Il perdono dei vecchi e il risentimento dei giovani!

Cari Sdangheri, è l’ispettore Derrick che vi parla. Qualche dannato fascista mi ha levato dal palinsesto di Rai 2 mandando nello sconforto assoluto decinaia e decinaia di poveri vecchietti che, una volta tornati dal cantiere, non hanno più saputo come concludere la serata. Adesso vivo a Sdangher, insieme a Titti Angeramo, Adolf Hitler, Stalin e tutta una serie di malvagi della storia che l’umanità vorrebbe rimuovere dai palinsesti di History Channel.Il Padrecavallo mi ha offerto la possibilità di scrivere qui, oggi, perché lui non si sentiva di farlo. Sapete come funziona la domenica a Sdangher, vero? Un redattore a turno scrive ciò che vuole, fregandosene delle conseguenze. Purtroppo questa grande generosità confessionale ha procurato una serie di incredibili difficoltà al mio amico Padrecavallo, sul lavoro, in amore e persino con le proprie figlie.

Lui sostiene che c’è tempo per rimuovere i post il giorno che saranno abbastanza grandi da sbirciare il blog, ma gli è stato fatto notare che gli assistenti sociali sono già abbastanza grandi da sbirciare il blog, magari sotto segnalazione di qualche genitore geloso dei virtuosismi congiuntivi del Padrecavallo. O forse della sua equina avvenenza.

In ogni caso Padrecavallo sta attraversando un buon momento. Per dirne una: si è innamorato. E se non vi basta, è pure corrisposto. C’è una donna che ha perso la testa per lui e lui ha perso la testa per lei e ora, in questo momento, si stanno rendendo le rispettive teste. Padrecavallo ha trovato quella di lei sotto al letto di lui e lei ha trovato quella di lui in testa a Ruggiero Musciagna.

E così ecco che la vita elargisce anche per Padrecavallo il suo lieto fine. Peccato che non sia per niente una fine ma l’ennesimo bel principio. Chissà quali gioie ma anche travagli emotivi susciterà questo amore? Poco importa, quello che conta è che sia amore. L’amore vero è qualcosa di cui tutti avremmo bisogno. Ci eleva. Ci fa sentire migliori o per lo meno ci mette in cuore il desiderio di essere migliori e ci permette di tornare a scopare tanto e alla grande. Non ci deve però spingere a essere diversi da ciò che siamo, non al punto di tradire la nostra natura. Questo sarebbe un errore. Tipo finire per rispondere all’identikit di una compagna esigente.

L’amore non c’entra un bel nulla con “quando ti decidi a cambiare?” oppure “non sopporto questa tua abitudine a scaccolarti”. E soprattutto l’amore non significa “ora io salverò questa persona dal proprio inferno con la forza del mio amore”. Vi dico una verità che dovrete bacarvi nel cervello, se già non l’avete fatto: l’inferno vince sull’amore. O alla meglio vanno in parità. E da qui l’esclamazione l’amore è un inferno.

Nessuno può salvare il culo di nessuno dalle fiamme, a meno che non sia questa persona a salvarsi da sola. Noi possiamo tenderle la mano e tirare, ma non infilarci nel pozzo di fiamme e da sotto spingere il sedere di questa persona verso la luce.

Purtroppo è così. Se vivete accanto a una persona infelice non dipende da voi. E soprattutto non sarete voi a renderla felice. Voi potete cambiare qualcosa nella vita di lei ma riguarda solo voi. Non gli altri. Gli altri dovranno cambiare da soli.

Potete essere una fonte d’ispirazione con il vostro esempio ma sempre mostrando al mondo che è possibile quanto vi sto dicendo.

Ma basta queste saggezze da due soldi. Farete pure il cazzo che volete, no? Per quanto mi riguarda, come ispettore in pensione amo mettermi seduto al mio bel tavolo di quercia a rimirare le vecchie stellette e i cimeli nazisti che mi guadagnai sul campo.

Il mondo non può capire la nostalgia per il passato. Anche un serial killer rimpiange la sua prima vittima. Questo però non significa che io ami il nazismo. Ho capito che Hitler era un pazzo e che la Germania fu vittima di una sorta di ipnosi. Questo non libera il mio popolo dalle proprie responsabilità ma negare gli errori è il primo passo per compierli ancora.  E soprattutto se la Germania si perdona non significa che apologizza il Nazismo, porcaputtana.

In ogni caso, me ne fotte una sega se la cosa non vi piace. Vi racconto però un episodio che mi è accaduto qualche giorno fa. Me ne andavo in giro per Monaco, così, come fanno i vecchi, senza una meta specifica. E mi sono ritrovato magicamente davanti a un cantiere. Io però non sono tipo da cantieri. Me ne fotto dei cantieri. E così ho proseguito per un altro po’, cercando di ricordare chi cavolo sia io (a volte mi capita) e dove cappero mi trovi. E poi ho riconosciuto la via.

La stessa via in cui vagavo da adolescente. Gli anziani e gli adolescenti tendono a fare un po’ le stesse cose. Sia i primi che i secondi sono in una specie di sala d’attesa esistenziale e soprattutto non si illudono di rimanere per molto in quello stato. Gli adolescenti sentono una specie di nostalgia per quando erano bambini e un timore profondo per ciò che sta capitando. Capiscono che essere adulti non è solo patente e alcolici, ma anche le fottute responsabilità.

Hanno bene in mente la faccia triste e sconfitta dei loro genitori e sanno che il mondo che li attende non sarà più clemente con loro. Faticano a sopportare il senso di divenire costante, tra ormoni in subbuglio e peli in posti nuovi. Gli anziani perdono peli e, per quanto la sessualità sia ancora pimpante, sono talmente disgustosi che non sanno dove infilare il proprio arnese. Quindi vanno a puttane. O si masturbano. Come gli adolescenti.

Solo che gli anziani non si fanno illusioni. Sono prossimi alla bara. A un tumore e alla bara. A un infarto e alla bara. Insomma, ero preda di queste riflessioni divertenti in un quartiere di Monaco dove trascorsi l’adolescenza e mi ricordai delle lunghe conversazioni che avevo con un mio amico di allora. Si chiamava Sborromeo. Non ridete. Era il suo nome.

Sborromeo amava il cinema, la letteratura, voleva diventare un regista e ricordo che azzannava i libri con la foga di un tasso sui funghi allucinogeni. Ammiravo molto la sua determinazione e la sua conoscienza, finché un giorno mi resi conto che lui non si limitava a elargire le proprie scoperte intellettuali ma faceva in modo di farmele pesare. Tendeva a sotterrare il mio ego con i libri che leggeva lui, i film che lui aveva appena acquistato o i pensieri meravigliosi (puntualmente rubati a qualche filosofo o scrittore che non conoscevo) che fingeva di partorire lì per lì. Io ci cascavo. Se dicevo una cosa intelligente o scoprivo un saggio interessante e correvo da lui per condivere la novità o confrontarmi su certi pensieri, lui mi tappava la bocca con una sfilza di argomentazioni contrarie e il giorno dopo, riguardo il saggio, mi mostrava la copia che aveva appena acquistato e il punto dove era già arrivato con la lettura. Credevo fosse un genio e nel mentre soffrivo per la mia inadeguatezza al suo confronto.

Il giorno che divenni ispettore ricevetti delle lettere minatorie che sostenevano io fossi un nazista e meritassi la prigione. Ovviamente nulla fu dimostrato e dagli errori sintattici tutto potei pensare tranne che si trattasse del mio ex amico aspirante regista.

Poi Harry lo arrestò. L’aveva beccato a lasciare una delle lettere davanti al portone del commissariato. Aprii la missiva e vidi gli stessi errori sintattici. Me lo misero davanti i miei uomini ma io mi limitai a guardarlo un momento negli occhi con gran disprezzo e poi dissi a Harry di lasciarlo andare.

Non fece più nulla per danneggiarmi. Io di contro indagai un po’ su di lui. E scoprii che non era diventato regista, né scrittore e tantomeno giornalista. Era solo uno di Monaco con la casa piena di libri e film che non aveva mai letto o visto, per la maggior parte.

Ebbene, vi racconto questa storia per dirvi che l’altro giorno rividi me e lui fuori da un negozio di stampe dove lui lavorava al tempo, che fumavamo e parlavamo di montaggio russo o di teologia o di qualsiasi altra cosa ci apparisse abbastanza complicata e intellettuale da illuderci che eravamo dei tipi in gamba. E provai un senso di dolcezza e di malinconia.

Le ragazze ci passavamo vicino e ridevano ma noi le ignoravamo e ci davamo dentro con Freud o magari Topolino. Insomma, erano giorni lontani che mi sono ritrovato a rimpiangere. E persino lui, quel mio amico che a mia insaputa tendeva a farmi sentire di merda e usarmi come cassa di risonanza per il suo ego, e che poi tentò, per invidia, di farmi saltare la sedia di commissario da sotto al sedere, insomma, anche lui mi manca un po’.

E mentre tornavo a casa ho pensato due cose. La prima è che siamo così disperati all’idea di morire, che arriviamo a rimpiangere anche le cose più discutibili della nostra vita passata (vedi le mie medaglie nazi) ma solo perché sono parte del tempo in cui eravamo giovani, adolescenti in salute, con il mondo davanti e non dietro al culo, tipo un anziano.

Ma soprattutto ho pensato di perdonare quel mio amico. Ho sentito una quiete dentro. Non più quel pizzico di risentimento che per anni non mi aveva mai mollato. E anche ora che ho chiuso con la TV, per via dello scandalo del bauletto di cimeli nazi della mia giovinezza, avverto una calma e una lieta indifferenza verso il gesto di quel mio amico.

Il perdono è una cosa bellissima. E uno dei privilegi di quando si è anziani, forse. Inutile dirvi che mentre camminavo e riflettevo, ho finito per ritrovarmi davanti al solito cantiere. Ho sorriso e ho lasciato vincere per un po’ il potere magnetico di cellule morte e martelli pneumatici e poi sono tornato nel mio appartamento a guardarmi i vecchi episodi di Derrick che ho ancora tutti registrati in VHS.

Bene, ringrazio Padrecavallo per questo piccolo spazio che mi ha riservato. Ne approfitto per salutare Harry e gli amici del cantiere.