The Haunting Of Sharon Tate è un film di Daniel Farrands, uscito nel 2019.
Daniel Farrands non ha alle spalle una gran carriera come regista di fiction. Ci sono una serie di documentari molto lunghi e ben fatti sulle saghe horror di Venerdì 13, Nightmare On Elm Street, Halloween e Scream e poi un film che si basa sui fatti veri che hanno ispirato Amityville Horror: The Amityville Murders (2018).
The Haunting Of Sharon Tate è qualcosa di molto curioso e originale. Un lavoro coraggioso che mette le mani dove non si dovrebbe: un aberrante fatto di cronaca come il Massacro di Cielo Drive. I parenti delle vittime sono ancora in vita e di sicuro a nessuno di loro è piaciuta l’idea di speculare sull’accaduto. C’è chi ha addirittura tentato di fermare il film, senza riuscirci.
Ed è meglio così. Il film di Farrands non offende in alcun modo la memoria dell’attrice e i suoi amici trucidati dalla Family di Manson (diamo per assodato che siano stati loro ma ci sono un sacco di tesi che sostengono altro).
Haunting va inteso come ossessione. La storia infatti usa dei fatti reali e li scombina, rimontando differenti strati dimensionali in cui ciò che è avvenuto davvero (!) non avviene e magari accade l’esatto contrario. Questo non rende meno doloroso e terribile ciò che è successo in quella che convezionalmente chiamiamo realtà. E quando ci viene mostrata la versione “ufficiale” ne rimaniamo sconvolti comunque.
Però nulla pare ciò che sembra. Spesso ci risvegliamo da un incubo, come la Tate. Ed è lei a subire per prima lo stress di una situazione bizzarra e minacciosa. Una donna incinta è poco ascoltata se inizia a parlare di assassini alla porta e di nastri satanici. Ma l’ossessione di Sharon Tate (nel film la canterina Hilary Duff) è la sola realtà che ci è data di vivere.
Sharon Tate è la moglie di Roman Polanski. Uno dei misteri di questa storia non è preso in seria considerazione, ovvero come un regista tanto anticonvenzionale e rischioso come il polacco sia riuscito a entrare nello star system americano dalla porta d’ingresso. E lei, l’attricetta carina, in ascesa, ma dal talento modesto, bambola di Dallas, che lui ha deciso di sposare, è parcheggiata con un figlio in procinto di uscire, nella prigione dorata di Cielo Drive.
La casa appartiene a Rudi Altobelli (nome dalle reminiscenze interiste e Mundiali) il quale l’aveva affittata a un sacco di star prima di passarla a Polanski. L’ultimo a starci prima di lui è Terry Melcher.
Terry Melcher era il produttore dei Beach Boys. Ha conosciuto Manson tramite il batterista della band Dennis Wilson. Non voglio dilungarmi a raccontare per l’ennesima volta gli eventi che ormai conoscono anche i sassi di Bel-Air.
Vi basti sapere che Melcher era la vittima designata da Charlie. Il problema con Sharon e i suoi amici ricchi nasce quando è lei a occupare l’ultimo domicilio che la Family conosce del produttore infingardo.
Terry Melcher sarebbe morto, solo o in compagnia di qualche sventurato, se non avesse levato le tende qualche tempo prima. Sarà un melanoma a portarselo via nel 2004.
E anche Wilson dei Beach Boys ha rischiato tanto. Invece se ne è andato 14 anni dopo per annegamento durante una gita in barca.
Sharon Tate e Polanski erano in crisi al tempo del massacro. Sia prima che dopo la tragedia un sacco di chiacchiere vennero fuori su di loro. Lui la tradiva. Lui la picchiava. Lei sopportava. Il film di Farrands non le manda a dire a Roman, presenza assenza criticata dagli amici e invocata da Sharon fino alla fine. Anche lui sarebbe probabilmente morto insieme alla Tate e gli altri… nonostante le sue capacità nel Kung-fu.
Il regista era infatti amico e grande frequentatore delle lezioni di Bruce Lee. I due si trovavano davvero in buoni rapporti e si frequentavano. Dopo la strage di Cielo Drive, Polanski sospettò dell’attore asiatico. Uno degli assassini aveva dimenticato degli occhiali da vista e qualche tempo dopo il fattaccio, Roman sentì dire a Lee di aver perso da poco i suoi occhiali.
Di tutti i conoscenti del regista, Lee era l’unico in grado di ammazzare più persone usando armi e mani. Per un po’, nella mente di Roman, Bruce fu il principale sospettato del massacro, che ci crediate o meno.
Movente? Amore folle per la Tate? Pazzia? Gelosia?
Il polacco era troppo fuori di testa, ovviamente. Oltre a morire di sensi di colpa per aver lasciato sola la Tate (il motivo ufficiale era la scrittura del film Il giorno del delfino, poi girato da Micke Nichols nel 1973, ma probabilmente si trovava lontano da Bel-Air per spassarsela con un’altra) Polanski era un padre in lutto e il dolore, la vita sregolata da star e la smania di mettere lui mano alla gola degli assassini lo portarono a fare un’indagine privata che non lo condusse a… nulla.
Anni dopo, quando girò L’inquilino del terzo piano, il regista omaggiò Bruce Lee, quasi a chiedere perdono per i sospetti sull’attore, morto in circostanze misteriose tre anni prima.
Tutto è un cazzo di mistero. Dalla Family fino all’ultima scorreggia della Tate prima di essere sbudellata da Susan Atkins, Tex Watson, più Linda Kasabian e Patricia Krenwinkel.
Tex era un soldato! (Charlie Manson)
Tex entrò in casa con una corda di nylon, coltelli e altre cose carine e non si fermò fino a quando non vide più nessuno dei residenti respirare. Ma anche le femmine non scherzavano. All’inizio del film Farrands usa materiale di repertorio in cui si vede la Atkins dire che era come in preda alla volontà del diavolo e che ha agito sotto una specie di trance. La frase celebre ripetuta due volte a una supplichevole Sharon Tate (“dovrai affrontarlo perché io non sento un cazzo”) mette in evidenza la totale determinazione di tutti gli assalitori.
A tal proposito vi parlo di due incongruenze sulla ricostruzione dei fatti, in The Haunting Of Sharon Tate. Il primo è la presenza di Yellow (interpretata da Fivel Stewart) una delle assassine dai tratti chiaramente orientali, che nella realtà non ha alcun riscontro. Erano in quattro a entrare e ammazzare tutti: tre donne e un uomo. Farrands invece sostituisce due donne con un personaggio inesistente. Chissà perché?
L’altro fatto è la canzone che infesta la casa. Durante il film lo stereo di Cielo Drive si accende da solo. Nel buio del soggiorno, parte il nastro. Il brano è di Manson. Si tratta di Cease To Exit, poi optato dai Beach Boys e riarrangiato fino a diventare Learn Not To Love.
La domanda che mi pongo è questa. Se Charlie continua a mandare nastri con il suo demo a Melcher, perché dovrebbe riempirli del solo pezzo che Melcher già conosce e ha addirittura messo nel brano dei Beach Boys. Forse è un modo di ricordargli cosa Terry deve a Manson. O forse è solo il pezzo più decente da inserire in una colonna sonora, di tutto il repertorio di Charlie.
Sembra che Charles Manson non abbia mai percepito i diritti sulla canzone Learn Not To Love e le promesse di Melcher/Wilson di produrre un suo album, poi andate a farsi benedire, erano in un certo senso il compenso per quel brano.
La storia rivisitata in The Haunting Of Sharon Tate pare solo frutto dell’invidia sociale. E la canzone che la Atkins e Yellow cantano mentre circondano la casa, in un modo trasognato, come fosse una filastrocca di Elm Street, riporta con quei “Pig Let Us In”, alla fiaba dei Tre Porcellini.
La gestazione di Manson nel film (si vede e non si vede) è quella di un fantasma, un persecutore soprannaturale, il cieco e rabbioso spirito pronto a prendersela con chi occupa la casa, senza discrimine. E le chiamate nella notte, le apparizioni improvvise riportano alla mente mostri fantastici da slasher come Freddy Krueger e Michael Myers, mentre l’assedio della casa è quasi gestito come un’infestazione alla Amityville Horror.
Non è un caso che stia citando tutti i soggetti già esplorati da Farrands nei suoi documentari e film. In un certo senso The Haunting Of Sharon Tate è una summa di quanto ha già visitato e trattato in passato.
La colonna sonora di Fantom ricorda per certi versi quella dei Popol Vuh di Nosferatu. Della band (o forse è un compositore singolo) si sa poco o nulla, ma il lavoro che fanno con i sintetizzatori è pieno di momenti heavy da horror puro e altri più possibilisti e metafisici (alla Thomas Newman) per le parti in cui la Tate parla di predestinazione e multiversi.
Il discorso onirico, posto già come premessa al film con la frase di Edgar Allan Poe della vita come sogno dentro un sogno, si basa su una serie di dichiarazioni vere rilasciate dalla Tate sul destino e la sua vita fortemente segnata da una volontà superiore. Gli aspetti più anarchici del film, in realtà si basano su riflessioni vere.