Firenze Rock Festival. Serata Tool.
I Tool tornano in Italia! Dovunque sia io devo esserci. Bene: allora vieni al Firenze Rock Festival! Noooo! Il Firenze Rock Festival Noooo! E invece… FRF sia. E se non ne parlo troppo male è perché sono innamorato. La mia nuova compagna, che mi ricambia alla grande, era al mio fianco. Ci siamo goduti il tempo, il momento, abbiamo ballato, ci siamo baciati a lungo alla faccia di tutti e delle nostre stesse misere finanze. Ma non conta; in un campo di sterminio saremmo stati felici ugualmente.
Potrei dire tante cose sull’organizzazione ma preferisco tentare una via alternativa. Giusto per il SEO me la sbrigo così: cessi nulli, cibo costosissimo, sensazione di essere inculati con il manico di una Fender Stratocaster.
Fortuna che gli headliner erano i Tool. Perché dico questo? Semplice. I Tool non fanno uno spettacolo normale. Vedere i Dream Theater a due chilometri dal palco è stato deprimente. Mi porto a casa il faccione rosso peperone di Labbrì, i suoi capelli tinti di nero corvino, il pizzetto e l’aria fusa, macerata di sonno. Sono bolliti.
Gli Smashing Pumpkins li ho trovati impeccabili e noiosi. E con un sosia di Salvini al posto della bassista! Lasciamo perdere che non ci sono più Melissa Auf Der Maur o D’arcy Wretzky, ma volete rimpiazzarle in modo degno? In ogni caso, solo io ho l’impressione che non si siano mai riformati davvero? Un po’ come i Soundgarden…
E poi i Tool.
Per fortuna il loro show è suono e immagini. La band non si vede. Anche a stare lì sotto al palco, non c’è nulla di interessante a parte suoni e immagini. Maynard rimane dietro, impalato. Lui canta, sprigiona la sua energia ma non è lui che bisogna guardare. Le luci, i suoni, i concetti.
Quindi anche a due chilometri, alzandosi sulle punte è stato possibile vedere tutto. Sui mega-schermi, dove per ore erano passati la pappagorgia di Corgan e la bocca ripugnante di Labbrì con le sue cazzo di otturazioni, ora c’erano i concetti, le immagini, le idee.
Le immagini dei videoclip dei Tool, più altre creazioni inedite, i colori, le luci che tagliavano il cielo. Peccato che nei momenti salienti dello show, la gente ha preferito vedersi tutto dal proprio telefonino.
Potevamo essere 45 mila davanti alla band rock più complicata e avara di concessioni commerciali, ma il pubblico ha reagito paro paro come di fronte a un Ed Sheeran qualsiasi. Tutti col telefonino a riprendere. La propria telecamerina, a miglia e miglia dal cuore di Maynard, ha ingurgitato le luci poi girate sul profilo social. Ne ho viste alcune di queste clippate: più che il concerto dei Tool sembra una brutta ripresa dei fuori d’artificio di Tarquinia a Ferragosto.
Ma come sono stati i Tool?
Ma i Tool, gente, me lo chiedete? Impeccabili, inarrestabili, intelligenti. Mamma mia come sono intelligenti i Tool. Maynard con la sua parrucca da Moicano com’è intelligente, che fa il simpa epperò è intrigante e fino, sapete? Sta lì ma non si mostra. Magico.
Dopo un po’ che ho visto i colori e le immagini alla Tool, mi sono concentrato sulla musica. Intelligente, immensa. Così intricata, così complessa.
E mi sono lasciato trasportare dalla musica. Ballare i Tool non è facile. C’è chi ha provato con il classico headbanging ma dopo un po’ ha avuto un vuoto d’aria. Stavano quasi tutti fermi. Fissavano i Tool dal telefonino. In religiosa stasi. Pareva di stare insieme a una carovana di turisti anziani messi davanti all’Ultima cena.
Io no. Volevo muovermi. Ho optato quindi per una sorta di simulazione di un selvaggio moshpit. Mi lasciavo travolgere dagli stacchi, come fossero spintoni che ricevevo, piccoli salti. A momenti quasi sono caduto addosso alla mia amata. Poi dopo una ventina di minuti è successa una cosa. MI SONO RIDESTATO e… ho iniziato a rompermi i coglioni. E mi sono guardato intorno. Cercavo. Cercavo qualcun altro che come me si stesse rompendo i coglioni. Ma non c’era nessuno. Erano tutti così presi. Così intelligenti. Complessi. Pieni di idee.
Due palle così.
E insomma, sembravo il solo a farmi due palle così. Accanto a me, decinaia e decinaia di persone rimanevano folgorate dai tempi dispari di Danny Carey e facevano la Ola a qualsiasi linea vocale di Keenan. Cazzo, possibile che tutte queste persone capiscano i Tool? Davvero vivo in un mondo perfetto? Un mondo dove un gruppo che piscia sui piedi di tutte le regole del mercato, finisce per soggiogare il pubblico lo stesso. Lo conquista e lo trascina in un covo di passaggi complessi, la quasi totale assenza di melodie da cantare tutti assieme. Ci sono le luci e gli enigmi in forma di ologrammi.
E io due palle! I Tool sono una rottura di coglioni enorme. Lo dico in modo estremamente rispettoso. Con ammirazione totale. Hanno fatto quattro dischi ma sembrano ventuno. Li ho sentiti tutti. Giuro che me li sono sparati un sacco di volte. Nonostante questo l’altra sera non riuscivo a riconoscere nemmeno la metà delle canzoni che hanno suonato.
Ho anche letto dei libri sui Tool. Mi sono documentato. Seguo Maynard nelle sue conquiste imprenditoriali e artistiche. Mi lascio ammaliare dai suoi discorsi sataneschi, anti tutto, stimolanti… Ma credo di essere l’unico sulla terra a non chiedere un altro disco alla band. Questo album che nessuno crede più che uscirà, sapete? Dicono che arriverà alla fine di luglio. Sembra Chinise Democracy quello vero. Solo che su quello dei Guns tutti erano convinti sarebbe stato una merda. Il nuovo Tool sarà straordinario. Così tanti anni, figurati che capolavoro! Ma se ci mettessero tanto così perché non riescono a farlo decente? Insomma, anche fosse il solito classico dei Tool, io non lo vorrei. Ancora non ho digerito il quarto, che manco mi ricordo il titolo. Starei a posto così.
45mila illuminati dalle luci dei Tool
I Tool sono come Frank Zappa. La gente li adora nonostante siano estremamente difficili. Questo non perché li capiscano. Il 3 per cento del proprio pubblico capisce i dischi di Frank Zappa. Però si fidano. Sospendono qualsiasi giudizio critico. Nessuno dirà mai del nuovo Tool che è una merda. Sarà bello perché i Tool sono geni, non sbagliano mai. Ma persino Dio sbaglia. E Maynard implora il mondo di pensare con la propria testa. E però si trova davanti sempre lo stesso pubblico. Il pubblico è gregge. E il gregge va dove dici tu.
Sarò cinico ma secondo me non esistono in tutta Italia 45mila persone intellingenti. Insomma, 45mila persone erano lì a cantare le canzoni dei Tool. Le canzoni noiosissime, difficilissime, tristissime. E tutti che saltavano, riprendevano con i telefonini, si abbracciavano.
45mila persone intelligenti, intense, che pensano con la propria testa e si incontrano al Firenze Rock Festival… Ma vi sembra possibile? I Tool non andrebbero mai da vedere qualcuno al Firenze Rock Festival, fosse Leonardo Da Vinci che riproduce un’altra Gioconda. Dovremmo paragonare il concerto dei Tool a un convegno di illuminati. Cazzo, bello. pensate che può succedere a mettere tutti questi eletti sullo stesso prato…
Eppure niente, il giorno dopo lo spettacolo dei Tool non c’è un mondo migliore. Quei 45 mila se ne sono andati via. Hanno acquistato bibite a 7 euro. Si sono lasciati rinchiudere in un pascolo e hanno sporcato il prato con la fottuta plastica. Alla fine dello show camminavi su quella, non più sull’erba.
No future
Quelle persone così illuminate da capire i Tool si sono lasciate convincere a comprare dei soldi finti chiamati Token e con quelli hanno fatto ore di fila per acquistare cibo spazzatura che Maynard non ingerirebbe neanche se si trovasse imprigionato alle Cascine da tre mesi.
E dopo aver sopportato un’organizzazione così orrenda che andrebbe denunciata alla Corte penale internazionale, ed essersi lasciati trattare come pecore, gli illuminati dei Tool hanno permesso ai Tool di massacrargli i coglioni per un’ora e mezza. E se ne sono andati a casa felici.