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Ozzy 1982-1983: Non ci resta che ululare!

1 – LAVORARE PER LA BESTIA

“Credevamo di aver elevato il comportamento animale a forma d’arte. Ma poi incontrammo Ozzy” – Motley Crue

Non c’è niente da fare. “Grazie, ma no grazie!” Brad è riconoscente per le parole di stima da parte degli Osbourne. Ozzy addirittura è arrivato a dichiarare ai giornali che lui è il miglior chitarrista che abbia mai avuto, in barba al giurassico Iommi e all’ormai sindonico Randy Rhoads. Gills però non ci casca: vuol tornare nei suoi Night Ranger. Punto.

E così per Oz e il suo entourage c’è da rimboccarsi le maniche e mettersi ancora alla dannata ricerca di un nuovo istrione della sei corde, qualcuno che sappia rilevare un’eredità sempre più pesante. Chi può rimpiazzare un dio del metal come Tony e un martire tipo Randy. Forse gesù cristo?

Ozzy si rivolse a Dana Strum – ricorda Jake E. Lee – Dana inizialmente era il suo bassista, a quanto ho capito. Ozzy viveva a Los Angeles in quel periodo e Dana gli portò alcuni chitarristi per provarli. È così che aveva trovato Randy la prima volta.
Dana Strum, ricordato per essere il produttore dei Kiss, poi al basso nei Vinnie Vincent Invasion e infine leader degli Slaughter, a quel tempo fa tipo da magnaccia di chitarristi per Ozzy.

E Dana gli porta 10 ragazzi che dovrebbero essere i migliori a LA. E tra loro c’ero io – conferma Lee – Siamo andati tutti in studio e ci ha dato cinque minuti per registrare ciò che volevamo far sentire a Ozzy.

Jake E. Lee insieme a Stephen Pearcy dei RATT

Jake inizia come Jake Williams, nei Mickey Ratt, e dopo passa ai Rough Cutt, prodotti da R.J. Dio. L’ex Rainbow e Sabs resta folgorato dalla sua bravuta e gli dice: cazzo, ragazzo c’è giusto un posto libero sul mio arcobaleno! Lee risponde: ehi, perché no?
Purtroppo tra i due la magia non dura. Jake e Ronnie discutono per una questione di diritti d’autore su un brano che si intitola Don’t Talk To Strangers, avete presente? Beh, pare che Lee ci abbia messo del suo, anche se nessuno si è mai sognato di riconoscerlo. Dio risulta l’autore unico di quel pezzo, così come per la title-track Holy Diver. Sappiamo tutti che dietro quella firma c’è un mondo. E il mondo, quello discografico in particolare, funziona così. Entri nel giro, elargisci le tue idee e il tuo entusiasmo, però i soldi se li becca qualcun altro. Arriverà anche il tuo momento, basta che resisti e ti fai un po’ succhiare da quei vecchi vampiri che ti stanno offrendo un po’ del loro palco e della loro fama. Jake su questo non è mai stato molto accomodante. Almeno fino a quando non finisce nelle grinfie di…

Ozzy, esatto, che al tempo era più o meno come nella foto qui a fianco.

Insomma, torniamo a Dana che porta dieci ragazzi alla corte del grande e potente Oz.
Subito dopo aver inciso un po’ di fraseggi e riff  –  ricorda Jake E. Lee – ci scattarono una foto e la misero insieme a ogni rispettivo nastro, da consegnare a chi avrebbe dovuto sceglierci. Oltre a me ricordo che c’era anche George Lynch. E un altro che passò la selezione fu Mitch Perry (ex Heaven e Keel).
Immagino che fosse George il candidato principale, perché da quello che tutti dicono, ai tempi era già stato sul punto di essere preso, prima di Randy.

Lynch, un po’ come Gills, si trova a dover scegliere tra Ozzy e la band con cui sta cercando di emergere: i Dokken, freschi di un contratto in Germania.
Pensavo fosse un’occasione migliore – dice il chitarrista – però vi assicuro che al tempo combattere con Ozzy era proprio un gran casino.
Dalle parole di Lynch, sottoscritte anche da Jake, viene fuori la realtà dei fatti intorno a Ozzy Osbourne del 1982. Entrare nel suo gruppo non offre assolute garanzie di carriera. Può benissimo non essercene una. All’inizio degli anni 80, l’ex frontman dei Sabs è così malmesso e intossicato di alcol e droghe, che sperare di andare in tour e incidere un album con lui è molto più di una ottimistica visione: è quasi una fottuta utopia. – La prima volta alla fine dissi di no e poco dopo Oz trovò Randy – spiega Lynch – Quando poi Gills mollò, decisi di rifarmi vivo. Non ero più così convinto di avere un futuro con i Dokken, quindi pensai che forse sarebbe stato meglio per me tentare di nuovo con Ozzy.

Così George ci prova una seconda volta e stavolta parte in tour con Oz.
Il mio secondo tentativo fu quasi un successo – dice Lynch. – Ricordo che al tempo consegnavo ancora i liquori col furgone quando mi chiamarono. Presi un aereo per l’Irlanda con l’addetto stampa della band e mi feci qualche data del tour.

Ha fatto qualche soundcheck e cose del genere ma non si è mai esibito –  dice Jake E. Lee. – E questo perché Ozzy non era  convinto di lui. Quindi disse di voler sentire qualcun altro e una sera mi chiamò, proprio Oz di persona. Mi informò che sarebbe stato in città e che era intenzionato a vedermi in azione con la sua band.

Vero. Dall’Irlanda fino al ritorno in America non successe nulla. Mi tenevano al seguito e quando mi dicevano di suonare con loro io suonavo. E poi nulla. Si andava avanti in questo modo. Alla fine ricordo che feci un po’ di prove anche a Dallas – dice Lynch – e Sharon e Ozzy entrarono con quelle enormi borse piene zeppe di quattrini e con indosso delle lunghe pellicce: sembravano la famiglia reale. Si misero a confabulare e poi i loro collaboratori vennero a dirmi che a nessuno dei due piaceva la mia chitarra. Io me l’ero costruita da solo, l’avevo fatta verde tigrata. Per Sharon sembrava una gigantesca caccola e non le andava bene. Non scherzo.

George Lynch e la Caccola Guitar!

Jake dice subito di sì ma appena riattacca il telefono inizia a sudar freddo. Non conosce nessuna canzone di Ozzy. Non si è preparato nulla perché ormai credeva di non essere più chiamato. E così esce di casa e si procura una copia di Blizzard Of Ozz. Impara al volo Crazy Train e I Don’t Know e poi ha una pensata “geniale”.
Con quei due brani il giorno dopo mi sono presentato all’audizione, al SIR Studios – dice scuotendo la testa. – Arrivai con quaranticinque minuti di ritardo. Dana Strum mi riferì che Ozzy stava quasi per andarsene e che lui l’aveva convinto ad aspettarmi. Poi suonai e feci schifo.

Lee è in grado di suonare i due pezzi che ha portato per l’audizione, come tutto l’intero repertorio di Rhoads, ma per fare colpo su Ozzy pensa di inventarsi una sorta di arrangiamento unico, un medley dei due brani. Tanto pensa: sono entrambi sulla stessa tonalità e hanno il medesimo ritmo, è facile fonderli insieme!
Attaccai a suonare e questa mia idea di unire le canzoni mi portò semplicemente a incasinarmi la testa, a confonderle. Alla fine pensai: sto facendo una figura di merda, cazzo! Si capiva che non sapevo cosa stessi combinando con quei pezzi e una volta finita l’esibizione ero sicuro di aver bruciato la mia opportunità.

Jake si sente umiliato e abbassa lo sguardo sul proprio strumento fingendo che comunque sia, sticazzi. In realtà teme come il cancro di incontrare lo sguardo di qualcuno dei musicisti di Ozzy. Inizia a mettere a posto i suoi pedali, la chitarra e a quel punto qualcuno gli si avvicina. George Lynch è davanti a lui.

Andai a Hollywood – racconta George – per unirmi una buona volta alla band di Ozzy. E questa cosa continuava a non accadere. Iniziavo a spazientirmi ma cosa potevo fare?  Qualcuno mi riferì che stavano pressando Sharon per sottoporre Jake E. Lee a un provino. Non avevano preso un impegno fisso con me, ancora, quindi poteva anche starci. Entrai in sala e con sorpresa vidi che Jake era lì. Jammava sul palco con la band. Aveva l’aspetto giusto, completamente impellettato dalla testa ai piedi. Niente da dire sul look. Peccato che suonasse di merda. Lo ammise anche lui, tempo dopo, nelle interviste.

Jake ci ripensa e se la ride: Lynch mi domanda: “ehi, come pensi che sia andata?” E io rispondo: “non ne ho idea… non ci ho capito niente!” Ma a quel punto si avvicina Oz e si mette tra noi due. Poi fa: “vuoi il posto, Jake?” E io dico: “certo!” E lui allora: “farai un cazzo di concerto con noi, Jake?” Dico: “Ehm… yeaaaas! Allora lui si rivolge a George e gli urla in faccia: “Il posto è di Jake. E tu sei fuori!” Poi se ne va lasciandomi lì con Lynch che guarda il vuoto. Non è mai stato bello vedere Ozzy licenziare qualcuno.

Non andò così – dice George – In realtà dopo aver parlato con Jake andai nel backstage e a ricordarlo mi viene in mente il finale di The Blair Witch Project, quando si vede la donna che fissa il muro immobile. Ozzy si volta e dice: “ah, già, abbiamo preso un altro”. Tutto lì. Niente “mi dispiace” o “mi dispiace che tu abbia mollato il lavoro e sia indietro con l’affitto di due mesi e stia presentando istanza di fallimento”. Comunque se avessi avuto il posto, mi avrebbero pagato duecentocinquanta dollari la settimana… Alla faccia dei miei sogni di rock and roll!”

2 – LIFE WITH OZZY

Tutti immaginano l’Oz dei primi anni 80 come un tipo sempre fuori di testa ma burlone e ridanciano, un bambinone gestito da Mamma Sharon, pronto a mettersi in grandissimi casini e incapace di uscirne da solo, però non sanno quanto lui possa diventare spietato e sadico con i suoi sottoposti.

Secondo Sharon è in gran parte l’alcol a rendere il marito molto aggressivo, in certi momenti, ma per Jake avere a che fare con Oz non è stato mai così semplice e più di una volta ha sofferto per quelli che sono finiti nelle grinfie del cantante nelle giornate sbagliate.
L’episodio che ricordo con maggior rincrescimento – dice Lee convinto – è quando licenziò Don Costa.

Una delle rare foto di Costa nella band di Ozzy

Don Costa è stato per un breve periodo bassista di Ozzy. Pochissimi se lo ricordano perché non ha resistito granché. Chiamato nel 1982 a sostituire Pete Way nel tour, in pratica lui e Jake E. Lee sono assunti quasi in contemporanea per finire il tour di supporto a Speak Of The Devil in Europa e Stati Uniti. La versione ufficiale del licenziamento è questa: Don è stato preso letteralmente a pugni da Ozzy a causa di un maldestro e irrazionale tentativo da parte del giovane bassista di… ehm, baciarlo.

Curioso se pensiamo che in un numero di Kerrang del maggio 1983, Don Costa è presentato ai lettori, in un’intervista, come una specie di gigolò impenitente sempre su di giri e molto pieno di sé. Per molti di quelli che erano vicini alla situazione, probabilmente c’entra il carattere molto esuberante di Don, ma Jake racconta la vicenda in un modo che sembra quasi scagionare il bassista.

Con Don abbiamo fatto il tour insieme ai Whitesnake – ricorda Lee – più alcuni concerti americani cancellati a causa della morte di Randy. Andava tutto bene tra noi e con gli altri della band. Poi un giorno, Don è stato chiamato sul retro dell’autobus da Ozzy e forse tre minuti più tardi, l’ho incrociato che scappava via, tenendosi la faccia, con il sangue che gli schizzava da tutte le parti.
Jake si sorprende e va subito a cercare Ozzy per chiedergli se sa qualcosa di quello che è successo a Don. E lui gli risponde urlando: “vuoi sapere cosa è successo? Te lo dico io cosa cazzo è successo: quel figlio di puttana ha cercato di baciarmi, ecco cosa è successo!”

Jake raggiunge Costa e gli domanda se è vero quello che racconta Ozzy, ma Don nega deciso e dichiara un’altra versione: “quel fottuto bastardo mi ha chiamato sul tour bus dicendo che voleva parlarmi. Poi mi ha chiesto di avvicinarmi. Vieni più vicino ancora, ha detto. Poi di colpo, bam!, mi ha spaccato la faccia con una cazzo di testata!”
Jake guarda Don incredulo. Poi sospira e gli dice: “amico, penso che tu sia stato appena licenziato”.

Fosse stato così chiaro anche a Don, magari le cose non avrebbero assunto dei risvolti ancor più amari oltreché grotteschi. – Le settimane successive – dice Jake – dovevamo fare un concerto negli Stati Uniti e Don era ancora con noi. Oz mi aveva detto che le cose erano sistemate. Costa aveva firmato un accordo in cui prometteva di non tirare più fuori la questione. In cambio gli Osbourne avrebbero pagato il conto dell’intervento chirurgico al naso. Il problema però è che non si capiva se Costa fosse ancora nel gruppo o no. E nessuno chiariva la questione. Don era sicuro di sì. Mi ha assicurato che aveva avuto precise istruzioni di presentarsi al concerto. E lui ci venne con tutta la famiglia”.

Ma arrivati al Festival dove Ozzy deve esibirsi, Jake incontra Bob Daysley, l’ex bassista della band. – Mi sono avvicinato a lui – dice Jake, – e mi sono presentato. Lui mi ha stretto la mano. Gli ho chiesto cosa ci facesse lì. Lui mi ha risposto tranquillo: suonerò per te, ragazzo, ecco cosa faccio qui. Sono tornato nella band di Ozzy!

A Jake prende un colpo. Tanto più che nel momento in cui incontra Costa lo vede tutto eccitato e convinto che sta per esibirsi con gli altri. Ci sono i suoi parenti con lui, sono lì per vederlo suonare con Ozzy. – E io non ho avuto il coraggio di dirgli nulla. Ho risposto: “ehm… ok! Ci vediamo dopo, allora”. Poco dopo, sempre allegro, l’ho visto salire sul bus dove c’era Sharon ad aspettarlo. Lei gli ha detto che non era più nella band e per lui è stato orribile. Voglio dire, se hai intenzione di mandar via qualcuno, perché farlo in quella maniera? Penso sia stato il peggior licenziamento che abbia mai visto in vita mia!

3 – ULULARE A QUALCOSA

Beh, vediamo – dice Jake andando indietro coi ricordi – all’inizio c’era Tommy Aldridge alla batteria, Don Costa al basso, Lindsay Bridgewater alle tastiere e Oz alla droga e all’alcol. Posso dire con un certo orgoglio di aver suonato con Ozzy al suo momento peggiore. Allora non sembrava una cosa fica da dire, ma ora è un po’ come una medaglia d’onore che io fossi lì tutto il tempo. Era una situazione complicata ma interessante.

Finito il tour di supporto a Speak Of The Devil è già tempo di mettersi al lavoro sul nuovo album. E Jake ha la possibilità di scoprire cosa significhi creare musica assieme a un mito come Ozzy Osbourne.
Per la maggior parte del tempo eravamo io e Bob Daisley a scrivere cose. Lui si limitava a sentire le canzoni e dire qualcosa di tanto in tanto. Per esempio un giorno inventai un riff e glielo sottoposi. Ozzy annuì ed esclamò “uhm, lo adoro. Lo chiameremo “Bark At The Moon”. Aveva già il titolo dell’album in mente. Era così, lui si intrometteva con cose del genere e poi beveva e beveva, magari a un certo punto sveniva direttamente davanti a noi, oppure spariva all’improvviso. Andava via lasciandoci soli, io e Bob.

Daisley è il paroliere di Ozzy. Tutti i testi dei suoi album fino a No Rest For The Wicked li ha scritti lui. È stato il medium tra il personaggio Osbourne, folle, esagerato divo dell’oscurità più anticonformista e mangiatore di pipistrelli e colombe, e il pubblico che ha mandato a memoria i versi delle sue canzoni, credendo che fossero farina del sacco di Ozzy. Ha scritto Bob tutti i testi – conferma Jake, – ed un grande paroliere.

Ozzy con la line-up del 1983. Bob Daisley è il secondo da sinistra.

Anni dopo, quando la situazione tra Daisley e la famiglia Osbourne finisce in un contenzioso legale, Bob non si limita più a stare nell’ombra ma inizia a rivendicare la proprietà di quelle liriche, sbugiardando Ozzy e rimandando ai suoi maldestri tentativi, durante le interviste, di spacciare per sue le musiche e i testi di Bark At The Moon. – Disse di aver composto l’intero disco da solo – dice Jake ridendo – con un pianoforte. Suonandolo con una sola mano… ma per favore!

Volete qualche esempio? – chiede Bob mettendosi comodo – prendete “Waiting For Darkness”: il titolo è di Ozzy ma ho scritto io le parole. Lui aveva solo quello e nessuna idea di cosa far seguire a esso. E così mi sono ispirato all’ipocrisia all’interno della religione organizzata. Sapete, il lavaggio del cervello, il controllo della mente, la pedofilia e la manipolazione attraverso il senso di colpa? Ecco. Ebbene in quella canzone io dicevo che se questa era la cosiddetta “Luce”, allora avrei aspettato “l’oscurità”. Quando chiesero a Ozzy cosa intendesse con quella canzone lui rispose: “Parla di una strega! Parla di una fottuta strega, amico!” Capisci? Sembra che non abbia nemmeno inteso il senso dei testi che avevo scritto e che lui cantava a firmava, ma se ne è preso il merito per anni”.

Questa situazione Daisley l’ha già assaggiata ai tempi di Diary Of A Madman eppure, nel momento della difficoltà con Don Costa, Ozzy lo richiama e lui risponde presente. Come mai? – Prima di tutto eravamo ancora buoni amici e Ozzy e io lavoravamo bene insieme – dice Bob. – Mi è sempre piaciuto lo stile e la direzione musicale che ha preso da solista. Le sue melodie sono state sempre straordinarie.

Perché è vero, se c’è una cosa in cui Ozzy non è semplicemente un supervisore ma un creativo intraprendente e decisivo, sono le melodie. Lo conferma anche Jake – Ozzy non era presente troppo spesso nelle sessioni di scrittura, è vero, ma era davvero bravo a inventarsi le linee vocali da solo. Sarebbe saltato fuori quando stavamo lavorando alle canzoni, verso la fine della notte e, in quel suo modo incredibile, velocissimo, sarebbe riuscito a trovarci delle melodie intriganti e decisive. La melodia sarebbe venuta solo a lui. Non doveva lavorarci sopra. Non ha mai lavorato su niente. Ascoltava la musica, afferrava il microfono e iniziava a cantare. Bob in base a quello che combinava Ozzy avrebbe riempito quei suoi “nananah” di parole.

Ma tornando a Bob e il suo ritorno lui spiega che – al tempo dei Blizzard Of Ozz io e Lee Kerslake avevamo fatto causa a Don Arden (papà di Sharon e manager dei Sabs) e la Jet Records per il mancato pagamento delle royalties sulle vendite di “Blizzard of Ozz” e “Diary”, ok? E Ozzy e Sharon ci stavano aiutando nella causa contro Don. Dato che nel 1983 lei era ormai indipendente dal papà, era naturale, nel mio interesse, lavorare di nuovo con lei e il marito. Purtroppo, solo molto tempo dopo avrei scoperto che le cose stavano in un altro modo.

Una volta scritte le canzoni arriva il momento di incidere l’album. A produrre c’è ancora Max Norman, già presente sui lavori con Rhoads.

“Max stava iniziando a farsi conoscere grazie a ‘Blizzard” e ‘Diary” – dice Jake –  “Ma non era ancora famoso quando aveva iniziato a collaborare con Ozzy, quindi per lui era tipo una puttanella al servizio del grande frontman. Se Ozzy avesse chiesto qualcosa, si aspettava che Max la facesse e punto. Non diede molti imput per “Bark At The Moon” ma devo riconoscere che si impegnò parecchio con me. Ero nuovo e avevo bisogno di essere guidato e assistito. In questo Max è stato di grande aiuto con me. Per Ozzy però continuava a essere solo uno schiavetto e a un certo punto pensò di poter avere qualcuno migliore di Max. Così lo licenziò.

Furono quelli della CBS a mettere in testa a Ozzy di sbarazzarsi di Max – puntualizza Bob – quando passò dalla Jet Records a loro, che erano giganti, si sentì dire: “Max Norman? Chi è? Perché non prendi qualcun altro a produrre il disco? Ecco come mai fu Tony Bongiovi (cugino di Jon) ha finire il mixaggio di “Bark”.
La verità – a sentire Jake, – è che quel disco avrebbe potuto suonare decisamente meglio se l’avesse finito Max, ma non gli fu concesso.

4 – IL GIRO DELLA LUNA

Una volta terminato l’album e dopo la partenza per il tour, Jake E. Lee inizia a soffrire maledettamente la pressione per essersi preso l’incarico di sostituire Randy Rhoads.  – All’inizio non sarei nemmeno andato a fare la selezione per entrare nel gruppo di Ozzy. Sapevo che avrei dovuto sopportare una soma del genere ed ero sicuro che difficilmente sarei riuscito a spuntarla. Io volevo essere semplicemente io, non il sostituto di qualcuno che fu geniale e poi morì tragicamente. Era impossibile vincere una sfida del genere.

Ci vogliono le palle, detto senza tanti giri di parole, sia per scrivere un album che andare in tour con Ozzy nel 1983. I dischi precedenti erano stati roba semplicemente impareggiabile.
Fu dura! – ammette Lee – Comunque, durante quel tour imparai una cosa fondamentale: se vai in un hotel non soggiornare con il tuo vero nome. E te lo dico perché vennero a cercarmi i fan di Randy!
Quella con gli ultrà di Rhoads è una vera persecuzione durata per tutto il tour di Bark At The Moon. – Mi sentivo perseguitato da questi detrattori. Non mi lasciavano nemmeno rispondere o dimostrare che ero un valido chitarrista. Per loro facevo schifo e basta. Mi mandavano in bestia.

Jake E. Lee ha però un sacco di supporto e incoraggiamento da parte di Ozzy e Sharon e alla fine, dopo mesi di insulti e critiche, decide di incominciare a infischiarsene. – Mi dicevo: non me lo merito, cazzo. Randy non è più un’opzione. Se n’è andato nel vero senso della parola, non è uscito dalla band per suonare con qualcun altro. Era proprio morto. Quindi, o voi ragazzi volete che Ozzy chiuda baracca o dovrete farvene una ragione se adesso ci sono io. Le contestazioni mi forgiarono, in fin dei conti.

Nel tour di Bark At The Moon, Ozzy si fa supportare da una delle band più sensazionali (e sensazionalistiche) del momento: i Motley Crue, forti dell’uscita di Shout At The Devil.Non eravamo mica tanto contenti di andare in tour con lui – ammette Nikki Sixx con un’alzata di spalle – Ricordo che cominciammo a Portland, nel Maine. Entrammo nello stadio mentre Oz stava facendo il soundcheck. Aveva addosso un’enorme giacca di volpe e portava chili di gioielli. Era sul palco, con Jake E. Lee alla chitarra, Rudy Sarzo al basso e Carmine Appice alla batteria. Pensavamo che non ci saremmo divertiti molto con lui.

Ozzy era una massa di energia folle e incomprensibile – precisa Sixx – tremava e scattava di continuo. Ci disse che nei Sabs era stato capace di calarsi un acido al giorno per un anno solo per vedere che cosa sarebbe successo. Non c’era nulla che lui non avesse fatto, e di conseguenza nulla che ricordasse di aver fatto.

Ozzy si rivela molto generoso e complice con i Crue. A detta della band è grazie a lui se riescono ad affrontare ogni sera una platea di ventimila persone urlanti. – Ci incoraggiava, aveva sempre belle parole per noi. E poi passava più tempo sul nostro tour bus che sul suo. Si presentava con un sacchetto gigantesco di coca e sniffavamo fino alla città successiva.

Ozzy regala ai Motley Crue alcuni degli aneddoti più incredibili, poi apparsi sul libro The Dirt, durante il Bark Tour. Il primo è questo. Avevamo finito la coca – dice Sixx – ma lui voleva a tutti i costi farsi una pista. Prese la cannuccia e la infilò nel naso, poi si guardò intorno. Ci chiedemmo cosa volesse fare. Non c’era coca in giro, no? Allora puntò una crepa sul vialetto, dove c’era una lunga colonna di formiche. Si mise in terra e se la pippò tutta. L’intera fila, amico.

I Crue finiscono per ingaggiare una vera battaglia con Oz, a colpi di scherzi e bravate. Ma a un certo punto devono inchinarsi. – Tirò fuori l’uccello e iniziò a pisciare davanti a tutti. Poi si chinò e leccò l’urina come un cane che si abbevera a una pozza. Si alzò e mi disse: “fallo tu, Sixx”. Io cercai di non mostrarmi scosso e tirai fuori il mio uccello. C’era un sacco di gente, eravamo davanti a una piscina e di fronte al bar pieno di curiosi. Dissi: “non me ne fotte un cazzo, lo faccio sì” ma era per darmi un po’ di contegno, in realtà mi sentivo sconvolto da quello che gli avevo visto fare. Poi urinai in terra. E quando stavo per inginocchiarmi e fare la stessa cosa orrenda e disgustosa che aveva fatto Oz, lui mi spostò e si tuffò sulla mia pipì e la leccò! Non credevo a ciò che stavo guardando. Alla fine dissi: “hai vinto, hai vinto, mi arrendo, cazzo!”.

Una volta mi chiamò nella sua stanza. – ricorda Tommy Lee – Io entrai convinto che volesse organizzare uno scherzo ai danni di qualcuno e avesse deciso di coinvolgermi. Beh, quando misi piede nella camera, una puzza di merda terribile mi prese a pugni il naso. Il peggio però fu ciò che vidi: il soffitto, le pareti, i mobili… c’era cacca ovunque. Aveva usato i propri escrementi per scrivere delle cose. Sembrava una versione Jackass di Cielo Drive. Lui mi guardava ed era visibilmente fiero di ciò che aveva combinato. Io non riuscii a parlare. Davvero, non potevo seguirlo fin laggiù, nella sua follia.

Ozzy però non è sempre così durante il tour. C’è un freno che si aziona in lui ogni volta che Sharon lo raggiunge. Quando lei c’è, il pazzo diventa sano e riga dritto. Diventa un bravo marito che mangia le verdure, passeggia con la sua donna mano nella mano e va subito al letto dopo i concerti. – Ogni volta che lei si allontana, però lui sbrocca peggio di prima – assicura Nikki – oppure crolla come un bimbo a cui manca la sua mamma. Un giorno comprò una bambola gonfiabile. Le disegnò i baffi da Hitler e la tenne al suo fianco sul tour bus per ore e ore. Le parlava come se fosse vera. Le diceva che c’era una congiura contro di lui e tutti tramavano per fregarlo. Si fidava solo di lei. Quella sera poi si presentò sul palco con un paio di stivali della Gestapo, le mutandine da donna, un reggiseno e una parrucca bionda. All’inizio sembrava divertirsi. Cantò qualche pezzo e poi, all’improvviso scoppiò in lacrime. Disse al microfono: “non sono un animale”. Poi si scusò con il pubblico e lasciò il palco. Lo spettacolo era finito.

(Continua)