volbeat

Volbeat – Nascere incendiari e morire pompieri!

Rewind, Replay, Rebound è un album dei Volbeat uscito per Vertigo nel 2019 – I Volbeat, una delle rare cose interessanti uscite dalla Danimarca (a parte i Mercyful Fate, i D-A-D, i Pretty Maids e i biscotti) pubblicano oggi il loro settimo album. Dagli esordi nel 2001 Michael Poulsen e soci si sono distinti per uno stile particolarissimo che mischia efficacemente metal, rockabilly e punk.

Vocalizzi fra Glenn Danzig, Elvis Presley e Johnny Cash, ritmiche rocciose e chitarroni fra il thrash e il punk americano: questi gli ingredienti principali della musica dei Volbeat. Inoltre, grazie a un abile equilibrio fra brani più metallici e altri più orecchiabili (oltre ad un Michael Poulsen da poster in cameretta!) la band può vantare un seguito femminile che altri gruppi metal si sognerebbero di notte.

Rewind, Replay, Rebound è il terzo album col chitarrista Rob Caggiano (ex Anthrax) e il primo con il nuovo bassista Kaspar Boye Larsen, mentre è rimasto al suo posto il fedelissimo batterista Jon Larsen.

I Volbeat così così

incendiariAmmettiamolo, i Volbeat hanno scelto malissimo il brano di apertura. Last Day Under The Sun è molto, troppo leggerino. Un rock ottantiano reminiscente degli INXS e con tanto di coretti femminili in coda… Se il buongiorno si vede dal mattino, qui c’è aria di tempesta.

Invece arriva subito il colpo di coda: Pelvis On Fire è senza mezzi termini un capolavoro. Poulsen che gioca a fare Elvis su una base ritmica furiosa e veloce è un mix assolutamente vincente. QUESTI sono i Volbeat!

Peccato che il terzo brano Rewind The Exit sia anche il peggiore, qui la melodia iniziale richiama addirittura i Depeche Mode di Strangelove ed è di nuovo una canzone fin troppo leggera e che lascia poco o nulla. Ahia.

Arriva però il secondo colpo di coda, stavolta in collaborazione con Neil Fallon dei Clutch: Die To Live spacca con un’atmosfera stile Misfits ed elementi di rock ‘n’ roll ben piazzati. Gran canzone, non c’è che dire.

When We Were Kids è una ballad senza infamia e senza lode, mentre Sorry Sack Of Bones convince abbastanza con un riff di stampo surf e una bella costruzione ritmica.

Da qui in poi troviamo una manciata di episodi fin troppo “easy” e “pop”: Cloud 9, Maybe I Believe, 7:24 e The Awakening Of Bonnie Parker. Quest’ultima si salva con degli azzeccati inserti anni 60 ma rimane sempre un po’ troppo leggerina rispetto ai dischi precedenti.

Pollice su per…

volbeat

Pollice in su invece per il punk sfrenato di Parasite (però dura meno di 40 secondi!) per The Everlasting (finalmente 100% metal) e infine per Cheapside Sloggers, che riporta il classico Volbeat sound con Gary Holt (chitarrista di Exodus e Slayer) in veste di ospite.

Come giudicare questo disco? Quando hai Rob Caggiano in formazione e Gary Holt come guest ci si aspetterebbe un altro tipo di evoluzione, non certo un ammorbidimento di questa portata. La melodia è sempre stata parte integrante dello stile dei Volbeat ma è anche sempre stata sorretta da basi ritmiche molto più solide e grintose.

Se in passato ci venivano in mente i Misfits, i Metallica e Johnny Cash che facevano una jam insieme, metà di queste nuove canzoni richiamano invece gente come Green Day, Sum 41 e compagnia cantante.
Intendiamoci, non stiamo parlando di canzoni brutte, composte male o suonate male, tutt’altro. Il problema è che manca il mordente a cui i danesi ci avevano abituati. Insomma, se ci pensate questa è la stessa band che era riuscita a farci fare headbanging su I Only Want To Be With You di Dusty Springfield, FFS!

In definitiva questo Rewind, Replay, Rebound è un disco sufficiente ma nulla più. Per dirla con le parole di Valentina (colei che in casa è la vera esperta dei Volbeat): “M’è nato incendiario e mi muore pompiere?!”

Ho la netta sensazione che dal vivo avremo maggiori soddisfazioni.