cespuglietti, sguazzando nel fango e blaterando in una lingua che “si suppone” sia proto-latino (ma sembra sardo impastato da litri di Filuferru).

Arriva un’alluvione che accoppa tutto meno i due, li scaraventa in mezzo a una civiltà di ritardati che provano a sacrificarli ma invece riescono a farsi menare da loro e dagli altri prigionieri (non abituati alla battaglia, quasi tutti legati, affamati e macilenti, appena sopravvissuti all’alluvione, un gruppo di sfigati per capirci).

Quella dovrebbe essere Alba Longa?

Pensavo meglio, devo dire.

Partono mazzate a strafottere nella fangazza, che continueranno tutto il tempo della pellicola. Infine i due fratelli, dopo che uno dei due è stato moribondo tutto il film, “si suppone” che litighino in proto-latino (o sardo filuferrico, a scelta, alzi la mano chi scandisce perfettamente il proto-latino dell’ottavo secolo avanti Cristo).

Il mezzo morto uccide l’altro, sano come un pesce, e poi fonda Roma (città che non si vede mai) nella onnipresente fangazza. Discorsetto di chiusura (“Tremate…questa è Roma”, dice Romolo sul cadavere del fratello. Intorno tizi dall’aria poco convinta e fango).

Fine.

Titoli di coda.

Questa la trama del capolavoro osannato dalla critica Il Primo Re, costatomi non solo il prezzo del biglietto ma anche due ore della mia vita.

Voto: 1 su 10

Ma non basta.

Location del film: un boschetto umido, fango, cespugli anonimi. Voto: 2 su 10 ( solo perché la fangazza era fatta di vero fango, mica pizza e fichi).

Ritmo dell’opera: non credevo possibile guardare l’orologio del telefonino così tante volte. Un tizio di fronte a me russava. L’ho invidiato, io ho pure difficoltà a dormire.

Voto? Mavvaffa…..

Costo dell’opera: chi dice otto, chi addirittura nove milioni di euro. Roba da diventare epilettico al pensiero. Con nove milioni di euro ci potevano fare un’altra opera strutturale inutile, o che ne so, delle grandi rotatorie senza senso su strade secondarie, in cui piegare con le moto. Cose normali intendo, che non mi sarebbero costate una serata sana.

Recitazione: Alessandro Borghi e Alessio Lapice sono ottimi attori e non mi stancherò mai di dirlo. Come abbiano fatto a finire invischiati in una tale ciofeca lo sanno solo gli Dei. Poi c’era anche altra gente, ma la pochezza della trama mi impedisce di giudicarli appieno.

Diciamo che tutti e venti gli attori erano bravi, dai. Si perché saranno una ventina in tutto, non pensate alle folle di Ben Hur, lo spettacolo fornito in Il Primo Re è più simile alla braciolata della domenica in riva al fiume, ma con tante mazzate.

E senza vino, perché non c’era ancora nel 753 a.c., anno in cui è ambientata la vicenda.

Ricostruzione storica: non mi esprimo sul proto-latino, del quale il regista deve aver scovato il libro di grammatica da qualche parte (Come blateravano i cavernicoli o forse addirittura 10 frasi in proto latino di uso comune se vuoi fondare Roma).

I costumi… dico: ma vi rendete conto che hanno avuto il coraggio di definire “accurato” il look di quattro tizi in ciabatte di pelo, nel fango, che passano due ore a darsi calci in culo e mazzate in testa.

Mi vien da piangere. Il regista ha avuto il coraggio di dichiarare: «Abbiamo lavorato con archeologi e storici, che insieme ai linguisti e ai semiologi hanno supportato il progetto con l’obiettivo comune di creare una narrazione moderna, composta però da elementi storicamente attendibili».

E sto cazzo, aggiungerei. Nel periodo in cui ha ambientato ‘sta cagata non avevano certo i costumi da colossal, sai, vestivano l’ultima moda dell’età del ferro. Pellicce conciate in casa e stringhe di cuoio. Hanno giusto messo copia di qualche arma del periodo e un paio di piastre paramazzate (si, i famosi cardiophylax dei quali tanto si è discusso, piastra di latta legata a difendere il torace. Che perspicacia, che acume! E io che credevo avessero i caschi in kevlar nel 753 a.c. ).

Nove milioni di euro. Ma ci deve pur essere un nome per un crimine come aver girato questa offesa all’intelletto, con cui io possa definire tale attentato al mio equilibrio interiore!

Fotografia: meglio. Luce naturale quasi sempre, un gran bel lavoro per il bravissimo Daniele Ciprì. Non basta, certo, a salvare un film che non ha altri grandi pregi ma è segno che anche in Italia sappiamo girare pellicole.

Se penso che i critici hanno avuto il coraggio di paragonare questo scempio a The Revenant e addirittura ad Apocalypto di Mel Gibson (parlato strano pure quello, ok, ma di altra levatura artistica senza dubbio) mi assale lo sconforto profondo.

Il Primo Re ha la dote di rendere il filmino delle nozze di una (anziana) coppia di amici di famiglia un vero capolavoro. Anche se il filmino nuziale ha una trama migliore e risulta molto più avvincente.

Con nove milioni di euro si potevano riempire tutte le buche della Cassia. O comprare un sacco di nitrogas per poveri centauri bisognosi. Pensateci mentre vi maledite per aver deciso di vederlo o, masochisticamente, rivederlo.