American Gods è una serie televisiva in streaming su Amazon Prime
Sì, indubbiamente le mie previsioni ottimistiche erano destinate a essere ridimensionate, stavolta devo proprio ammetterlo. American Gods mi aveva convinto per la bellezza estetica e per il gran bel lavoro fatto nella prima serie.
Anche la seconda stagione era cominciata a mio avviso per il meglio (e non avevo mancato di ribadirlo su queste pagine nel mio precedente, ottimistico, articolo a riguardo) con l’inserimento di personaggi e vicende nuovi. Tutto faceva presagire bene, ma dalla sesta puntata qualcosa si è clamorosamente inceppato, portando le trame a divenire incapaci di sostenere la struttura narrativa negli ultimi due, decisivi, episodi.
Da un lato le storie dei personaggi sono state approfondite, dandoci una visione molto più profonda degli stessi. Nel contempo, però, la serie si allontanava dalla linea di narrazione principale in maniera disastrosa, lasciandoci con un palmo di naso a guardare uno scenario indefinito, caotico e confuso.
La sensazione è quella di un grande lavoro di preparazione a un evento (lo scontro tra le fazioni di dei antichi e moderni) che però non avviene mai, si allontana nel tempo, perde gradualmente di incisività.
Il timore che mi assale ripensando alle ultime puntate, è quello di vedere una bellissima ambientazione buttata alle ortiche per il troppo tergiversare a favore delle trame secondarie, importantissime per carità, ma subordinate al plot principale, troppo sacrificato con l’andare della seconda stagione.
D’altronde è il rischio che tutte le serie portano con sé, quello di diventare noiose per mancanza di veri colpi di scena che portino la narrazione in una precisa direzione. Mi spiego meglio, è molto interessante la storia di Mad Sweeney, ma dedicargli un’intera puntata, quando la stagione ne conta solo otto, pare eccessivo e fuori luogo.
Questa seconda serie nasceva sotto ottimi auspici, con la prima stagione che a mio avviso resta una delle migliori di sempre, ma l’aver perso in corso d’opera molte delle figure chiave dello staff creativo deve aver influito non poco sulla deriva presa nel tempo dalle vicende di Shadow Moon e soci.
La colpa è in parte di Jesse Alexander, sostituto chiamato a prendere il posto di Brian Fuller e Michael Green, ma anche lui pare abbia delle attenuanti non da poco relative al tremendo caos dietro le quinte di questa sfortunata serie.
Budget tagliati rispetto alle previsioni, incapacità amministrative di varia natura, ripicche dovute al licenziamento dei succitati (peraltro bravissimi) showrunners, hanno portato la produzione a perdere pezzi del cast, personaggi e credibilità.
Una gran parte del tempo a disposizione è stata dedicata a coprire buchi nella trama e questo, alla lunga, viene fuori. Il che è un vero peccato, perché la sensazione è quella di assistere impotenti al taglio frettoloso di una gemma di impareggiabile valore che ne riduce di molto la bellezza.
Non c’è finale, manca la conclusione, il che stupisce anche alla luce del fatto che la seconda stagione prevedeva, in origine, due episodi in più, ovviamente persi per strada anch’essi.
La potenza visiva del lavoro fatto è innegabile, la regia è un bellissimo delirio pieno tinte al neon e America di provincia. La fotografia è geniale, il cast di attori, pur mancando di Gillian Anderson nei panni di Media, sostituita dalla New Media dall’aspetto “scolaretta giapponese” di Kahyun Kim, convince lo stesso.
Adoro i libri di Neil Gaiman, lo stile visionario e un po’ delirante che lo contraddistingue era reso benissimo nella prima stagione. Chissà, con una terza fatta bene, ci sarebbe anche la possibilità di riprendere quota.
Speriamo che la produzione lo capisca: il materiale per un prodotto magistrale non manca. Sarebbe davvero un peccato veder morire così il progetto, per colpa di gente che sottovaluta la forza visionaria celata dietro questa facciata fin troppo approssimativa.
Eppure, torno a ribadire, eravamo partiti così bene…