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I Freedom Of Fear e la schizofrenia metallara

Nocturnal Gates è un disco dei Freedom Of Fear, uscito per EVP Records, nel 2019. I Freedom Of Fear vengono dall’Australia e sono… come sono? Beh, diciamo che se la cavano piuttosto bene, anche se mi suscitano una serie di riserve che ora vorrei condividere con voi. Per prima cosa il nome. “La libertà della paura” può anche provocare una certa curiosità ma dopo un secondo e mezzo di riflessione è palese che non abbia molto senso come definizione. Potevano chiamarsi The Chains Of Ice-Cream e avrebbe avuto lo stesso scarso significato.

“Libertà e paura” sono elementi inscindibili, d’accordo, ma non c’è alcuna libertà nella paura, c’è paura nel senso di libertà. Si tratta di una provocazione? Ah, ok. Comunque, lasciamo perdere. Fossero questi i problemi. C’è gente che va in giro con nomi tipo Iron Steel, figuriamoci Freedom Of Fear.

Allora, la musica dei Freedom Of Fear com’è? Che roba fanno? Su Encyclopedia Metallum li definiscono melodic-death metal e in effetti potrebbe essere sufficiente. C’è tanto death, di quello iper-tecnico e colto di Atheist e soprattutto Chuck Schuldiner, mescolato a un po’ di black metal norvegese, qualche parentesi rallentata e minacciosa alla Morbid Angel e poi alcune digressioni leggere, con arpeggi e soli iper-melodici.

Il disco dei Freedom Of Fear è schizofrenico

Più o meno nei sei pezzi, anzi quattro veri e propri + due strumentali che non superano il paio di minuti, succede praticamente sempre tutto questo. Prima arrivano i Death, poi subentra un gruppo black a caso, dopo entrano a gamba tesa i Morbid Angel e poi ci ritroviamo tra le braccia amorevoli degli Anathema.

I Freedom Of Fear sono ragazzi di talento ma hanno quell’incacapità tipica delle band giovani di arrivare a concludere con qualcosa di armonioso, di coerente. Insomma, ci sono le idee ma restano tutte sfaldate. Pare di assistere a una sorta di zapping coatto, in cui si ha a che fare con una creatività schizofrenica. Il gruppo death alla Death non ha alcun legame con quello black che arriva poco dopo. Potrebbero essere due band distinte. Ma è sempre la stessa, ovvio.

E questa scissione stilistica credo sia l’emblema di ciò che la nuova generazione metallara è diventata. Un brano come The Consciousness of Misery, in apertura, con sette minuti e venti di durata, scorre senza annoiare, proprio per via di questo continuo cambio di stile ogni tot di tempo. Il salto di palo in frasca non ha una struttura portante, una osteografia sotterranea. Le band crossover degli anni 80-90 facevano lo stesso cambio di stile rapsodico ma su una base classicissima di riff-ritornello-riff. Qui sembrano dei blocchi di cose affastellati in modo sommario. E tutto questo finisce per lasciarci con un senso di vuoto. Cosa abbiamo ascoltato? Perché non ricordiamo praticamente nulla?

Entriamo nel particolare

In fondo avviene la stessa cosa con facebook. Iniziamo a scorrere col pollice e ci troviamo una news di politica, un meme sul femminismo e un video degli Europe. Il nostro cervello continua a subire questi ganci in direzioni completamente diverse e non sa più neanche cosa voleva fare prima di toccare lo schermo del cellulare.

Pezzi come Purgatorium dei Freedom Of Fear fanno praticamente la stessa cosa. Si comincia con il black testosteronico dei Behemoth, e si passa alle minacce dei Morbid Angel di Domination. Poi si torna al black nordico, sapete quello delle foreste gelate e le notti eterne. Da lì vien fuori una chitarrona alla John Petrucci che ci scaglia su un treno power metal un po’ alla cazzo, e a questo punto, che non siamo neanche a tre minuti di canzone, è praticamente impossibile ricordare cosa ci fosse all’inizio, quale melodia, che riff. E ad allontanarci ancora di più ci pensa un giro di arpeggi balneari. Una roba da gustarsi su qualche spiaggia di Bodom, con il vino in cannuccia.

La parte finale del pezzo è un crescendo molto all’Americana. Sembra uno di quei momenti intensi da metal-core studentesco fuori-corso. E si finisce di nuovo in black ma su una ennesima melodia che non c’è mai stata prima. Capite cosa voglio dire? Non c’è un raccordo, non esiste altro che la prossima melodia, l’ennesimo riff diverso e non bastano gli ultimi venti secondi, con la riproposizione del primo riff per fare una canzone. Almeno vadano fino in fondo, i Freedom Of Fear, negando un ordine, invece no, riconoscono la necessità di una struttura e la struttura deve avere delle ripetizioni che facciano da perno. Quindi ecco il contentino conclusivo, a mettere una pezza sul caos.

Vi ho annoiato? Lo so, ma era necessario entrare nei dettagli tecnici per capire la situazione. Poi dico questo e chiudo. Nel continuo passaggio da un sottogenere all’altro, i Freedom Of Fear non propongono nulla che esuli dal metal. Sembra che non si siano cibati di altro nella loro breve esistenza. La musica è come la genetica. Se in famiglia ci si mescola, si finisce per creare qualcosa di sterile, malato e folle. Purtroppo, di questi tre possibili risvolti, il metal non riesce nemmeno a essere folle ma solo ossessivo compulsivo.