Amazing Disgrace è il nuovo album dei Quireboys, uscito nel 2019 via DGC.
Come passa il tempo, sembra ieri che spendevo i miei giorni a trafficare su truccatissimi motorini e ascoltavo con enorme piacere tutto l’hard rock ed il metal che riuscivo a trovare sulla mia strada, divorando concerti e video trasmessi ad orari improponibili.
Beh erano anni duri per un centauro in erba, ma bastava un bel pezzo rock’n’roll per migliorarmi l’umore, mentre studiavo come pompare cilindrate che negli anni erano destinate a crescere con me.
Ricordo gruppi che mi piacevano, magari non famosi come altri ma dotati di gran voglia di fare casino e di energia non comune.
Le cose cambiano però e non tutti possono conservare la potenza di un tempo. Alcuni hanno mantenuto una dignitosa capacità di scrivere dischi piacevoli, data più dall’esperienza maturata che da vera ispirazione, perdendo però la freschezza dei primi dischi in maniera chiara e lampante.
Non se ne abbia a male, quindi, chi legge queste mie parole un po’ tristi sul nuovo disco dei Quireboys.
Nati nei primi anni ottanta in quel di Londra, i Quireboys saranno certamente noti a molti di voi, soprattutto ai meno giovani (sigh).
Trattasi di una sleaze/glam band ispirata a sound tipicamente a stelle e strisce, caratterizzata però dalla scelta di inserire nella loro musica le tastiere, elemento non comune nel genere.
Amazing Disgrace, il loro ultimo lavoro in uscita in questi giorni, è un disco che lascia un po’ l’amaro in bocca nonostante alcuni spunti interessanti. L’immagine di copertina certo non aiuta: è la foto di un volto, occhio in primo piano e macchie di trucco colorato. Sa di già visto.
Ci sono pezzi carini come Seven Deadly Sins, singolo da cui è stato anche tratto un video che mostra i nostri intenti a suonare su un palco con gli stessi atteggiamenti da glamster glitterati del passato ma senza la forza che sapevano trasmettere.
Immancabili le canzoni lente (altro sintomo del passare degli anni che sa di “mettiamoci un lento che va bene, aspetta, facciamo due o tre) tra cui spicca la bella Dancing in Paris, canzone che non mancherà di piacere agli estimatori della “ballad unplugged”.
C’è anche la trascinante Slave #1 che arriva quasi a far ricordare i fasti dei tempi in cui Spike e la sua truppa sapevano far sognare. Intendiamoci, lui ha una bella voce e sul palco ci sa fare come pochi, il disco non è un prodotto spiacevole ma non saprei se Sharon Osbourne (che in passato li aiutò a firmare un contratto con EMI) oggi ci vedrebbe la grande energia che allora la colpì.
Chitarre poco incisive benché sempre sopra la sufficienza, una sezione ritmica che non eccelle né delude mai, tutto in Amazing Disgrace pare fatto ad arte, ma senza quella scintilla che incendiava i palchi durante i loro concerti degli anni novanta.
Undici pezzi, che si chiudono con Medusa, My Girl, in cui Spike ci mostra la sua voce graffiante come un tempo, almeno per un attimo. Un pezzo stiloso, intenso e malinconico come l’ultimo sorso di Jack Daniel’s da una bottiglia quasi vuota.