Suspiria non è solo la colonna sonora di un grandissimo film horror ma un originalissimo disco rock sottostimato e snobbato dalla critica del pallottoliere (altresì nota come “quella che conta”). La suddetta masnada di esperti ha sempre sminuito i Goblin accusandoli di non riuscire ad aver successo se non inseriti in un progetto di Dario Argento (cosa tra l’altro verissima). Questo lavoro però gli permise di sfruttare al massimo l’opportunità di essere esposti all’attenzione del grande pubblico.
Fecero non un professionale compitino, come ne avrebbero firmati in seguito, ma un capolavoro di prog music sulla paura come nessuno sarebbe mai stato in grado di eguagliare. Suspiria arricchisce il film di Argento. Lo rende ancora più potente e spaventoso ma allo stesso tempo mostra un’indipendenza vera di album rock con una struttura propria e un umore vivo al suo interno.
Anche Roller con gli anni ha acquistato uno status di culto, è rispettato e visto come uno dei momenti più riusciti della discografia della band. La pretesa di potersi imporre sulla scena rock italiana mantenendo le coordinate di una formazione da colonna sonora fu un passo falso che i Goblin pagarono caro.
I Goblin
Ma chi erano poi ‘sti Goblin? Una band vera e propria o un entourage di talentuosi musicisti che si avvicendavano attorno a un monicker? Giovanni Aloisio nel suo ottimo libro “Goblin – La musica. La paura. Il fenomeno” propende per la seconda ipotesi. Lui dice che “Goblin” è stato più un concetto artistico a cui diversi musicisti di talento hanno ruotato attorno. Non si è trattato di una band con una line-up fissa e variabili avvicendamenti dovuti a scazzi creativi. Se questo è vero mettiamola così: Suspiria è il frutto più ambizioso e audace realizzato da quella comune di compositori.
E i folletti tappezzieri erano in piena crisi quando Dario Argento decise di coinvolgerli nel suo nuovo film. Proprio come nel caso di Gaslini e Profondo rosso non erano loro la prima scelta. A dirla tutta, leggendo i vari articoli retrospettivi che provano a ricostruire la storia dietro ogni film del regista romano, è palese quanto lui usasse i Goblin come piano B.
Per Profondo Rosso Dario desiderava gli Emerson, Like & Palmer, i Deep Purple, i King Crimson. L’editore Carlo Bixio invece gli mise davanti alle orecchie un demo di quattro pischelli romani suonatori di progressive rock.
Cherry Five
Si chiamavano Cherry Five o qualcosa di altrettanto improbabile ed erano davvero bravi. Argento si convinse subito e gli affidò il compito di portare a termine la colonna sonora di Profondo Rosso. Loro (al tempo Claudio Simonetti alle tastiere, Massimo Morante alla chitarra, Fabio Pignatelli al basso, Walter Marino alla batteria) gli salvarono letteralmente il culo realizzando un tema principale che fece epoca e divenne sinonimo acustico del film in tutte le lingue del mondo.
Stessa storia di ripiego per Suspiria. Il regista aveva in mente i Banco del mutuo soccorso, band progressiva in ascesa che a causa dei tanti impegni, prima con la realizzazione della colonna sonora di Garofano rosso e poi con la tourné del disco Come un’ultima cena, dovette rifiutare il coinvolgimento nel progetto orrorifico argentiano.
Ve lo immaginate il Banco che musica Suspiria ? Ma che gli diceva il cervello a Darione?. Fatto sta che il gruppissimo prog non poté dargli retta e in sincerità, dopo tanti anni, Nocenzi e co. faticano persino a ricordare che ci sia stato un contatto tra loro e Argento per il film. In ogni caso, visto che né il Banco e tantomeno quell’altro gruppettino spicciolo di Londra (tali Pink Floyd) era disponibile, Argento tornò ad affidarsi ai Goblin.
I quali, Goblin, dopo l’exploit inatteso di Profondo Rosso e il fiasco di Roller erano demoralizzati e sul punto di sciogliersi. L’opportunità di lavorare ancora con Dario la presero senza troppo entusiasmo, a dire il vero. Insomma, oggi Suspiria/Soundtrack è visto come il momento creativamente più felice della band. Allora si sbrogliarono la realizzazione in un paio di mesi, con tanti battibecchi e una certa amarezza di fondo. Il disco non ripeté i traguardi commerciali del lavoro condiviso con il jazzista Gaslini, ma si piazzò in cima alle classifiche e vendette cifre ragguardevoli.
Suspiria
Il gruppo però parve quasi disinteressato e non fece seguir alcun tour promozionale, pur ritenendo Suspiria, con orgoglio, un lavoro all’avanguardia per la scena italiana.
A dire il vero tutta questa innovazione la carpirono in pochi. La maggior parte dei critici continuò a snobbare la band e i suoi lavori, rifiutandosi di vedere Suspiria come un oggetto artistico a se stante, indipendente rispetto a un film dell’orrore. E ci sono voluti tanti anni prima che un critico illuminato come il già citato Aloisio lo definisse un lavoro “orientato a una ricerca delle radici etniche e antropologiche della paura”.
L’elemento ritmico è infatti predominante (sentitevi Witch e Sighs) rispetto a Profondo rosso e questo grazie al nuovo innesto: Agostino Marangolo, sostituto di Walter Marino già da Roller alla batteria. Lui ha sviluppato in grande le potenzialità terrifiche dell’elemento percussivo.
Suspiria, per quanto abbia un tema principale notissimo ed efficace, in fondo non è un gran lavoro per quello. L’arpeggio tintinnante supportato dalla voce sussurrata di Simonetti ripete lo stesso escamotage della melodia ossessiva presente in decine di horror. Un refrain abusato fin dai tempi di Tubural Bells di Mike Oldfield (in L’esorcista di Friedkin) e in Profondo rosso.
Suspiria soundtrack
Ciò che rende unica questa esplorazione nel cuore nero delle fiabe stregate sono l’uso della sezione ritmica e di quella canora. Punto. I Goblin hanno ribadito in Roller il proprio ruolo di band progressiva senza cantante. In “Suspiria” invece decidono a sorpresa di sfruttare anche la voce, però non con dei ridicoli testi visionari ed esoterici.
Lo faranno poi con l’altalenante Viaggio del Bagarozzo Mark, dove il cantato dice cose. Altreimenti la voce è essenzialmente uno strumento musicale. Questo sia nel già citato sottofondo asmatico della nenia che nell’indemoniato gorgheggio di Witch, quasi un’anticipazione delle sciarade necromantiche della singer greca Diamanda Galas. La voce strascicata e malevola torna anche nella traccia Suspiria Narration, posta in coda alla scaletta del disco. Lì però siamo a livelli più canonici o quasi di parlato con musica.
L’originalità dell’album come sempre furono gli artisti i primi a capirla. John Carpenter su tutti ha ammesso un debito enorme con i Goblin di Suspiria per il suo Halloween Theme nato non a caso dall’improvvisazione su delle percussioni. Non partì da una tastiera come il motivo principale al piano lascerebbe supporre. Tantissime musiche horror e gran parte del moderno heavy metal satanico e sperimentale devono più di quanto si possa immaginare al lavoro di Marangolo e Simonetti per il film.
Dario Argento e Suspiria
Argento ha sempre avuto il pallino del rock (pur capendone poco) sia come ascoltatore che da cineasta ossessionato dalla violenza e dagli eccessi. Fondere immagini forti a suoni forti era una lezione preziosa imparata da Sergio Leone e i suoi western. Dario, in coppia con Bernardo Bertolucci consumò un apprendistato alla scuola del grande regista lavorando alla sceneggiatura di C’era una volta il west. E non a caso è a Morricone che si rivolse da subito per i suoi thriller dalle tinte malate e oscure.
Tra i due non nacque un gran sodalizio. Il compositore musicò tutti e tre i primi film e per molti aspetti seppe mettersi in gioco, sperimentando con dissonanze, il jazz, le voci dolci e aggressive. Dario però fin dall’inizio non seppe gestire bene la collaborazione. Soffrì per l’inesperienza. La propria incompetenza musicale che non gli permise di imporsi su certe cose. Soprattutto non aveva ancora la lucidità giusta per dare fiato alle sue intuizioni più personali.
Al tempo non si poteva chiedere un coro di voci infantili che cantano una melodia dai risvolti dissonanti, a meno che la fonte di quel suono non fosse parte della storia, mostrata, razionalizzata. Argento non sentiva il bisogno di spiegare tutto ciò che voleva mettere nei suoi film e di certo le incomprensioni con Morricone ci furono. La collaborazione però entrò in crisi solo quando il regista, per Quattro mosche di velluto grigio si sentì talmente insoddisfatto del lavoro del musicista da chiedergli di riscriverlo. Fu un affronto inaudito. Nessuno aveva mai osato fare una cosa del genere a Ennio!
Altro che Morricone!
Nei primi due lavori della trilogia zoognomica (L’uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code) le dolci note infantili, i carillon spettrali, venivano da un campionario in fondo già provato da Morricone. L’aveva fatto sia con il Polanski di Rosemary’s Baby che con lo stesso Leone nei suoi capolavori western, ma riguardo Quattro mosche… si passò a un approccio più aggressivo e rock.
La trama lo richiedeva, per cominciare: il protagonista del film era un batterista e suonava in una band. Inoltre il film in sé aveva un carico di violenza superiore rispetto agli altri due. Era la prima incursione di Argento nel soprannaturale, l’orrorifico puro, quindi bisognava aumentare il volume e la potenza dei motivi. Morricone ci provò ma il risultato non fu onestamente irresistibile e di certo ancora oggi risulta un po’ forzato, fuori-area e innocuo.
Dario avrebbe voluto usare le musiche dei grupponi hard rock britannici e in un certo senso si avverte nel brano principale del film l’intento del compositore di accontentarlo. La voce, anche qui come per “Suspiria” è usata a mo’ di strumento senza parole. Il timbro e lo stile ricordano un po’ Ian Gillan in preda a una indigestione inaspettata. Il resto è un compitino aggressivo con un fraseggio di hammond degno di un beach song anni 60. Non è qualcosa in sintonia con i pesanti riff di Jon Lord di In Rock e Machine Head.
Gaslini
Dopo Le cinque giornate, Dario tornò al giallo estremo e si ritrovò al fianco, per volere più della produzione che il suo, Giorgio Gaslini, un compositore jazz che dall’Antonioni de La notte era passato a roba come Quando le donne si chiamavano madonne e Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile. Il regista sapeva che per Profondo rosso avrebbe avuto bisogno di composizioni più moderne, cattive e potenti ma dovette accontentarsi di Gaslini, che era un autore di scuola jazz e col rock aveva davvero poco a spartire.
Se costui fosse stato un professionista puntuale e corretto la storia del cinema horror sarebbe venuta molto diversa ma dato il comportamento negligente, assenteista, di Gaslini saltò tutto. Da lì la conseguente impossibilità per Argento di avere un lavoro completo, adeguato per le musiche del suo film. I tempi per risolvere la faccenda erano quasi inesistenti. Ma ecco la famigerata notte di tregenda all’EUR. Dei ragazzi in gamba diedero a Dario, nei limiti del possibile, non solo ciò che lui avrebbe voluto rubare dal nuovo rock inglese ma molto di più.
Tubural Bells e Suspiria
Fino agli inizi degli anni 70 le musiche per film horror erano prevedibili, funzionali alle scene girate, rispondevano al principio che uno score buono fosse quello che non si nota. L’esorcista fu esempio di rottura di questa regola ma il pezzo Tubural Bells di Oldfield non era stato scritto appositamente per il film, non rispondeva a un’ispirazione demoniaca e lo divenne a posteriori, in modo casuale.
Il motivo di Profondo rosso invece nasceva dal bisogno di tingere di note la follia omicida di un assassino scatenato, strisciante dentro corridoi pieni di calcinacci, bambole rotte, quadri macabri, filastrocche infantili, cadaveri murati e massacri all’arma bianca. L’arpeggio di Fabio Pignatelli è ispirato all’incipit di chitarra di Oh My God dei Jethro Tull. Massimo Morante lo spezzò in un tempo dispari. L’arpeggio si insinua lungo la colonna vertebrale del pubblico. Gli stacchi della band poi aggrediscono l’ascoltatore come pugnalate improvvise.
Il brano in fondo ha una struttura ritmica in sintonia con il progressive. L’organo da chiesa di Simonetti però è così lugubre lasciato da solo nel finale. Non fa che trascinare un pizzico di suggestione religiosa alla Bach nella violenza che il film rappresenta. Del resto “Toccata e fuga” è una delle composizioni classiche più inquietanti che siano mai state realizzate e il fraseggio conclusivo di Claudio ne possiede una familiarità indiscutibile.
I giorni della paura – Da Profondo Rosso a Suspiria
Le musiche di Profondo Rosso devono moltissimo al rock anni 70 ma non sono interamente dei Goblin. La band deve condividere il disco assieme allo sfuggente Gaslini, a cui spesso per errore viene attribuita la paternità dell’intera partitura. Lui la scrisse e loro la suonarono, dicono gli ignoranti. Secondo Simonetti già nel capolavoro argentiano c’era un tentativo di videoclip preistorico, in gran parte riuscito.
Rispetto a “Suspiria” è però solo una prova generale per l’apoteosi maelstromiana di suoni, colori e omicidi strillati tutti al massimo volume ognuno dal proprio canale specifico di espressione. Suspiria è un incubo a occhi aperti e le musiche ne rappresentano l’ideale commento. C’è chi dice che gli incubi siano in bianco e nero e con i sogni condividano l’assenza di audio.
Nel caso di Suspiria lo score è un ragtime selvaggio che non molla praticamente mai la sciarada onirica e i colori sono talmente accesi che paiono tradurre l’intero film in una panoramica su carne viva. Se alcuni film sanguinano, Suspiria urla. La pellicola sbroda umori proteici e agguanta la mente dello spettatore con mani secche, ramiformi, acuminate e glaciali. Tira tutti giù, nel pozzo primordiale della foresta brulicante, il cui tam tam in avvicinamento non sembra neanche prodotto da braccia umane.
Suspiria doveva suonare tipo Kraftwerk
Inizialmente Dario, prima ancora di interpellare il Banco e invocare i big inglesi del rock, chiese ai Goblin di comporre qualcosa in linea con lo stile elettronico dei Kraftwerk. Il gruppo gli spedì in breve tempo le demo di quattro tracce: Suspiria, Witch, Sighs e Markos. Tra gli artefici di questo trattamento acustico preliminare c’era anche il tastierista Maurizio Guarini, il quale rivendicò in futuro e con un pizzico di polemica un ruolo paternale intorno all’opera.
Suspiria – Dall’elettro al rock
Era presente dall’inizio ma durante l’incisione ebbe discussioni con gli altri della band e se ne andò sbattendo la porta. Il materiale dei demo fu usato come colonna sonora “dal vivo” durante le riprese ma per la versione definitiva non poteva bastare. Così il gruppo rielaborò quelle idee e ne produsse altre ma in sostanza restarono solo le prime quattro tracce rielaborate a finire nel film. E di tutte soltanto Markos ricorda lo stile elettronico dei Kraftwerk.
Le altre sono composizioni rock indiavolate di grande presa. Sarebbe interessante riascoltare la pre-colonna sonora ma non se ne sa più nulla. Altri brani poi finiti nel disco Suspiria non furono utilizzati. Black Forest e Blind Concert, composizioni jazz-progressive di sei minuti ciascuna, probabilmente un po’ fuori dal contesto fiabesco e misterioso della pellicola. Per intenderci, il sax nei boschi (suonato da Antonio Marangolo, fratello di Agostino) che solfeggia su basi “miciose” di Pignatelli al fretless, non si saprebbe dove inserirli in un contesto così tenebroso e alla Grimm al punto da risultare atemporale.
Moog of the witches
Funzionano molto meglio le tastiere fantastiche del tema principale e la furia percussiva di Witch, mescolata al parossismo rock ipnotico di Sighs che per certi versi è una lugubre miscela blues-horror esotica ed esoterica. Ma questi due pezzi (Black Forest e Blind Concert) sono fondamentali per dare al disco l’indipendenza e la dignità di opera rock sperimentale che in tanti anni si è cercato di negare. E non solo a Suspiria ma a tutti i migliori lavori dei Goblin.
Suspiria in particolare mostra una smania di riscatto che in futuro verrà meno (anche negli episodi più riusciti della discografia della band come Tenebre, Phenomena, Zombi, Non ho sonno) e ancora oggi il gruppo ne è orgoglioso. Tutta la band rifiuta poi la parentela tra questo lavoro e Profondo rosso e Roller ma proprio i brani inediti mostrano un filo conduttore con essi.
Concentrando l’analisi esclusivamente sui brani usati nel film, non c’è dubbio che già da soli contengano il succo di base dell’approccio creativo della band. E per esplorare al massimo tutti i vicoli sonori che conducono al buio e all’irrazionale, i Goblin optarono anche per l’uso di strumenti mai incisi prima in Italia. Oltre al massiccio uso di suoni elettronici, mellotron e la celesta, Simonetti decise di introdurre il moog, un sistema di sintetizzatori su tastiera.
A scuola In Inghilterra
Si fece mandare un esemplare direttamente dall’Inghilterra, tra l’altro già usato da Keith Emerson con i suoi ELP. Per capirci qualcosa si affidò a un tecnico specializzato in grado di guidarlo all’uso di uno strumento ormai tipico e persino imprigionato negli anni 70 ma che allora in Italia nessuno aveva osato introdurre.
Anche il lavoro di Marangolo, con la ricchissima schiera di percussioni amplificate, distorte, ecoizzate, tra timpani, tabla, bonghi, piatti, piattini, piattelli. Persino un bicchiere di plastica schratciato contro il microfono. Pignatelli che percuote la tabla, specie di bongo in grado di emettere il suono prolungato e storto che si sente sotto il tema principale. Il chitarrista Morante è alle prese con il particolarissimo strumento a corda greco Bouzouki. Tutto aggiuge ulteriore freschezza e potenza a un disco che andrebbe rivalutato come episodio saliente per la storia del rock e non solo in quella del cinema pauroso.
Musiche dei Goblin (in collaborazione con Dario Argento
Riguardo l’apporto creativo di Dario Argento alle composizioni dei Goblin (beh…) anche se nei titoli di testa è specificata la sua collaborazione, in effetti il regista si è solo limitato a qualche indicazione, a descrivere ciò che desiderava e lasciar fare. L’approccio è lo stesso che aveva per tutti gli aspetti del film: diceva la sua e sperava che i collaboratori gli dessero ciò che cercava.
Come in più occasioni ha ribadito, il film doveva partire da lui, in tutti i suoi aspetti, dalle scenografie, alla sceneggiatura, fino alle musiche. Ma se per qualcuno, come nel caso delle mani dell’assassino e la voce narrante nei titoli di testa, si è pensato che la voce sussurrata sotto il tema fosse la sua, va ribadito ancora una volta che Argento non ebbe alcun ruolo attivo nelle incisioni.
Lui non sapeva e non suonare alcuno strumento. E le ugole gridate, gorgorizzate e zufolate nell’album sono di Marangolo, Morante, Pignattelli e Simonetti che ancora ricorda con divertimento quelle sessioni d’incisione. Lui e il resto della band si divertivano a far casino con le voci, pronunciando letteralmente parole senza senso intorno al termine reiterato. Urlavano “Witch! Witch! Witch!” e la frase “There are three wiches sitting on a tree” che rimanda alla fonte ispiratrice di partenza del pezzo.
Le tre streghe sull’albero
Ma il regista non impose la scritta “in collaborazione con Dario Argento” anche per il lavoro del direttore della fotografia e tanto meno per la firma della sceneggiatura di Daria Nicolodi. Eppure il suo parere deve aver pesato forse più in questi segmenti lavorativi del film che per le musiche. Lui rivendica ancora oggi un ruolo fondamentale nella realizzazione dello score di “Suspiria” che definisce senza giri di parole un’autentica opera rock.
Dice di aver catturato con un registratore, in Grecia, durante un viaggio, alcune musiche tradizionali suonate con il bouzouki, e dopo di averle portate a Roma e fatte sentire ai Goblin, chiedendo loro di riarrangiarle per il film, ricavando così il tema principale di Suspiria. Claudio Simonetti invece sostiene che fu la promoter greca Irene Malatesta a scovare la cantilena del ‘500 “Le tre streghe sull’albero”. Da quella nacque l’arpeggio famoso ideato dalla band e la frase reiterata sottovoce. Claudio accettò, come il resto della band, con un po’ di fastidio questa dicitura nei titoli di testa dei Goblin realizzatori delle musiche “in collaborazione con Dario Argento”. In collaborazione de che?
Suspiria theme
Anche se il tema principale di Suspiria è presente nei titoli di testa, quello usato nei titoli di testa è un montaggio di vari segmenti della colonna sonora. La nenia è infatti in mezzo a una cornice che nella scaletta dell’album sarebbe la terza traccia, brevissima, dal titolo Open the Sighs. Una specie di rullata crescente, violenta e sinistra, accompagnata da un violino stridulo che si interrompe con un colpo di rullante caotico simile a uno sparo. Argento in pratica spezza in due Open The Sighs.
Il primo pezzo lo usa per l’apertura travolgente. Poi insinua il tema ridondante ormai notissimo che è ottimo come tappeto per la voce narrante (questa sì, sembrerebbe la sua). La voce spiega di Suzy e le circostanze che l’hanno portata in Germania. Infine chiude ancora con la rullata e lo sparo di rullante. Baaang!
Inizia il film
Suzy Benner (Jessica Harper) è in aeroporto e guarda la porta automatica dell’uscita a cui si sta avvicinando. Fuori il tempo è orribile e la notte nera come pece colante. Avviene una sorta di controcampo sonoro tra il suo sguardo via via più apprensivo e scoraggiato e il buio che l’attende. Quando si inquadra la porta emerge la nenia e quando la camera torna sulla ragazza c’è silenzio.
Una volta fuori il vento, la pioggia travolgono Suzy, l’inquadratura della porta scorrevole sembra letale e spietata come una ghigliottina. Recide in qualche modo la vita tranquilla e razionale della protagonista con il suo presente cruento e orribile. La musica irrompe definitivamente sulla ragazza. Il tema è come lo conosciamo dal disco. Si dipana arricchito di tuoni e altri rumori diegetici, fino all’entrata nel taxi, il viaggio nel bosco, la visione della fanciulla in fuga tra gli alberi e l’arrivo al collegio.
Witch
Il secondo brano, Witch accompagna la corsa della prima vittima del film fino alla scuola. In tutti i casi Argento non usa dei volumi ellittici per chiudere o riaprire la musica, la spara e la tronca in modo netto, repentino. Questo provoca nello spettatore un effetto di sorpresa e disorientamento. Per l’omicidio viene usato Sighs (Sospiri) e dalla parte del braccio che sbuca dalla notte e rompe il vetro deflagra Witch e già dopo dieci minuti il succo dell’intera partitura sonora è servito al pubblico.
Death Valzer
Per i dieci minuti successivi la regia non lascia entrare un solo suono extradiegetico nella storia. Solo dialoghi e rumori fino alla prima lezione di Suzy, con il pianista. Lui suona un brano intitolato Death Valzer, una composizione che sa tanto di fin de siecle e in fondo non ha nulla di particolare. Svolge il compito semplice di commentare un esercizio di ballo. Il tema però torna poco dopo, quando Suzy attraversa un corridoio, diretta alla stanza degli esercizi. Lungo il corridoio una delle grasse inservienti la ipnotizza con il luccichio dell’argenteria che sta lucidando.
Il Death Valzer torna poco dopo, quando la ragazza tenta di star dietro ai movimenti che l’insegnante Alida Valli le chiede di eseguire. La musica apparentemente innocua diventa fastidiosa, inopportuna e sferzante. E così gli ordini dell’insegnante ariana, mentre la ballerina perde colpi, è disorientata, fino a cadere in terra priva di sensi.
Markos
Altro stacco senza suoni fino alla scena dei bigattini dal soffitto. Di lì, come uno sciame di vespe liberate nel nostro cervello, Markos invade la scena. L’elettronica spinta è accompagnata da percussioni robuste in stile Witch e Sighs ma dura poco. Tornano il silenzio, i sussurri, i sospiri fischiati, le voci inintelligibili, i passi. Tranne una parentesi sinfonica non specificata nei credits, quando Miss Tanner (Alida Valli) entra nella sala delle esercitazioni dei ballerini. Un’intera orchestra suona non si sa dove, visto che il solo che sembra eseguire quel movimento è il pianista cieco Daniel (Flavio Bucci). Se escludiamo questo, “Suspiria” è quasi un film mormorato, immerso nella malìa opprimente delle streghe tutrici.
Interrotto e licenziato perché il suo cane ha morso il piccolo Albert, il pianista se ne va furioso. Lo ritroviamo poche ore più tardi, in un locale, mentre ascolta, e noi con lui, un brano folk tirolese. Deve aver bevuto, voglioso di sbollire e dimenticare l’arrabbiatura del giorno e i guai per aver perso l’impiego. Una cameriera lo accompagna fuori, esortandolo a tornare a casa. Lui e il cane si avviano nel silenzio di una notte affamata. Come per gli altri delitti riparte la musica, Witch. Nel riverbero delle percussioni, unite alle grida e i lamenti, fa pensare a un esercito di fattucchiere che volteggiano sulla testa del pianista e il suo cane. L’uomo grida, avverte la loro presenza e infine è attaccato e divorato dal solo alleato che pensava di avere e che gli era costata l’espulsione.
Sighs
Sighs rifà capolino nella scena della piscina. Suspiria quando Suzy è preda del sonno stregato e infine Witch per il solito lavoro sporco. Vale a dire, la morte cruenta di Susan nel letto di filo spinato.
Il tema di Suspiria accompagna la spiegazione del professor Milius, introdotto da Udo Kier e infine a partire da Sighs, e poi a sorpresa, l’omicidio della Strega Madre è affidato al caotico Markos. La strega madre porta appunto nel titolo il nome del suo stesso intermezzo funebre. La fuga si conclude con l’incendio nella scuola. Poi il sorriso enigmatico della protagonista poco prima che esca di scena e i titoli di coda accompagnati dalla seconda parte, molto rock, del brano Suspiria, in stile One Of These Days dei Pink Floyd.
Argento in fondo non fa altro che usare la musica per le scene di tensione e per quelle cruente. Nei momenti in cui gli omicidi e l’orrore arrivano ecco la musica. Non ci sono violini drammatici a sottolineare le battute o dei rimbrotti ritmici quando si nota un particolare insolito. La sequenza in cui Suzy beve il bicchiere di vino è di un silenzio snervante. La musica non commenta ma si unisce al coro di luci, colori, grida, accoltellamenti fino all’apoteosi della violenza filmata con innegabile compiacimento. Senza Argento, l’eccesso barocco dello stile Goblin non esisterebbe. Se non ci fossero stati loro, sapienti interpreti del suo cinema, oggi però non avremmo un capolavoro di tale veemenza. Come se Argento volesse tradurre lo shock del suo film più invernale e malevolo, anche per i ciechi.