Lucifer's Friend

L’amico di Lucifero bussa alla porta del mio garage!

Black Moon è un disco dei Lucifer’s Friend uscito nel 2019 per Red Cerry Records.

Pensate a una band maledetta, affascinante, delirante. In attività da prima che io nascessi (cioè da mooolti anni) sfornando dischi che, pur non senza incontrare il grande successo, rimangono lavori validi e interessanti.

Immaginate che abbiano deciso di adottare testi che parlano indirettamente del Satanasso (e di un suo amico) nel 1970, quando in Europa ogni riferimento a lo Diabbolo faceva saltare sulla sedia i benpensanti.

Inglesi, direte voi. No, tedeschi come un Telefunken.

I Lucifer’s Friend sono un gruppo atipico che mescola influenze in apparenza poco miscelabili, dall’hard rock alla Uriah Heep e primi Deep Purple, al Jazz e alla Fusion.

Si sono sciolti e riformati diverse volte, cambiando line up quando necessario, e non sembra abbiano nessuna intenzione di smettere di suonare il loro rock raffinato e progressivo.

Sta per uscire un loro nuovo disco, proprio in questi giorni, con in copertina gli stessi due soggetti bizzarri che ritroviamo come marchio di fabbrica della band, con uno sfondo di folla e cieli infuocati di un arancione molto vintage. A occhio direi Lucifero e il suo amico, un ometto basso e pelato. Se ne parlava davvero, già nei testi del loro primo album, secoli fa.

Black Moon (a dispetto della luna che, nella evocativa copertina a cura di Damian Bydlinski, compare alle spalle dei soggetti descritti sopra ma risulta rossiccia più che nera) è un bel prodotto per estimatori di dischi “diabolici” di un’epoca ormai andata, affascinante nel suo risultare anacronistico e lontano da tutti gli schemi.

Il genere è hard rock, di quello ruvido e sulfureo che negli anni 70 e 80 faceva sognare (e spaventava le persone per bene).

Ci sono strutture armoniche granitiche costruite con intelligenza e capacità. Il cantante è John Lawton, fondatore della band e voce molto particolare che pare uscita da una versione dannata di Jesus Christ Superstar incrociata con i Black Sabbath più sperimentali. A riguardo vi consiglio di ascoltare la seconda traccia dell’album. Si intitola The Passenger ed è bella fino a dare i brividi. Ha un tappeto sonoro a base di tastiere al sapor di Hammond dei primi Deep Purple con una spruzzata di Emerson, Lake and Palmer e un retrogusto quasi Blue Oyster Cult – una roba da andare fuori di testa per i fan del genere. Su di essa sopraggiunge la chitarra di Peter Hesslein, cristallina e pulitissima, che fa capolino ma non diventa mai troppo invadente.

Black Moon ha diversi momenti interessanti. C’è la title track, che apre la tracklist e contiene lo splendido assolo di tromba acido e isterico di Chuck Findley; alcuni di voi lo ricorderanno per le sue collaborazioni coi Toto.  Poi da notare la delirante Palace of Fools, con tutti i suoi passaggi bizzarri e i cambi di tempo imprevisti. E Freedom, in cui c’è un altro ospite di riguardo: il tedesco Stefan Pintev e il suo sulfureo violino elettrico, perfetto per l’occasione.

Una produzione attenta e precisa, inoltre, rende ancor più affascinante Black Moon. Un disco che guarda al passato, forse, ma certamente risulta attualissimo, con un qualcosa di magico che affascina e incuriosisce.
Ora vi saluto che c’è un ometto basso e pelato, dal sorriso strano, che bussa alla mia porta…