Wolf God è un disco dei Grand Magus, uscito nel 2019 per Nuclear Blast.
It’s the grim, great god who will decide, who will decide, who will decide – A Hall Clad In Gold (Wolf God)
Prima parte – Le tre domande essenziali
Sono tre le domande che di solito vengono poste ai Grand Magus, in ogni intervista, quando che escono con un lavoro nuovo e iniziano il giro promozionale. Voglio soffermarmici un momento prima di parlare di Wolf God.
La prima è: perché non vi trovate un altro chitarrista?
JB Christoffersson, che si occupa delle chitarre da solo, oltre a cantare, si limita a far notare che questo tipo di curiosità gli viene messa davanti al grugno dai tempi del primo disco e nonostante ciò, il gruppo va avanti ancora in tre. Quindi la domanda è: perché ancora ce lo chiedete?
La seconda è sui testi. I Grand Magus ne scrivono di ottimi e la cosa non quadra. Nel senso che di solito la considerazione di chi scrive e si chiede sul metal, riguardo le liriche è molto scarsa. Trovare un gruppo che cerca di esprimere qualcosa, riuscendoci, a parole, oltre che di riff, è quantomeno peculiare.
Il problema però nasce proprio da questa mancanza di complessità che i testi dei Grand Magus palesano. Trattano di mitologia norrena, ok, ma dicono le solite cose su Odino, Locki e tutte quelle bestie soprannaturali dai nomi impronunciabili. Eppure il pubblico sembra recepire qualcosa di speciale. Come mai?
La terza domanda è sui capelli. JB Christofferson è stempiato.
Da molti anni, vuoi per l’aumento medio d’età del metallaro, è cresciuta la percentuale dei calvi nel regno della siderurgia pentagrammatica. Alla boccia si recupera peluria con la crescita della barba. Di conseguenza avviene una sorta di capovolgimento. Prima c’erano i capelloni rasati in viso e ora i rasati in testa con molto pelo in faccia.
JB Christofferson le ha tentate parecchie prima di darci un taglio. Cappelli, cappucci…
Poi eliminato l’incipienza cranica con un bel taglio a zero.
Quando intorno a lui sono tutti diventati bonzi barbuti, con grande coraggio si è lasciato ricrescere i pochi capelli che ha, alla come viene viene.
Sembrano cazzate ma nel metal l’aspetto ha sempre voluto dire tantissimo. E bisogna ammettere che un ciccione con gli occhiali e la maglietta di Homer Simpson non può cantarci di Valhalla e Ragnarok come se niente fosse.
O meglio, potrebbe farlo ma dovrebbe almeno usare il cerone e mettersi addosso qualcosa con la pelle e le borchie. E levarsi gli occhiali. Homer Simpson può lasciarlo, è abbastanza metal, in verità.
Queste tre domande sono fondamentali per capire cosa la gente non riesce proprio a comprendere dei Grand Magus. Un’altra chitarra gli servirebbe. Anche nel nuovo Wolf God è chiaro che va tutto bene sulle ritmiche e la scrittura, ma gli assoli non sono nulla di speciale. Un solista con le mani che fumano farebbe al caso. Però a JB non gliene frega un cazzo. Punto.
La mitologia norrena è la cosa più scontata da usare per i testi ma è anche la cosa perfetta se fai metal. Per molti anni le tematiche ricorrenti in una band con le borchie sono stati la violenza, Satana e la confusione sessuale, mentre oggi è finalmente chiaro quello per cui il metal è nato: la vikingitudine. I Grand Magus però non trattano i miti del nord al modo universitario e nerd di tanti gruppi pagan folk black post metal. Loro li affrontano senza andare troppo per il sottile, esattamente come fanno con la musica. Si tratta di una cosa epica e trascinante ma perché è messa in modo semplice e grosso. Senza l’ano, esatto. Non grossolano, come direbbe un fan dei Maneskin. Solo grosso. Enorme.
I capelli poi sono decisivi. JB, fosse per lui, li porterebbe ancora lunghi, ma anche tagliarli a zero è ormai una cosa da fighetti maniaci del controllo e fa molto hipster. Lasciare in pace i follicoli di arrivare dove possono, esprime meglio quel senso di rusticanza dei guerrieri di ventura, ecco cosa è davvero metal! E quel taglio sgraziato e indecente aggiunge un qualcosa di birbante che non guasta per nulla.
I Grand Magus sono per la semplificazione. Less is More. Meno siamo e più suoniamo: potenti. Meno carichiamo i testi e più arriveranno al cuore. Wolf God sta piacendo un sacco in giro e il motivo credo sia proprio nella sua semplicità. Una clavata sul cranio è elementare. Non va già di fino un guerriero che ti spappola la testa con una mazza. Eppure il risultato è davvero assai efficace, se la sua intenzione è quella di uccidere l’avversario e non risolvergli il problema dei pidocchi.
Seconda parte – Noi siamo un trio, all’erta e pieni di borchie
Ogni band subisce tanti cambi di formazione. Ogni band però ha una specie di maledizione riguardo un preciso ruolo. C’è chi sta tutta la vita a cambiare bassisti e chi non riesce a tenersi il cantante. Non voglio esplorare le ragioni di un simile fenomeno. Mi basta dire che per i Grand Magus il problema è il batterista.
Non ne hanno avuti molti. Solo tre in venti anni. Il primo si chiamava Fredrik “Trisse” Liefvendahl ed è durato cinque anni. Il secondo è Sebastian “Seb” Sippola, che per scazzi famigliari ha tenuto il posto fino al 2012 prima di passare pure lui. Da allora c’è Ludwig Witt.
Magari esagero ma è più un turnista che un membro effettivo.
Lud sta negli Spiritual Beggars dalla metà degli anni 90, mentre JB ci entrò nel 2002. Insieme suonarono in quella band otto anni. Oggi Witt è nei Magus. E anche nei Beggars. JB non più.
L’altro commilitone di Christoffersson è Fox Skinner, il bassista.
Sia Skinner che JB sono cresciuti nello stesso paese. Dalarna, Svezia Centrale.
Che posto incantevole, ma se non sei uno gnomo finisce che ti suicidi. Oppure scappi via appena puoi portandoti dietro una chitarra a stella, l’alopecia a buon punto e una bella panza.
JB e Skinner sono cresciuti a Dalarna. Ma avevano un anno di differenza e questo è davvero un bello stacco quando si è ragazzini. Quindi i due non si sono mai cagati pur stando a uno sputo sul culo dell’altro e condividendo ben più di una passione. Hanno finito per arrendersi all’ignoranza reciproca alla fine degli anni 90, ma non a Dalarna. Erano entrambi lontani dal quel posto da sogno che diventa un incubo. Si trovavano in un locale di Stoccolma, un bar non specificato dove Fox suonava. E Christoffersson, tra una birra e un rutto ha deciso di fregarlo alla band sul palco.
Tra i due c’è un legame profondo ormai. Sono il cazzo e le palle dei Grand Magus. Vorrei pensare che Lud sia il culo della band (con buona pace di lui) perché amo le line-up durature, ma dubito che sarà così.
I Grand Magus alla fine sono una cosa con cui non si campa. E i Beggars prima o poi torneranno a muoversi.
In effetti c’è un’altra domanda che ricorre sempre quando si intervista JB: perché la band sia un progetto part-time. Come mai lui e gli altri vivano con un lavoro vero e non aprano le vele del drakkar e inizino sul serio a sfidare le correnti ascensionali solcando l’oceano della Storia metallara?
In molte cose i Grand Magus sono moderni e parecchie di queste cose apparentemente sembrano antiche. Eppure in un aspetto rivestono il prototipo del gruppo metal 2.0: il rifiuto della precarietà e i piedi per terra. Non ci sono più sogni di gloria. Non c’è più un progetto che preveda ville con piscina o grosse macchine con cui timbrare qualche cervo nel cuore della notte.
Del resto JB non vuole negarlo: da Iron Will il gruppo avrebbe potuto vivere a tempo pieno di musica. La richiesta e il seguito da quel punto sono cresciuti e continuano a farlo. Ma se lui e gli altri mollassero il lavoro vero per vivere di metal avverrebbero due cose piuttosto spiacevoli: dovrebbero andare in tour 367 giorni all’anno. E lo so che i giorni dell’anno sono 365, ok?
La seconda cosa è che smetterebbero di fare il cazzo che gli pare su disco, con la paura di perdere il pubblico e quindi lo stipendio.
Inoltre non guadagnerebbero mai abbastanza da pagarcisi una pensione, quando andare dal vivo 378 giorni l’anno, diventerà un’agonia per le giunture, il diabete e il sistema circolatorio.
Ma torniamo a parlare di cose belle e allegre.
Wolf God ha una caratteristica che lo distingue dagli altri album: si è tornati a lavorare alla vecchia maniera. Invece di chiudersi in uno studio a comporre e sovraincidere ogni stronzata, il gruppo ha scritto e suonato i pezzi mesi e mesi prima di mettere piede in sala d’incisione. Poi ha registrato tutto in diretta, sistemando i dettagli qui e là. Vorrei dirvi che si sente che è così ma mentirei. Del resto non è che i Magus l’abbiano fatto per realizzare musica migliore ma solo per rompere con la routine “estenuante”, come la definisce JB, degli ultimi album.
Forse avete sentito parlare di pre-produzione e post-produzione di un disco. Sembrano due cose tanto speciali ma in pratica si riferiscono a tutto quello che un gruppo fa prima di incidere un disco e tutto quello che fa dopo averlo inciso. Più si cresce con l’età e più aumenta la post rispetto alla pre. I Grand Magus hanno solo voluto invertire la tendenza, scoprendo una cosa che Ozzy non capirà mai: che è più riposante fare come nel 1970 che il 1995.
Wolf God, come tutti i dischi dei Grand Magus esprime un concetto piuttosto semplice, che poi è la base del metal. Il vero metal, quello fatto bene e che funzionerà sempre, è in grado di nutrire la forza di volontà e la determinazione di chi ascolta. I grandi miti, dove guerrieri si sbudellano in nome della gloria (e dell’oro e la birra e la fica) sembrano scemenze fuori dal tempo, ma in realtà parlano di uomini che compiono grandi imprese. Non si aiutano solo con le armi e i muscoli ma anche rivolgendo preghiere agli dei.
Gli antichi dei sono molto più vicini alla Natura umana rispetto al Dio Cristiano. Non voglio iniziare una diatriba in questo senso ma il concetto che sta alla base della riscoperta pagana nel giro metal è proprio questo ritorno ai boschi e i lupi.
La natura è la sola vera fonte d’ispirazione a cui può attingere l’uomo, per JB. Curarsi le ferite, trarre grandi idee, capire l’ordine delle cose e determinare se stesso attraverso le prove che la natura offre per fortificare lo spirito umano è tutto ciò che un uomo ha davvero, al di là delle dispute teologiche e le droghe.
E il solo potere che l’uomo ha per se stesso è sempre e solo la forza di volontà. Sembra una fregnaccia nazi ma non è così. Il metal è un naturale serbatoio di energia e autodeterminazione. I Grand Magus, come i metal gods del passato, non vogliono far altro che darci una spinta verso le avversità, verso gli ostacoli, aiutandoci con un riff o una melodia a superarli. E bisogna dargli atto che molte volte ci riescono.
Wolf God, come buona parte dei lavori di questa band, riesce a infondere nello spirito di chi ascolta un senso di rivalsa che può aiutare a credere in se stessi, alzare lo sguardo verso il porco mondo che ci sta affossando ogni giorno di più e tentare di cambiare le cose in qualche modo. Go Heavy!