Ci sono un paio di cose veramente orripilanti che ho scritto e che mi hanno sconvolto abbastanza da indurmi a metterle in un cassetto e a non cercare mai di pubblicarle. Ma ci sono anche cose orripilanti che non ho mai messo via, come Pet Sematary – Stephen King
Pubblicato nel 1983, Pet Sematary, insieme a Christine e Unico indizio la luna piena, permise a Stephen King di stabilire un primato letterario: piazzare in classifica dei libri più venduti tre titoli nello stesso anno. Ed ecco qua. Appena si parla di King, subito iniziano i numeri, i record, le indiscutibili ragioni commerciali. Ma nel caso di Pet Sematary c’è molto altro di cui bisognerebbe parlare e compiacersi per il fatto che un libro così profondo e complesso abbia finito per intasare i vagoni della metro di tutto il mondo. Perché parla di argomenti cazzuti in modo molto maturo e spietato. La gente non è abituata a vedersi sbattere la morte in questo modo tra la colazione e il lavoro, quindi lode a King per questo successo.
Pet Sematary è il romanzo sulla morte di Stephen King. Non nel senso che parla di lui che muore, scemotti, ma del suo libro dedicato al tema della dipartita. Più che altro sul fatto di essere padri e dover scoprire e convivere con l’idea che si muore.
Gli uomini (o donne) vivono un paio di momenti in cui devono mandar giù il concetto di fine. Anzi tre. Da piccoli, quando magari si ritrovano a dover dire addio al gatto di casa o al povero nonno e da adulti, quando i figli dicono addio al gatto o al povero nonno. La terza è quando devono dire addio ai genitori, ma non andiamo oltre la seconda mortifanìa.
Stephen King è in linea generale ossessionato dalla morte; ovvio, visto le cose che scrive. Nel 1982, anno in cui materialmente lavorò a Pet Sematary, la figlia Naomi aveva 12 anni, Owen 5, e Joseph (noto come Joe Hill) ne aveva 10. Di sicuro era già passato attraverso la fase della seconda rivelazione sulla morte, quella da genitore, ma evidentemente era giunto il momento in cui tutte le elucubrazioni, le paure e le conversazioni padre figlio sul morire, avevano covato al punto giusto.
Pet Sematary è anche un romanzo su un uomo senza padre, il dottor Louis Creed, e della sua amicizia con un vicino di casa anziano che finisce per avere un rapporto molto vicino alla paternità con lui. E da buon papà lo conduce per mano verso la rovina più nera.
Pet Sematary è poi un romanzo sui gatti. Tra Poe e Fritz il gatto, più o meno. Ci sono pagine molto ispirate in cui King ci parla di questo animale, delle sue seducenti ambiguità e di quanto sia inevitabile che faccia quasi sempre una brutta fine.
Soprattutto però Pet Sematary è il romanzo più disperato di tutti quelli che King ha scritto. Non si salva praticamente nessuno. E per quanto il finale sia aperto, anzi scoperchiato, lo è sull’Inferno.
In Pet Sematary il significato a cui volevo giungere era che quando sei morto è meglio se ci resti – Stephen King.
C’è qualcosa di peggio che veder morire i propri cari, ed è assistere al loro ritorno, marci e confusi sulla terra. Non sono gli stessi, cosa pensavamo di fare richiamandoli indietro? Gli zombie di King però non si cibano di carne umana. Possono essere aggressivi ma non al punto di mangiare i vivi (magari sbudellano animali selvatici) sebbene in tutta la storia aleggi l’ingombrante mito del Wendigo, dio crudele il cui tocco può sprigionare negli esseri umani istinti cannibali.
La caratteristica degli zombi di Pet Sematary è peggiore rispetto a quelli di Romero. Perché loro parlano e… “sanno le cose”.
Nel film di Mary Lambert (di cui parleremo a breve in un post a parte) sono omesse due cose fondamentali. La prima è il gigantesco mostro che si aggira per i boschi intorno al cimitero dei Mic Mac (ma forse non è un male averlo eliminato).
La seconda è la capacità veggente dei ritornanti, i quali sanno le cose più turpi e nascoste dei vivi. La capacità di vedere dentro il cuore nero dei puntatori di dita, dei lapidatori senza macchia, in certo modo ricorda le sparate crudeli di Pazuzu ai preti e alla mamma della piccola Regan, in L’esorcista. King però trasporta tutto in una chiave più alla Peccatori di Peyton Place della Matalious (romanzo che se si vuol capire lo scrittore americano va letto assolutamente).
Ed è quella la cosa che spaventa dei morti, da sempre: che sanno tutto. I fantasmi sembrano sapere il futuro e anche il passato. Il nostro passato. Se ci ritrovassimo davanti l’amico morto che abbiamo tradito, ci domanderemmo se lui ora sa che siamo stati noi a fregarlo. E se è tornato per vendicarsi. Non domandatemi perché ma è ciò che ci chiederemmo di fronte a uno spettro a cui abbiamo fatto una merdata.
La loro posizione tra questo e l’altro mondo, secondo i vivi, gli offre un potere che è proprio del sapere. Uno spettro non puoi ingannarlo. Sa tutto. Vede tutto e non è, nella maggior parte dei casi tipo da non portare rancore.
Sul discorso che è meglio rimanere morti c’è un film imprescindibile: La morte dietro la porta di Bob Clark, che è del 1972 e potrebbe essere il solo spunto ad aver ispirato Stephen King. Il rimando a Zeder è da chiarire. Per certi versi il film Cimitero Vivente del 1989 è un plagio di quello di Avati, con il finale spiccicato. Nel romanzo però la conclusione è diversa. Segno che mentre Maurizio Costanzo, Pupi e Antonio Avati buttavano giù la sceneggiatura del loro film, erano attaccati alla stessa sorgente creativa di Stephen King. Lui si inventò il cimitero dei Mic Mac, così americano e tipico del passato che torna a far pagare ai figli le colpe dei padri (i pellerossa) mentre il film di Avati parla di fantascientifici terreni K da cui scaturiscono paure più cosmiche e irrazionali.
Pet Sematary è un romanzo dove la decomposizione e il cannibalismo sono dentro i vivi, zeppi di voracissimi sensi di colpa.
Gli spettri che tornano per avvertire, tipo lo studente Pascow (simile al Jack di Un lupo mannaro americano a Londra) non servono ad altro se non a dar corpo a quei vermi animistici. E al di là del cimitero da cui sbucano gli zombi che accusano e ammazzano (o il terribile e misterico Wendigo) anche senza tutta quella merda terribile, il mondo dei Creed e del cimitero degli animali sarebbe già pieno di morti che non vogliono andarsene. Quel mondo è il nostro, non è vero?
L’essere più sinistro di tutti, quello che sarebbe bastato da solo a fare di Pet Sematary uno dei romanzi più terrificanti di King dopo It è comunque lei, Zelda, la sorella di Rachel. (Il gvande e potente Oz!) Un bubbone di accuse, una strega di dodici anni deformata da una malattia rara e inarrestabile che le spolpa le ossa fino a ridurla a una pergamena di crudeltà e invidia, un corpo olocaustico che striscia lungo i corridoi della notte, sussurrando accuse taglienti e indiscutibili ai sopravvissuti che non riescono a smettere di ascoltare.
Non c’è una storia più disperata e spaventosa di Pet Sematary, ecco.