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Equilibrium – Metallo pagliaccio e inarrestabile!

Cari Equilibrium, che je possino! Tutte le volte mettono a dura prova la mia buona volontà di accogliere il cattivo gusto e le spericolatezze. La band tedesca non può andare a genio al metallaro integerrimo. Se ne escono con melodie che sembrano scippate a dei cartoni animati polacchi e talvolta rifilano mix di techno slovena e rimbrotti death vecchia maniera. Le tastiere poi sono più vicine al pop anni 80 e agli score di Sky Sport che il folk evocativo. Per intenderci, ascoltando Renegades ho immaginato più discoteche multicolori e cocktail strani trangugiati da squinzie con gravi deficit di sicurezza interiore che spazi infiniti, menestrelli in acido o suonatori di cornamusa posseduti dal demonio dell’innaffio urinario.

E il nuovo album degli Equilibrium, mescola la dance al metal estremo, la coralità birresca a Bonnie Tyler. Di sicuro è divertente, da spararsi a gran volume, ma è difficile lasciarsi andare completamente a questi brani senza la consapevolezza recondita che ci si sta divertendo a una festa bruciata e terribilmente scema e che nella vita potremmo fare di meglio, anche a livello di svacco e di spasso.

Questione di Equilibrium…

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Prendete Hype Train o Himmel Und Feuer. Giorgio Moroder in ostaggio dei Finntroll finirebbe per produrre un armistizio simile. Poi magari ci sono momenti che coinvolgono e basta, come la cover degli Hooters, Johnny B. che è tozza e voluttuosa come un barattolo di Nutella. Oppure c’è il pogo selvaggio e irresistibile di Final Tear, però insomma… non si capisce, tra questi alti e bassi, quale sia la direzione degli Equilibrium. Talvolta sembra che puntino il disimpegno puro. Poi a momenti vanno verso un metal abbastanza serio e cazzuto e quando siamo lì pronti a seguirli verso il campo di battaglia ecco che sparano una parentesi rap con tastiere giappe che sembra presa da un album dei Linkin Park.

Eppure Tornado, non è malaccio. Inizia in stile Rammstein, ma si libra in una bella melodia power alla Edguy mentre l’iniziale A Lost Generation pure promette bene, anche se alla fine, ahinoi, il tema portante sembra il jingle delle Big Bubble di Fabio Rovazzi.