memoriam
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Cronache Del Dopobomba – Issue #0 – Me, myself and Nostalgia Canaglia

Ovvero “Quello che ascolto, quello che vorrei ascoltare ma non posso e i dischi abbastanza di merda, ma non si può dire perché non sta bene”

E’ iniziato il mio weekend da poco: sono qui alla scrivania, con la mia caraffetta del Brutal Assault – contenente birra bianca che sta ancora smaltendo il suo primo strato di schiuma -, dei pantaloni della tuta troppo larghi e stinti, svariate pile di cd e dvd a sinistra e a destra, una certa stanchezza complessiva e, non da ultimo, The Silent Vigil dei Memoriam a palla da ormai un paio di ore. Cos’altro di rilevante: sono tornato da qualche giorno dal Dark Easter Metal Meeting di Monaco dove ho ricevuto l’ennesima lezione su come si gestisce il mercato metal oltreconfine, e toh, nei messaggi di Whatsapp spunta un vocale di circa quindici minuti mandatomi da Padre Cavallo, vocale che mi riservo di ascoltare alla fine della caraffetta. Del perché oltre confine il metal sia un altro mondo ne parleremo fra un po’, probabilmente, mentre del fatto che io e il giornalettista metal più decostruito della nazione ci mandiamo vocali di un quarto d’ora non so se ne parleremo mai. Ma forse è meglio così, perché potreste non capire. Dicevamo: questo digipak targato Nuclear Blast viene direttamente da un Saturn in centro a Monaco, da dove l’ho portato via alla strabiliante cifra di 6.99 euro, manco fosse una compila techno della peggio gente.

Ora: perché mai dovrebbe interessarvi tutto questo? Per nessun motivo, se non lo stesso per cui leggete Sdangher. Se non siete quelli che amano alla follia Padre Cavallo o quelli che lo odiano visceralmente e lo vedrebbero bene appeso per le palle (parecchi, da quanto mi si narra), siete tra quei lettori che non vogliono recensioni semplici. Siete di quelli che sono interessati a qualcosa di differente, quando leggete di metallo. The Silent Vigil offre qualche spunto notevole sul MetalMondo. E’ un bel termometro, infilato nel culo del metallaro medio, che ci permette di ragionare un po’. Tutto qui. E’ un disco che ha preso diversi sei e mezzo e, quando è andato oltre il sette, è chiaro che la recensione è stata scritta da un leccaculo che è terrorizzato dal fatto che gli chiudano l’account per scaricare i promo o da un diciottenne che dei Bolt Thrower ha sentito solo un mix su youtube (o Spotify, se Gavin Ward non ha rotto i coglioni a qualcuno anche lì. Francamente non sono sul pezzo. Ah, quanto mi mancano le rogne sul merch non ufficiale o sulla Earache, adesso che sono sciolti!). Sì, sono stronzo, se vi interessa. Sono uno stronzo classista e metal-razzista che vi farà pesare ogni volta il fatto che sono (almeno) 25 anni che è nella scena, che lui ha visto più concerti di tutti i peli della barba che potrete mai avere, che ha la casa piena di dischi, che ha fatto il giornalista metal ai tempi dei promo veri, quando ti mandavano i cd, quelli VERI, a casa. E vi lascio pure stare con la menata del tape-trading o della lettera scritta a mano da Varg o dal John Cyriis di turno “quanno stavano ar gabbio”, che non c’ho particolarmente voglia di umiliarvi. E lo sapete perché sono stronzo? Perché è così che hanno fatto con me, all’epoca. Me le hanno fatte pesare tutte, quando ero un imberbe metallaro entusiasta e un po’ rompicoglioni che “voleva di più”. Quindi adesso tocca a voi. E’ un po’ il cerchio della vita, solo che non si viene alzati sulla rupe del Re Leone a contemplare la savana, ma stavolta vi tirano in faccia un po’ di sette pollici dei Nunslaughter. E dovete farveli piacere, cazzo. Se no non siete trve.

Dicevamo: è un disco da sei e mezzo, sulle webzine rispettabili. Quelle che hanno i promo. Non ho nemmeno il coraggio di andarmi a cercare la recensione su Quattro Ruote Hard, vuoi mai (Resiste ancora all’ecatombe della cartacea, a proposito?). Quindi? Dopo sei o sette ascolti il disco mi è entrato in circolo e me lo sto godicchiando. Però, però, però.

Però sono in astinenza da dischi dei Bolt Thrower, purtroppo. Era tipo il 2005, mi pare, e all’uscita di Those Once Loyal avevo ancora qualche capello. Bei tempi, cazzo. Però mi manca la voce sguaiata di Karl Willets, e adesso sentirlo urlacchiare male sopra i riff quasi belli di Scott Fairfax mi causa ancora priapismi simili all’alzabandiera mattutino. Però il metallone a tema guerresco è in sofferenza e talvolta mi ritrovo come un tossico in cerca di una pera ad accontentarmi dei dischi degli Hail of Bullets, Decaying, Just Before Dawn o Trenchrot (evitiamo i cloni Chaosbringer, per favore, ho ancora un briciolo di dignità. O forse no).

Insomma, ho un angolo del cervello che continua a dirmi, nemmeno tanto piano: non è che sei preda dell’ipse dixit degli esperti di settore, del timore revenziale di urlare al mondo che i Memoriam fanno abbastanza cagare e ci accontentiamo di questa roba qua perché di meglio non possiamo avere? Il dubbio c’è. E ascolto dopo ascolto, anche quando comincio vagamente a scapocciare sulla title track o su As Bridges Burn, non riesco a togliermelo. E la caraffetta di birra bianca è ormai verso la fine. Vuoi mai che tutto abbia un senso.

Ah sì, sto dando per scontato qualcosa? Ok, rimediamo. Bolt Thrower, batterista muore anno 2016. Sciolti. Erano 10 anni che non usciva una cippa e ci si accontentava di qualche tour. Karl Willets raduna qualche personaggio dei Benediction e un ex-Bolt e mette in piedi un tributo/band/scusa per fare qualcosa per il suddetto batterista defunto. Due dischi, uno anno 2017, For The Fallen, e uno anno 2018, The Silent Vigil. Impressione generale: sembrano i Bolt Thrower misti ai Benediction (ma dai?). Però un po’ dei poveri. A volte un po’ tanto dei poveri. Eppure tutto sembrava a posto: copertina di Dan Seagrave, patrocinio Nuclear Blast, attitudine “dai che onoriamo il compagno morto” e facciamo del bene. Erano la band che DOVEVA far bene. E invece no. O forse nì. O forse sì. A seconda che ti mandino il promo o a seconda che tu sia legato alla tua gioventù brufolosa e priva di sesso rappresentata dalla stinta t-shirt di The 4th Crusade. E allora come la mettiamo?

La mettiamo come è veramente, nella sua più completa semplicità. Almeno per me. I Memoriam non sono niente di che. Al punto che sei, sei e mezzo o qualsiasi altra cosa non contano davvero più nulla. Il problema vero è che i Memoriam sono come quel video di youporn che ti promette cose ma finisce parecchio prima del più bello. C’è quel riff, c’è quella melodia, c’è quell’epicità Bolt Thrower. Ma è quella usa e getta delle b-sides, quella probabilmente che c’era nel disco di fine anni 2000 che Ward disse di aver accantonato in quanto “non competitivo”. Eppure, diciottenni, quarantenni o casual listeners ci accontentiamo un po’ tutti: d’altronde, altro non c’è. A proposito, i Memoriam stanno per tornare con un terzo album in estate, sono ancora sotto Nuclear Blast e io stesso sarò pronto a comprarmi l’ennesimo disco che sarà quel che sarà, con la speranza e l’occhio acquoso che possa essere qualcosa in più. Ma non lo sarà, vedrete.

Dai, facciamo la moralona, come alla fine delle puntate del cartone di He-Man, quello anni 80. Che cosa abbiamo imparato da questo primo episodio delle Cronache del Dopobomba?

  1. Che i Memoriam vorrebbero essere i Bolt Thrower, ma non lo sono. Un po’ perché sono vecchi, stanchi e vagamente tromboni; un po’ perché sono in qualche modo costretti a pubblicare un disco ogni 12 mesi (da una logica di mercato/etichetta che ti da delle scadenze/da se stessi) e porta pazienza, i capolavori in fila non venivano nemmeno a Black Sabbath o Deep Purple, figurati a loro; un po’ perché non sono i Bolt Thrower, ma un quarto e poco più dei Bolt Thrower, fatalità quelli che non hanno mai avuto il timone della band. Mica niente.
  2. Che chi gli da sei e mezzo è al limite dell’oggettivo. Chi gli da di più, ha un qualche problema. O perché è un webzinaro emergente che deve rispettare il politically correct per far crescere il suo sitarello (ed io lo fui), o è un quarantenne/cinquantenne che farebbe di tutto per essere di nuovo giovane, imbriaco e nel moshpit del tour di Realms of Chaos (ed io lo sono). Se il mondo fosse giusto, brutale e schietto, i Memoriam sarebbero spernacchiati in lungo e in largo come una fotocopia sbiadita, ma stiamo parlando di un Iperuranio che esistere non può (e non deve, in fondo, un mondo di contraddizioni è estremamente più stimolante).
  3. Che il metal vive, in questi anni, di autocelebrazioni e di cicli velocissimi. Un ventennio cambia davvero tutto e arriva puntuale il momento di far ripartire la ruota. Andatelo a dire ai Necrophobic, per esempio, che ho visto suonare in stile Wembley qualche giorno fa, osannati dalla folla. Nei primi 2000 se dicevi di ascoltare i Necrophobic ti cedevano il posto disabili sul bus, o poco ci mancava (e io ero sempre seduto in bus, adesso che ci penso). Comunque: Karl Willets e soci, con la scusa di onorare Martin Kearns, si sentono ancora giovani, altroché. Un po’ come me, che ho appena preso la t-shirt degli Absu The Sun of Tipharet e l’ho indossata con orgoglio lo scorso weekend al Dark Easter Metal Meeting, gloriandomi di quanto sono “trve”, dopo tutti questi anni. Nonostante i pochi capelli e la panza. D’altronde, io ho Hell’s Unleashed e Hrimthursum originali presi all’uscita. Vorrà pur dire qualcosa, no?