La prima cosa interessante che ho scoperto riguardo Charlie Says sono le fonti letterarie alla base della storia. Non centra nulla Bugliosi e il suo Helter Skelter. A ispirare Mary Harron è un altro testo, non meno importante. Parlo di The Family di Ed Sanders, un malloppone che ha ripubblicato la Feltrinelli e che potete acquistare a circa 25 euro. L’altro libro, ancora più decisivo è The Long Prison Journey of Leslie Van Houten: Life Beyond the Cult. A scriverlo è una canadese di nome Karlene Faith (foto a sinistra). È La donna che nel film aiuta le tre ragazze di Manson a riguadagnare qualche traccia di lucidità. A intrepretarla Merritt Wever, una rubiconda ragazzotta che qualcuno ricorderà in The Walking Dead.
Carlie Says che non siamo fottuti
Il libro della Faith non è uscito in Italia ed è un peccato perché è la base assoluta per lo script di Guinever Turner. La Turner (foto in basso a destra) è un bel pezzo di figliola. Oltre a scrivere sceneggiature è anche attrice. Forse la ricorderete in Go Fish, un piccolo inno lesbico che fu un caso sulle riviste femminili degli anni 90. Guinevere da tempo è collaboratrice di Mary Harron. Le ha scritto il deludente The Notorious Bettie Page e il tanto discusso American Psycho. Tra le altre cose del suo curriculum, saltano all’occhio molti episodi della serie The L Word. Insomma…
…Non vorrei essere un vile cavallo sciovinista ma per farvela breve, gente, è così. Una posse ultra-femminista ha finito per realizzare un film su quel pappa, stupratore di Charles Manson. E questo è fantastico, no? La cosa sorprendente, ma non stupisce me, è però una sola. Quell’hippie di Charlie il satanico non ne esce neanche tanto male!
C’è molta umanità nel ritratto di Manson in Charlie Says. In fondo Mary Harron potrebbe distruggerlo, mostrare le sue ridicolaggini e in parte è quello che fa, ma senza mai giudicarlo. Sapete, il vile e diabolico manipolatore che rovina l’esistenza a delle povere donne in fuga dal sistema maschilista dell’American Way Of Life era solo uno stronzo. Immaginate che gran tentazione debba essere stato gridarlo per la Harron. Uno col cervello sotto al culo che diceva di essere sia Cristo che Satana. Un prodotto white-trash del misticismo mormone di certa hippie culture!
E invece no.

Come dice Sadie, Charlie è Charlie e il diavolo è il diavolo. Quello che interessa alle tre valchirie Mary Harron, Guinever Turner e Karlene Faith è la questione delle sue girls. Non tanto Manson. Lui è un mistero inestricabile. Loro vogliono capire cosa abbia funzionato nell’arruolamento del suo harem di assassine.
Inutile che si tiri addosso merda al guru folle dell’Helter Skelter. Nessuna di quelle ragazze fu spinta con le minacce e le armi a fare ciò che fece. Manson ci riuscì professando una stramba idea d’amore, più LSD e il sesso. Questo ha sempre sostenuto l’accusa.
Un harem di assassine in Charlie Says
Non è facile capire la Family perché intorno alla figura di Charles Manson c’è sempre stato un duello assai chiassoso tra politica e morale, psichiatria e complottismi. E purtroppo nel 2019, poco dopo che l’uomo più odiato d’America è morto, resta il mistero. E anche una sfilza di film e telefilm che si propongono di farci tutti i soldi che ci si dovevano fare già da un pezzo.
Abbiamo parlato dello sperimentale e interessante The Haunting Of Sharon Tate e attendiamo di scoprire quale sarà l’approccio di Tarantino con Once Upon A Time In Hollywood. Non vediamo l’ora di assaggiare la seconda stagione di Mindhunter. Cosa molto fica: a interpretare Charlie nel telefilm Netflix sarà lo stesso attore che vedremo nel film di Quentin: Damon Herriman. Foto sotto.
Ma parliamo invece di Matt Smith.
La sua interpretazione di Manson è tra le migliori di sempre. Se però gli si domanda chi sia Charlie, lui risponde di non averne idea. Si è studiato diversi libri, ha visto tutti i filmati su internet e ci ha messo dentro il suo grande talento ma non ne è uscito con niente.
E non è un caso che Charlie, a chi gli domandasse “chi sei?!” lui rispondeva: “Nobody!”. Persino Bugliosi, l’avvocato che lo trascinò al patibolo, poi commutato in ergastolo, lo ammise. Disse che a vederselo davanti, ogni volta pareva cambiare.
Le risposte che troverete su Manson saranno sempre le stesse che avrete sul mostro di Loch Ness. C’è chi taglierà corto: era un assassino. Ecco, il punto è questo. Tecnicamente non lo è mai stato!
Ma non divaghiamo troppo a parlare di Charlie. Occasioni per riflettere su di lui ne avremo ancora parecchie per tutto il 2019. Parliamo invece del film di Mary Harron…
Charlie Says…
Che titolo insolito, vero? Charlie dice. Ma vi assicuro che è perfetto. Perché se aveste potuto parlare con chiunque sia mai stato in contatto con Manson avreste finito per sentirlo ripetere alla nausea quella frase. Charlie Says!
Era un gran chiacchierone, un affabulatore. Ti si infilava nel cranio e lo rigirava come pareva a lui. Ma cosa diceva, Charlie? Quale messaggio è rimasto in archivio per noi nuove generazioni? I figli di quei figli dei fiori che odiava e distrusse?
Il ritratto che Mary Harron, Guinever Turner e Matt Smith creano di Manson è di un uomo resistibile. Anche in The Haunting Of Sharon Tate, Charlie non sembra un super-eroe, è un tizio strambo che tartassa gli inquilini di Cielo Drive consegnando loro copie su copie del demo che dovrebbe sentire Terry Melcher.
La verità su Terry Melcher
Terry Melcher (nel film Bryan Adrian) è il produttore dei Beach Boys. Qui di fianco lo potete vedere mentre sua mamma Doris Day gli tira un orecchio. Cosa gli avrebbe fatto Charlie se solo il discografico non se la fosse squagliata da Cielo Drive! Leggenda vuole che avesse promesso a Manson di produrlo. Ma sapete come andarono davvero le cose?
Nel film Charlie Says inscenano un provino mai avvenuto. In un certo senso fu così. Anche se le cose non si giocarono in una partita secca. La storia però non è il punto per la Harron. Probabilmente Melcher ha detto a Charlie, ehi, ne riparliamo di sicuro. Uno sano di mente avrebbe pensato: “certo, figurati”. Manson invece lo prese alla lettera. E iniziò a perseguitarlo.
Nel libro fondamentale Helter Skelter, Bugliosi dice che Terry è quello che ha più paura di Manson tra tutti i coinvolti nel suo cerchio magico. Dopo gli omicidi Tate/La Bianca gira con una guardia del corpo giorno e notte, va in seduta da uno psicologo di continuo. Poi però si rincuora quando, recandosi sul banco dei testimoni, vede Charlie sorridergli e salutarlo. Forse non ce l’ha così tanto con lui.
Manson e la musica in Charlie Says
La rappresentazione di Manson in Charlie Says è quella di un povero cristo che a modo suo ha un potere. Non è un dio del male, solo un imbonitore pazzo che usa le persone. Vorrebbe impiegare il suo piccolo esercito per introdursi tra gli eletti della società. Prima li fa prostituire e poi li trasforma in assassini. Fallisce?
Ancora, neanche questo è il punto del film. Il punto è che Charlie è Charlie. Punto. La Harron, la Faith e la Turner vorrebbero invece capire cosa siano state Sadie, Katie e Lulu. Che cacchio ci trovassero in lui. Cosa davvero dicesse loro di così speciale. Al punto da trasformarle in tre sicarie spietate col sorriso beato perennemente stampato in faccia.Una cosa che mi è piaciuta di Charlie Says è la musica. Avrete un sacco di ottime canzoni da recuperare su Spotify una volta visto il film, ve lo assicuro. C’è la crema della scena psichedelica americana degli anni 60. Sarebbe ora di avvicinarsi senza tanti pregiudizi ad artisti come i Love (stratosferici) e i 13 Floor Elevators (geni).
Charlie Says mostra Manson in veste più artistica che terroristica. Lui è sempre con una chitarra in mano. La strimpella, canta, fa ascoltare a tutti le sue canzoni che uggiolano di amore libero e divinazioni strane. Le sue donne sono groupie devote. I membri maschili della family si bevono tutto ciò che dice perché lì è pieno di ragazze che fanno sesso a comando ed LSD in abbondanza. Dannis Wilson, (James Trevena-Brown) batterista dei Beach Boys, è ospite fisso a Spahn Ranch. Capirai, un ingordo edonista come lui! “Non faccio parte di questa famiglia ma frequento questa famiglia”, dice.
Charlie e i Beach Boys
A un certo punto Wilson annuncia a Charlie una cosa incredibile. Un suo brano finisce nel nuovo album dei Beach Boys. L’acidissima Cease To Exist viene trasformata in un pezzo qualsiasi della band: Never Learn Not To Love. Però è un gran risultato, visto da dove arriva Manson. Si tratta del picco di una carriera, a dire il vero.
Finire con un pezzo in un disco della band più popolare in America dopo i Beatles, è un risultato enorme. A Charlie però non basta. Lui sente che si tratta solo dell’inizio.
Ha presenti le folle immense davanti ai palchi dei Beatles
o al Monterey Pop Festival.
Vuole quei palchi e tutto quel pubblico delirante. Curioso che Woodstock sia avvenuto circa una settima dopo gli omicidi della Family. Mentre si toccava il picco in quella stagione di amore e speranza, come disse Leonard Cohen, Charles Manson aveva già pronta la bara per il cadavere del sogno.
Nel film arriva Terry Melcher, il produttore. Si siede e ascolta una canzone. Look At Your Game, Girl.
Il discografico ascolta e poi se ne va. Lascia a Charlie un po’ di soldi e bofonchia un arrivederci per nulla convinto.
Manson finge che sia tutto ok davanti alle sue pollastrelle. Poi si isola in un granaio e rompe la chitarra in tanti pezzetti. Il completo di pelle di daino, messo per l’occasione, lo mostra in tutta la sua ridicola miniatura. Sarà lo stesso che avrà quando lo arresteranno, sporco di fango fino al ginocchio. Per la cronaca, il dio cattivo era alto un metro e sessanta. E a quel punto del film, circondato di straccioni disadattati, in un porcile di vecchio ranch semi-abbandonato, Charlie è in ginocchio.
Charlie Says Scientology
Non dimentichiamo che alla base della filosofia di Manson c’è Scientology, oltre la Bibbia e i Beatles. E Scientology ha tutta una retorica intorno alla gente di potere e di spettacolo. I successi ottenuti da Tom Cruise e Sting sono le prove della loro superiorità. Charlie vorrebbe conquistare il mondo con la merce che il mondo usa: la musica pop. Viene però rifiutato.
In Charlie Says, Melcher se la svigna sulle note di Look At Your Game, Girl, brano che circa venticinque anni dopo reinciderà la band rock più famosa del globo. Da quel rifiuto del mondo che conta, Charlie inizia a predicare l’Helter Skelter, la vendetta. Mette le sue donne a regime militaresco. Le fa esercitare con i coltelli, inculca nella loro testa la sua strana visione di un’apocalisse imminente.
In pratica sembra che la Harron dia ‘sta versione dei fatti. Se Terry avesse accettato di far incidere un disco a Manson, non ci sarebbero stati i massacri di Tate e La Bianca.
Ma è una cazzata.
Secondo Bugliosi, l’avvocato dell’accusa al processo Manson, la storia dell’Helter Skelter nasce molto prima del fallimento con Melcher. Manson ne parla in maniera ferma e costante. E i brani che avrebbe voluto incidere erano già ricchi di rimandi a questo suo corollario di profezie desunte dal White Album e L’Apocalisse di Giovanni.
Helter Skelter
Le sue storie sulla lotta tra bianchi e neri e la fuga nel deserto sono il verbo allo Spahn Ranch. Carlie Says che condurrà il suo popolo eletto di squinzie con la gonorrea e tossici, in una grotta sotterranea piena d’oro. Lì, Manson e i suoi adepti avrebbero tirato avanti fino al momento in cui Charlie non fosse tornato a comandare il mondo. Erano tutte cose che gli avevano detto i Beatles usando una serie di metafore. Non ridete.
Pensate invece che uno degli emissari più in vista di Scientology interpretò nel 1995 Il rovescio della medaglia, un film in cui l’idea bislacca di Manson viene usata para para per un bel film grottesco.
Il mondo discografico degli anni 60 diede credito a un sacco di pazzoidi geniali. Prendete Alexander Skip Spence o Rocky Erickson e i suoi 13 Floor, non a caso scelti dalla Harron per la colonna sonora.
La storia di Erickson non è meno folle di quella di Charles Manson. Per la cosa della Family vengono in mente gli Amon Duul II, anche se questi non uccisero nessuno. Ma ce ne furono di visionari pazzi fissati con esoterismo e zombie dello spazio che finirono sotto contratto negli anni 60.
E Charles Manson sarebbe stato uno strano tra un oceano di strani. Il mondo dello spettacolo avrebbe inghiottito anche lui come tutto quello che è venito fuori dall’era psichedelica.
Il pifferaio magico e Cristo playboy
E anche ciò che Mary Harron mostra nel film Charlie Says. C’è una scena fin troppo didascalica che ho odiato ma che la dice lunga: Charlie era il pifferaio magico. Molti dei seguaci sono ragazzini scappati di casa. Manson li accoglie nella sua tribù e condisce nella loro testa tutto un piano che è una via di mezzo tra Il pianeta delle scimmie e I dieci comandamenti. E loro lo seguono. Si vede quindi Matt Smith che suona una specie di flauto mentre dietro di lui c’è una sfilata di ragazze e ragazzi felici che lo seguono.
Quello che invece la Harron mostra bene in Charlie Says è come lui scegliesse le sue donne. Charlie aveva la stessa tecnica di un qualsiasi playboy. C’è un libro preziosissimo che vi consiglio. L’ha scritto Stephen Vizinczey, guarda caso patrigno della Harron. Si intitola Elogio delle donne mature.
In quel romanzo l’autore ungherese spiega come fa un playboy ad avere molte donne. Semplice, conquista solo quelle che può conquistare. Non ci sono sfide per lui ma pere mature pronte a cadere. E il bravo dongiovanni le sa riconoscere.
Charlie sapeva individuare le sue reclute. “Ho bisogno di vedere qualcosa nei tuoi occhi”, dice nel film a Lulu aka Leslie Van Houton.
Lulu
Il film inizia proprio da lei. A interpretarla c’è Hanna Murray di Game Of Thrones. Manson se la studia un po’ prima di accoglierla nella family. Alla fine la accetta perché lei è perfetta. Il suo sguardo avido e ammirato, la sua aria confusa… Se la scopa fisicamente e mentalmente.
Proprio davanti a Leslie c’è un’altra scena in cui lei sta leggendo ad alta voce L’Apocalisse. Charlie fa il bagno in una tinozza da vecchio western. Lo Spahn Ranch è pieno di reperti simili. Si avvicina uno della family con una nuova potenziale adepta. Lui si alza e non copre le sue pudenda. La ragazza ne rimane sorpresa. Charlie inizia una tirata sulle inibizioni e i cattivi insegnamenti dei genitori ma lei non abocca. “Mio padre mi ha insegnato a non farmi rifilare le stronzate da tipi come te, Charlie”, gli dice. Colpito e affondato in una tinozza. Questo è il solo calcio nei coglioni della Harron a Manson.
La realtà e Charlie Says
Nella realtà le cose andarono un po’ peggio. Volete sentirle? Non rischiamo di andare per le lunghe? Sticazzi?
Allora: Charlie era lì che si girava i suoi pollici cristologici. Arrivò uno degli uomini che lavoravano al ranch. Un panamense di nome Juan Flynn. Con lui c’era una ragazza. Manson le scassò un po’ i coglioni ma la tipa era lì per Juan e proseguì con lui ignorando Charlie. Ebbene, sapete cosa fece Manson? Sparò ai due.
Nel film lui reagisce come una prima donna insultata durante un ballo regale e fin qui tutto giusto. Si volta e ordina a Flynn di portargliela via da davanti agli occhi. Dice subito che è indegna di pascolare sulla sua terra, ma è chiaro che capisce di non avere il minimo potere su di lei. E quindi la scaccia rinunciando anche solo a provarci.
Charlie Says e la manipolazione al 50 per cento.
Gli esperti spiegano il meccanismo della manipolazione come una cosa interattiva. Ne deduco quindi che le donne di Manson volessero essere guidate da lui. Desideravano che lui facesse loro ciò che poi fece. Mary Harron non va tanto in profondità. La storia che le interessa è come queste povere donne sottomesse da uno stronzo possano ritrovare la propria individualità. Peccato che una volta libere da Charlie siano abbandonate dietro le sbarre per il resto della vita. E perdono quel loro sorriso hippie.
Mary Harron non vuole assolutamente nutrirne il mito agli occhi degli spettatori. Assistiamo a vari momenti in cui il “guru” dovrebbe mostrare anche a noi la sua “magia”. In cima alla montagna, il novello JC (Jesuschrist) istiga una ragazza a togliersi i vestiti.
Tutto quello che le dice, fino a portarla alle lacrime e prepararla all’orgia, è solo una serie di banalità rubacchiate da qualche testo di Freud letto male. Gli spettatori assistono al gioco di Charlie e non ne restano affascinati. Non c’è un solo momento in Charlie Says in cui viene in mente che forse Manson potesse avere le sue ragioni. O che magari avesse una qualche forma di genio poetico da riscoprire.
Gatte da pelare
Sono altre le gatte da pelare, per uno stuolo di femministe come la Harron, la Turner e la Faith. Bisogna dipanare i fili mentali di ragazze ribelli e in fuga dalle istituzioni tradizionali, imbrigliate poi dalle dita di un patriarca/pifferario come Manson. Quando lui picchia la più ribelle del gruppo, Sadie, lei ride e dopo dice a Leslie: “Charlie sa di cosa ho bisogno. E me lo dà sempre”.
Quello che sorprende in Charlie Says è invece la profonda pietà per le tre donne. Sono state viste come demoni e non vittime sopravvissute. Per liberarle da Charlie, Karlene Faith fa loro è una specie di contro-manipolazione. E le lascia sole con l’orrore che hanno commesso. Ognuna reagisce a modo proprio.
Sadie/Susan Atkins (Marianne Réndon) stringe forte la croce e prega. Il suo ritorno alla normalità non ci sarà mai. A quanto mi risulta non si è mai pentita delle sue azioni. Katie/Patricia Krenwinkle (Sosie Bacon) sembra aver rinnegato Manson, ma nel film non arriviamo al punto della sua “conversione”.
Lulu/Leslie Van Houten è l’unica a liberarsi del velo che ha davanti agli occhi. Nel finale ripensa al motociclista che le offrì una via di fuga prima degli omicidi. Immagina da dietro le sbarre di aver accettato. Di fuggire con lui dalla follia di Charlie. Come per l’immagine troppo didascalica del pifferaio, trovo sia pure questa delle sliding doors, un’altra caduta greve. Il film però resta tra le cose più riuscite della Harron insieme a Ho sparato a Andy Warhol, suo capolavoro e American Psycho. Di sicuro Charlie Says uno dei migliori mai realizzati sulla Family di Manson.