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Lavoro – Se la situazione fa schifo è anche colpa nostra

Io lavoro e sono tre mesi che non prendo lo stipendio. Quanti di voi si sentono dire o dicono una cosa del genere? Immagino che stiate tutti più o meno in situazioni difficili. E puntualmente arriva qualcuno che azzarda: “la colpa di tutto questo è nostra”. E ancora: “Se ci ribellassimo…”

Sarebbe come dire che la colpa dell’Olocausto era dei deportati che non prendevano a calci nei coglioni tutti quei nazisti armati e spietati. E sarebbe come dirlo senza essere stati lì. Perché di solito chi giudica un lavoratore e tutta la merda che è disposto a mandar giù, non si trova in una situazione simile. E per sua fortuna non ci si è mai trovato.

Le difficoltà sul lavoro sono parte del lavoro

A volte racconto le mie difficoltà sul lavoro. Non avete idea quante pere devo ingurgitare senza neanche masticarle, pur di guadagnare due soldi in croce. E come a tutti, mi capita di sfogarmi, lamentarmi. In genere lo faccio con degli amici fidati. A volte succede che qualcuno meriti meno fiducia e spari giudizi alle spalle o davanti.

Dovresti ribellarti.

Reagisci.

Io al posto tuo farei così.

Bravo. E io no. La realtà è ben più difficile. E quel “farei” non vale quanto “io al posto tuo HO FATTO”.

Ma il punto è che se dentro di me non ci fosse lo stesso giudizio, l’accusa esterna non attecchirebbe. Sono io il primo a dirmi che dovrei fare qualcosa. Ogni giorno vado al lavoro con pensieri militanti, battaglieri. Poi saluto il titolare con un sorriso e penso al mio da fare. Mi disprezzo ma dico che è per i figli. Forse mi piace pure un po’ di umiliazione.

Se avete letto Dostoevskij sapete quanto l’animo umano sia paradossale e contraddittorio. Potrei desiderare intimamente di subire queste vessazioni. Non escludo nulla. Però una parte di me dice che dovrei reagire. Fare qualcosa.

frazetta
Io appena finiti gli studi e in procinto di affrontare il mondo del lavoro

Un nuovo sessantotto per il mondo del lavoro

Trent’anni fa i nostri padri scioperarono, contestarono, diedero battaglia. Oggi ho come l’impressione che quei traguardi ce li siamo fottuti. Faccio un lavoro che non mi concede ferie, mi paga tre ore al giorno sulle sette che faccio. Non prenderò la liquidazione perché nello striminzito stipendio c’è già pure quella. Niente tredicesima, né quattordicesima. E la paga arriva dopo mesi di ritardo ingiustificato.

E a me sta bene così. Perché mi sento solo, indifeso. Cosa dovrei fare io, lavoratore impiegato a contratto? Infilare un dito sotto al naso del mio titolare e dirgli che così non si fa? Ha settant’anni. Sa benissimo che così non si fa. Sono cinquant’anni che non la fa e periodicamente qualcuno con le palle d’acciaio glielo fa notare. Prima di andarsene a patir la fame sbattendo la porta.

La colpa di tutto questo è mia che lo accetto? Sono uscito dalla scuola e ho sempre lavorato. Non ho mai avuto uno stipendio con puntualità e mi dite che è colpa mia? Ho dovuto usare un avvocato per farmi pagare la liquidazione e gli arretrati. Sono stato io?

Sì, perché accetti queste cose. Dovresti dire no. E come te anche tutti gli altri. Se noi tutti dicessimo…

Se noi tutti avessimo tre palle?

Io una volta affrontato il meraviglioso mondo del lavoro. Il cavaliere nero l’hanno messo cassaintegrazione.

Ho rifiutato un lavoro una volta. Aveva una paga misera e troppe pretese. Io dissi no, fanculo. Un altro accettò.

Dopo aver detto basta a un datore che non mi pagava da otto mesi sono stato disoccupato. Per un anno e mezzo. E lo Stato mi ha lasciato lì. La disoccupazione si è così assottigliata che neanche la vedevo più. L’ufficio di collocamento non mi ha offerto nulla per ripartire. Ho mandato curriculum, provato di tutto. Quando è arrivato un nuovo impiego mi sentivo come uno lasciato in una camera buia a morire di fame e sete che viene messo a un tavolo di un ristorante. Gli offrono cibo e bevande. Hanno un sapore vagamente stantio ma non gli importa. Cibo. Acqua. Fame.

FAMEEE!

La più grande truffa di questo sistema è che siamo felici di aver trovato un lavoro. E quale lavoro? Dodici ore sottopagate a fare cose noiose e umilianti? Sono lieto. Ho risolto i miei problemi. Adesso posso pagare la la luce e il gas della mia prigione.

Sei talmente affamato, umiliato e stanco. Ecco il ristorantino. La roba è scaduta, avanzata da altri tavoli ma non te ne frega. Non ti basta a saziarsi ma dicono che te ne daranno ancora. Quanto basta per continuare ad avere fame. Quindi ok.

Un lavoratore da solo non può nulla. Il 68 lo fecero dei figli di papà fuori-corso e non gli operai. Per far valere i miei diritti ho bisogno di uno Stato che sia in grado di riconoscermeli.

Se aveste fuori di casa dei teppisti che vi spaccano i vetri della macchina, chiamereste la polizia. Ma se la polizia dopo ore e ore non arrivasse? Cosa fareste? Che potreste fare? I giustizieri?

Il giustiziere della Cisl

No? Andreste fuori con un bastone. I teppisti forse scapperebbero e voi tornereste in casa trionfanti. O magari non fuggirebbero via. Guarderebbero nei vostri occhi e il bastone lo infilerebbero nel vostro culo.

E se questo succedesse, sarebbe colpa vostra? O della polizia che non è mai arrivata?

Il lavoratore oggi potrebbe reagire solo con le armi o con la pazzia. Questo non condurrebbe a nulla di buono. Chi pensa il contrario ha visto troppi film con Stallone. Avete mai dato un pugno a un uomo? Sapete che un cazzotto dato in un certo modo potrebbe uccidere o mandare in coma?

La realtà non si risolve a cazzotti. Quello è il cinema. Voglio un paese dove il rispetto non nasce dalle mie stesse minacce ma da regole. Leggi che io rispetto. Anche se sembrano sempre più le regole di un campo di sterminio che di un posto civile.