Ed eccoci giunti alla fine, accelerata sino al massimo limite tollerabile dai fan, di una serie epocale che ha cambiato per sempre il mondo della tv. Con la sesta puntata si chiude il Trono di Spade (sì, pare confermino i vari spin off, ma in realtà non avremo mai più la grandezza della serie originale, abituatevi già da ora all’idea).
Al solito vi avverto che rischiate lo spoiler, purtroppo inevitabile a questo punto della serie. Se non avete visto la conclusione della storia non andate avanti a leggere (o almeno non ve la prendete con il sottoscritto)!
Molto criticata, per via delle troppe vicende che trovano conclusioni un po’ affrettate, questa ottava stagione trova invece il mio completo sostegno. A chi si lagna con il “troppa carne al fuoco” rispondo con un triste “pensate a “the Walking Dead”, preferivate forse che la serie fantasy divenisse una sorta di telenovela a base di brodo allungato, come la saga horror di HBO, cominciata benissimo e scaduta nel modo peggiore?”. Molto meglio una fine gloriosa, con le vicende dei personaggi sopravvissuti (pochini invero) aperte al futuro (si sa mai che venga voglia di riprendere le gesta di Arya, l’Esploratrice di nuove terre, o di Jon della Barriera).
La regina dei Draghi non poteva che perseguire il proprio sogno di perfezione sino all’apice della storia, ovviamente, ma tutto è bene ciò che finisce bene, cosa volete che siano qualche centinaio di migliaia di poveracci flambati da Drogon (che vince il premio come unico lucertolone sopravvissuto e se ne va verso Est, assolutamente non di buon umore) ed una città ridotta peggio di Nagasaki dopo la bomba atomica?
Proprio da qui, con Tyrion che passeggia tristo e scornato nella città, tra i cadaveri carbonizzati e le macerie di Approdo del Re, comincia la nuova puntata.
Viva la Regina, quindi. Ma anche no, sussurrano tra loro i suoi alleati, sconvolti dalla carneficina di Daenerys (la quale ha ormai l’aria demente e se la accusassero direttamente probabilmente farebbe loro le boccacce).
Diciamo che persino io devo ammettere che forse una puntata in più, in cui trattare la metamorfosi della giusta liberatrice Daeneys in degna erede del Re Folle, non avrebbe guastato per niente. Fino a ieri era la ciccina più amata di Westeros ed improvvisamente diventa matta come un cammello e arrostisce mezza nazione? Non è che io sia così convinto ma andiamo avanti, nel complesso la trama regge, seppur stridendo un pochino.
Io, almeno da parte mia, devo dirmi nel complesso soddisfatto sulle conclusioni e sui loro esiti finali. I pargoli di casa Stark (per i quali io da sempre faccio il tifo, lo sanno tutti, soprattutto la piccola peste Arya) non schiattano in modo improvvisato come molti altri, quindi già sono felice. Sorpreso dalla carrierona del povero Bran lo Spezzato, ho apprezzato l’insediamento parallelo della Regina del Nord, che già da sé crea un bel background per una futura insurrezione, se servisse dissentire dalla Capitale. Non si sa mai, il Nord è prudente, fidarsi è bene ma…
Fine scema per gli Immacolati, cosa se ne faranno delle terre regalate, in cui vivere e prosperare, se non possono avere discendenza? In una generazione tutto tornerà al Trono se non se lo vendono prima per berselo in una taverna o non si danno all’arte contemplativa. Una piccola parentesi, riguardo questi poco testosteronici guerrieri: ma se li hanno castrati tutti da piccoli, quanti di loro (ferocissimi guerrieri) hanno la vocetta in farsetto? Ve li vedete i sergenti che strillano ordini ai soldati con la voce di Pikatchu?
Il Consiglio che dà il via a questo nuovo Regno col “Re che non ci aspettavamo” (del precedente Trono dei Sette Regni resta poco, anche perché i personaggi morti male sono tanti, vedi foto a fianco, aggiornata alla quinta puntata) è quanto di più raffazzonato e approssimativo potessero pensare, il che lo rende credibile e ci dà speranza nel futuro della bizzarra confederazione di litigiosi stati e governucoli locali). Soprattutto con la supervisione di un Primo Cavaliere che in passato… beh, dai, lui fa del suo meglio; è che ha proprio sfiga (ma sfiga buia della peggior specie).
George R.R.Martin, lo scrittore delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, collana di fortunatissimi romanzi dalla quale la serie è stata (molto liberamente) tratta, si dice insoddisfatto della conclusione con l’ottava stagione. In fondo lui non ha ancora finito di scrivere i romanzi della sua serie in cartaceo.
Non si sa se questo suo parere sia legato al fatto che gli introiti miliardari (in dollari) derivanti da GoT potrebbero venir meno. In dubbio è coinvolto anche negli spin off in lavorazione, quindi i dollari di Westeros continueranno a piovergli addosso copiosi.
Ma agli appassionati di GoT piacerà questa fine veloce? Molte le voci che chiedono addirittura di rifare tutta la ottava stagione, ma si sa, il pubblico non è mai contento. Io resto del parere che un prodotto come questo sia più che dignitoso. Ho amato il Trono di Spade e soffrirò per la mancanza dei personaggi che ho imparato ad apprezzare. Capisco però che tutte le cose, anche le più belle, debbano avere una fine, quindi non credo rimpiangerò che non abbiano optato per una nona o decima stagione.
Con l’avvento delle lunghe serie si è creato un nuovo legame tra il pubblico e i personaggi, ne parlavo proprio con Padrecavallo qualche giorno fa. Si tratta di un sentimento diverso dal rapporto che si ha con un film, nel quale tutte le storie devono essere concentrate e ogni storia deve rientrare in tempi proibitivi.
Un personaggio, qui, lo si conosce meglio. Ci si affeziona e si condividono vicende più complesse, visto il maggior tempo di trattare le varie sfaccettature del carattere e della situazione di ciascuno dei soggetti. Una serie è più simile a un libro che a un film. Proprio per questo motivo accelerare il finale, concentrandolo in sei puntate solamente, non è stato forse il modo migliore di dire addio ai nostri beniamini.
Io mi consolo immaginando che, se nelle ultime scene si vede Spettro trotterellare felice, benché un po’ malconcio dopo la battaglia coi morti, allora per tutti i sopravvissuti c’è speranza e questa non rappresenta la fine di una storia ma solo l’inizio di molte altre.