Legends from Beyond the Galactic Terrorvortex è il nuovo album dei Gloryhammer, uscito nel 2019.
Ecco, quando vedo un gruppo vestito come se fosse uscito da Flash Gordon (il film, dico) io temo. Potrebbero essere bravi ma eccentrici, mi dico. Nel dubbio torno in garage, metto da parte il disco in questione e saldo un po’, che mi rilassa. Ma il tarlo è lì, mi rode il desiderio di sapere. Eppure io lo so che non dovrei. Non ce la faccio. La curiosità tipica della parte equina del mio cervello mi sprona ad ascoltare, sibillina.
Ora, io sono un tizio strambo che vive in un garage e si professa centauro. Ok. Ma questi mi battono di tre misure. Sono strani (e mica poco). Son tre dischi che raccontano storie fantascientifiche infarcite di impavidi eroi e mondi alieni, snocciolate su un tappeto di musiche power metal che nemmeno nei primi anni novanta.
Sono pure preparati tecnicamente, sanno suonare. Ma allora, mi chiedo, perché? Cerchiamo di capire. Una band decide di fare epic power, scrive dei pezzi che non aggiungono nulla di nuovo al genere, li infarcisce di testi da fumetti anni ottanta e sforna un disco come questo Legend from Beyond the Galactic Terrorvortex. Fanfare da soundtrack anni ottanta, voci prese da vecchi film e titoli da denuncia completano il pacchetto.
Gloryhammer ma perché?
Però, devo ammettere, questi moderni cantastorie mi stanno un sacco simpatici mentre saltellano sul palco nelle loro armature fantasy. Ci sono anche un paio di pezzi belli, nel loro genere. Prendiamo ad esempio The Land of Unicorns (mi viene da piangere). La canzone è coinvolgente, con la tastiera di Christopher Bowes (Zargothrax, davvero, si fa chiamare così) ruffianamente orecchiabile e la sezione ritmica che picchia come un motore in accelerazione. Anche Paul Templing (Ser Proletius, ora piango, giuro) alla chitarra dà una bella prova. Come strumentisti se la cavano egregiamente devo dire, tanto di cappello.
Master of the Galaxy (lo sapevo che non dovevo ascoltarlo, lo sapevo!) è un altro pezzo piacevole, con tanto di coretto, voci che dialogano qua e là e ritmo simpatico. Retrò ma tirato. E come non parlare di Hootsforce, che ricorda una ballata celtica in salsa power con incluso sciogli-lingua in rima al posto del ritornello?
Perché sì!
Se solo i Gloryhammer non si fossero messi nomi così assurdi, per dire, Thomas Winkler, il cantante, è Angus Mc Fife III, chiaro il concetto? E se non avessero realizzato testi da romanzo fantasy di serie B… una roba alla Aldo Giovanni e Giacomo. Ricordate: “Io sono il grande Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Instar, della terra desolata del Sknir, uno degli ultimi sette saggi…”? Ecco, a quel livello lì. E con tanto di copertina disegnata da un lettore di Tolkien dopo sei chili di peperonata piccante.
Ma il massimo arriva alla fine. The fire Of Ancient Cosmic Destiny, che chiude il disco (e non me ne dispererò) è una suite, lunga, lunghissima. Tanto che l’hanno divisa in cinque parti con un sacco di poro poro pooooo per la gioia dei fans, voci cattiverrime e effetti da Fantaghirò.. Aiutami Crom, dio dell’acciaio e della guerra, dammi la forzaaaa!
Ma… e se andassi a vedermi i video su youtube?