Il remake di Pet Sematary è diretto da Dennis Widmyer e Kevin Kölsch ed è uscito nel 2019.
Oggi ci sono solo due cose imperdonabili da quando il mondo è diventato social: la violenza sugli animali (e i bambini, ma piuttosto sugli animali) e gli spoiler.
Assodato questo bisogna allora ammettere che il remake di Pet Sematary partisse svantaggiato su tutta la linea, rischiando l’impopolarità totale. Per prima cosa gli animali (e i bambini) vengono trattati malissimo. Seconda cosa, essendo un remake, il pubblico già era al corrente di tutti gli spoiler.
Il remake discolo
A tal proposito viene da chiedersi come mai, l’insofferenza agli spoiler vada di pari passo con il successo di film che riproducono vecchi film con le stesse trame e i medesimi colpi di scena ma soprassediamo.
Gli autori di Pet Sematary non hanno potuto evitare di ammazzare gatti e ragazzini. Sul discorso spoiler però non ci sono proprio stati. Il problema è che le tante critiche piovute sul film sono dovute alla libertà che si prende la nuova versione rispetto all’originale.
In pratica la cosa che lo salva dalla noia totale, per moltissimi appassionati di Stephen King e il film di Mary Lambert, è il vero e unico peccato imperdonabile.
Personalmente ho sentito parlare così male del remake di Pet Sematary che ha finito per piacermi, e proprio per le ragioni che sono alla base di tutte le critiche. Il film, fintanto che segue la trama originale è piuttosto sciapo. Diventa invece godibile quando, nella seconda parte, comincia a “svicolare” dal canovaccio ufficiale. Non stiamo parlando di un capolavoro imprescindibile del genere, eh? Solo un buon remake e, di questi tempi, non è male come risultato!
Il meglio e il peggio
Del remake di Pet Sematary la cosa migliore è John Ligtow, anche se il personaggio di Jud rispetto a quello del film di Mary Lambert, dati i tempi anti-tabagismo di Hollywood, fuma molto meno. Inoltre il rapporto tra lui e il dottor Creed alla “padre che non ho mai avuto” vs “figlio che non ho mai avuto” è quasi eliminato.
C’è un fattore poco esplorato di Jud in entrambi i film: la sua apparente giovinezza. Nel romanzo si dice che abbia almeno 85 anni ma che si muova e sembri ancora forte come un sessantenne. Ebbene, io credo che la vicinanza con il cimitero rigeneratore sia in qualche modo collegabile alla floridezza di Jud. È una mia supposizione. Stephen King probabilmente mi direbbe: “naaaaa!”. Lithgow ha 73 anni, e con la barba e la tenuta da boscaiolo sembra ancor più virile e attivo rispetto a Fred Gwynne, pace all’anima sua.
Ma parleremo del personaggio di Judson più avanti, ora occupiamoci di King e il rapporto che ha con questo remake.
Stephen King pensa che…
Ecco cosa ne pensa Stephen King del remake: È un film davvero bello. Un horror per adulti nel senso delle implicazioni emotive e non per il livello di violenza. Vero, è diverso rispetto a quello che ho scritto io. Ma, gente, parliamoci chiaro: se per andare a Tampa prendi la Route 301 oppure la Route 17 sempre a Tampa uscirai, no? Per me quelle modifiche fatte non cambiano il dunque. Di sicuro se noi non avessimo trovato il piccolo Miko Hughes, probabilmente avremmo fatto qualcosa con gli effetti speciali che oggi farebbe morir dal ridere i nostri nipoti. Oppure avremmo cambiato la storia esattamente come hanno fatto…
…I registi
Il film è diretto da Dennis Widmyer e Kevin Kölsch che sono gli stessi registi di Starry Eyes. Come tutti gli indipendenti di talento sembravano essersi solo infognati in un remake del cappio.
Invece a sentirli parlare sembra il film della loro vita. I due in principio si sono profusi in rassicurazioni verso i fan. Avrebbero fatto di tutto per omaggiare degnamente il romanzo. Secondo loro il libro era seminale e garantiva una storia quasi infallibile.
Non è che il lungometraggio della Lambert, su uno script realizzato proprio da King, fosse così lontano dal libro. In ogni caso i registi qualche tempo dopo i proclama iniziali si sono un po’ tirati indietro: è vero – hanno detto – c’erano molte cose nel libro di cui siamo da sempre grandi fan, cose che non erano nel film originale e che volevamo aggiungere e poi… non abbiamo fatto! Ci siamo profusi duramente per metterle nella sceneggiatura. Ma i migliori film sono quelli che rimangono fedeli all’essenza, non necessariamente ogni singola cosa che accade nel libro. Per riuscirci abbiamo messo in croce…
Lo sceneggiatore
Al di là delle intenzioni di come trasporre la storia, la sceneggiatura non l’hanno scritta Widmyer & Kölsch. L’intreccio è di un certo Matt Greenberg e lo script vero e proprio è firmato da Jeff Buhler, noto per Prossima fermata: L’inferno e il recente The Prodigy.
Incalzato sulle modifiche apportate alla storia, Buhler non si prende la responsabilità ma sostiene la scelta. Matt Greenberg ha deciso di cambiare la trama e io quando ho letto il trattamento ho avuto la reazione di chiunque. Gli ho detto: “ehi, non puoi farlo mica!” Poi però ci ho riflettuto. In fondo c’erano molti vantaggi da quel tipo di sviluppo, in particolare nel rapporto tra Ellie e suo padre in riferimento al concetto di perdita. Quindi ho preso in mano la visione di Matt ho poi ho scritto, ehm, 47 stesure…
Widmyer e Kölsch hanno fatto pesare le proprie idee sul cranio dello sceneggiatore? Caspita – dice Buhler – io mi ero prima rapportato con il regista che poi aveva abbandonato il progetto. Prima che passasse in mano a loro ho continuato a lavorarci con il produttore Lorenzo Bonaventura e lo studio. La storia era praticamente già definita ed è quella che vedete nel film. I nuovi registi hanno cercato di arricchirla di riferimenti al libro. Per questo trovate ancora lo spettro di Pascow e Zelda. Sono loro ad averli voluti nello script e mi è sembrato saggio reinserirli.
Quindi è andata anche troppo bene per i fan! Senza Widmyer e Köso lì, la trasposizione sarebbe stata ancora più distante. E dobbiamo sempre ringraziare loro se il remake aggiunge cenni ulteriori al romanzo.
Il remake e il libro
Il film è disseminato di riferimenti al romanzo di King. Roba che nel precedente di Mary Lambert mancavano. Altri che c’erano sono quasi spariti. La storia di Tim Bateman, per esempio. Per me il momento narrativo più efficace del romanzo. Nel film di Widmyer & Kölsch è accennata appena in una scena in cui Louis legge su internet una serie di strani articoli che riguardano la città di Ladlow. Alla luce del miracoloso ritorno del gatto Church, il dottore capisce bene cosa significhi il titolo Scompare dall’obitorio il corpo di un reduce del Vietnam.
Oltre a Bateman c’è la news sul toro da competizione dato per morto e ritrovato in strada, con tanto di foto… ecco anche quello è un rimando al romanzo assente dal film del 1989. Così come altre piccole cose che strizzano l’occhio al lettore fedele di King e che non può certo cogliere chi viene dal film originale e basta. Per dire, c’è l’accenno alla Palude del piccolo dio e anche la frase che dice “zombie Ellie” appena incontra sua madre: “The Great And Terrible…”A cosa allude la piccola rediviva? Non si riferisce a nulla nel film, è una strizzata d’occhio ai lettori e basta.
Il tempo Kinghiano
Tornando al redivivo Bateman, sull’articolo di giornale si parla del Vietnam e non più della Seconda Guerra Mondiale. Essendo il film ambientato nel 2019, per forza di cose bisognava alzare l’asticella della Storia. Il problema è che, se da una parte trascinare in avanti lo sfondo storico calza bene per il giovane zombie che torna dai morti, dall’altra l’attualizzazione di Jud non funziona allo stesso modo.
Seguitemi un momento, voglio parlarvi di questa mia perplessità.
Stephen King ha segnato almeno due decenni: gli anni 80 e i 90 del secolo scorso. In questo ventennio io sono stato bambino e adolescente. Ricordo bene quanto King fosse “presente”. Il brand “Stephen King” assaltava un giovane fissato con l’horror come me da più fronti: uscivano una marea di libri e altrettanti film.
Mentre il nuovo titolo di King romanziere scalava le classifiche, al cinema uscivano almeno un paio di mediocri trasposizioni dei suoi romanzi o racconti. Era un assedio ma piacevole, perché io amavo Stephen King.
E se c’era una cosa che apprezzavo e mi suggestionava era proprio questo rimando continuo all’infanzia dello scrittore. Prendete i bambini di Barrie, perseguitati da It, o i quattro pischelli di The Body in cerca di un cadavere nei boschi.
Stephen King è del 1947. Me lo ricordo perché è lo stesso anno di nascita di mio padre. L’infanzia dello scrittore, e quella dei suoi piccoli protagonisti, il più delle volte risale alla seconda metà degli anni 50. Vengono da sé quindi il rock and roll, i fumetti Marvel, le storie horror alla radio e una sonnolenta e rassicurante vita americana a ridosso della Guerra Fredda.
Il remake e l’attualizzazione snaturante
Jud, nel romanzo e nel film di Mary Lambert, è un anziano signore vissuto nel raggio temporale che riguarda King. L’autore scrive che “poteva avere 60 anni portati benissimo ma ne aveva più di 80”. E in effetti i suoi aneddoti infantili nel romanzo sono frequenti dato che Jud nel libro è una sorta di amarcord incessante della vecchia Ladlow, prima e dopo le due guerre.
Negli anni 80, tempo del libro e del film originale, Jud è un anziano che ha visto il Vietnam e la controcultura dalla finestra della sua bicocca, aggrappato alle piccole abitudini, i misteri indicibili del cimitero Micmac e quelli personali in seno al proprio matrimonio.
Il punto è questo: il Jud del nuovo Pet Sematary, è uno che al tempo degli hippie o del giorno in cui la musica morì, di Charles Manson, di Dallas 2 p.m. era un adolescente e magari uno che andò a combattere nelle risaie dei Cong. Ecco, io credo sia un cambiamento significativo, che non viene particolarmente messo in risalto nel remake.
Quello che voglio dire è che in Cimitero Vivente il senso del tempo si sentiva. L’aspetto molto personale del libro non riguardava soltanto King e le sue difficoltà di spiegare a sua figlia cosa fosse la morte, lui che doveva ancora mandar giù quella tragica della sua adorata madre.
Era anche personale per lo scorcio storico che lo riguardava da vicino. Tolto quello, e non sostituito con qualcosa di altrettanto veemente, Pet Sematary diventa oggi una storia horror come tante. Brutale e tristissima e un finale negativo d’obbligo, ma pur sempre qualcosa che con lo spirito di King ha molto meno a che fare. Proprio perché l’autobiografismo Kinghiano era una cosa essenziale all’atmosfera e il sapore delle sue storie, sia nei libri che al cinema. Sbaglio?
La famiglia Kinghiana nel remake
Un altro aspetto che viene molto smussato è il rapporto conflittuale tra Louis e i suoceri. Nel libro e nel film originale tutto è presentato alla solita maniera netta e brutale con cui King ordisce le relazioni tra famigliari. Di solito ci sono padri ubriaconi e maneschi, fratelli invidiosissimi, mariti assassini e sorelle anaffettive. Si tratta della parte Dickensiana di lui.
In Pet Sematary romanzo, la famiglia protagonista si presenta come un idillio iniziale che presto vomita sullo spettatore tremendi scheletri; sia nel passato, con Zelda, che nel presente. Louis e il suocero si odiano, al punto che nel momento in cui seppelliscono Cage, i due anziché sentirsi uniti o pattuire un armistizio, finiscono per prendersi a pugni e dissacrare accidentalmente la bara con il corpicino che c’è dentro.
Di fronte alla morte di Ellie, nel remake, nessuno fa scenate. Gli eventuali conflitti e le riserve di Louis e la famiglia di Rachel possono essere scorti in soli tre indizi:
1) quando lui propone alla moglie di fare una festa di compleanno in grande per la figlia, di invitare gli amici di Boston e… “i persino i tuoi genitori!”. Lo aggiunge con una strana risata che sembra un po’ sarcastica.
2) Al momento in cui Rachel racconta a Louis del giorno in cui lei ha visto morire la sorella, il marito le dice subito che i suoi non avrebbero dovuto lasciarla sola e dallo sguardo sembra poco sorpreso.
3) Quando Rachel va via di casa con i genitori, alla morte di Ellie, lui e il suocero si guardano un attimo, ma senza dir nulla. Lo sguardo tra i due però non è così empatico e amichevole.
Pet Sematary e il suo doppio
Il film della Lambert spaventava soprattutto per la rappresentazione del reale mentre il lato fantastico era quasi divertente. Il giovane spettro, Pascow, di ritorno dall’aldilà per avvisare Louis, era sornione e un po’ buffo. Il piccolo Cage, con il cappellino a cilindro e il bastone, poco prima di uccidere la madre, appariva una parodia di Fred Astaire e Chucky. Il dolore, la perdita, il conflitto e l’incomprensione dentro le famiglie erano i veri temi su cui il film “menava”.
In questo remake la parte realistica è un po’ ammorbidita, il discorso How To Teach The Death To Our Children è passato un po’ così. Sul piano fantastico e orrorifico, c’è senza dubbio un maggior dinamismo e una volontà più decisa di far paura.
E un citazionismo abbastanza rumoroso. Sono palesi i rimandi allo Shining di Kubrick nell’incipit dall’alto e soprattutto Ellie zombie è simile alla piccola Reagan McNeil di L’esorcista di Friedkin.
Per fortuna non ci sono cannibali iper-veloci e le maschere da animali in stile You’re Next dei bambini sono un peccatuccio trendy che produce un’aggiunta involontariamente intrigante. Quei piccoli che si aggirano per il bosco in una processione religiosa mostrano come un’antica tradizione pagana possa condurli a metabolizzare la morte molto meglio dei discorsi omertosi e titubanti rivolti a Ellie dai propri genitori.
Infatti, se c’è una cosa che dice tanto di oggi nel remake di Pet Sematary è l’incapacità ancora più evidente dei coniugi Creed nel parlare di morte ai figli.
Conclusioni (ovviamente) affrettate
Quando si realizza un remake la cosa che finisce per attirare tutta l’attenzione e ogni sforzo è il confronto con l’originale. E viene meno l’eventuale significato che il film potrebbe rappresentare su un piano diretto con la realtà storica in cui è stato creato. I genitori di Ellie e la loro incapacità di introdurre la figlia al concetto di morte è sempre attuale. Sulla pagina facebook del morto le condoglianze si protraggono per mesi e mesi anche se lui non può certo leggerle. In parallelo scarseggiano sempre di più i messaggi via chat ai parenti rimasti in vita. Per non parlare dell’isolamento “reale”, là fuori.
La scelta irrazionale di riportare in vita il gatto, permette a Louis di non dover spiegare a sua figlia che prima o poi tutti devono morire. In fondo le dice che il gatto è sparito. E il buffo è che una volta morto vivente, lui tenta prima di ucciderlo. Non riuscendoci lo conduce in un posto lontano e torna dalla figlia per dirle ancora “che è sparito”.
La figura del Wendigo, che nel romanzo è un mostrone gigantesco che si aggira intorno al cimitero MicMac, qui è ancora meno presente che nel film del 1989, dove già di lui si diceva davvero poco. Si capisce che c’è una presenza malefica determinata a restituire i morti in cambio di un potere sempre maggiore sui vivi. Ma i veri responsabili dell’orrore che ne deriva sono i Creed e lo stesso Jud. Lui tentò per primo di riavere indietro sua moglie seppellendola nel cimitero magico, altro che Tim Bateman! Vorremmo sfuggire alla morte. Averne una vaga possibilità piena di controindicazioni è comunque una tentazione irresistibile. Soprattutto non ci va più di spiegarla ai nostri figli. Saremmo disposti a fargliela vivere, piuttosto.