Head Count, diretto dalla semi-esordiente Elle Callahan, in fin dei conti non si regge su chissà quale idea originale. Lo sviluppo, i colpi di scena… sono tutte cose che lo spettatore smaliziato ha visto già proporre innumerevoli volte. Quello che l’autrice dimostra è come non siano le idee a determinare la riuscita di un film terrificante ma la capacità del regista di scegliere la giusta inquadratura o il movimento di macchina al ritmo del nostro stesso cuore.
E poi la fantasia del pubblico, arma decisiva e super-economica usata (troppo poco) fin dai tempi di Val Lewton. Head Count mostra davvero poco, eppure ci spaventa un sacco. Come mai? La risposta è nella nostra fottutissima testa. Basta prendere la sce… ah, ma voi volete la trama. Uff!
Trama di Head Count
Un gruppo di teenager se la spassa in un villino nel deserto di Joshua Tree. Tutto andrebbe alla grande se per colpa dell’internet e l’imprudenza di uno di loro, non venisse evocato uno spirito maligno capace di mandare in vacca la festa, la testa e la vita dei presenti.
Proseguiamo. Dicevo, vi basta vedere la scena della vasca di notte per capire cosa intendo con l’uso della fantasia del pubblico. Due giovani stanno flirtando nella yakuzi, sotto il cielo stellato. Si baciano per la prima volta e noi spettatori subiamo la loro tensione, l’imbarazzo, l’eccitazione dei due. La scena anche da questo punto di vista è resa benissimo dagli attori. Per intensità reggerebbe anche senza il momento scary, ma dato che siamo in un horror, bisogna che ci sia. E quindi ecco, alle spalle dei due amanti, dei rumori. Potrebbe essere qualche animale. Certo. Provano a guardare in direzione ma le luci esterne del villino non coprono una distanza così ampia. Il deserto laggiù è come un oceano buio di sabbia e creature in caccia. Impossibile capire cosa sia. Noi spettatori vediamo già un demone. Quando poi il ragazzo dissa un punto proprio al limitare tra luce e buio, ecco che lo vediamo. Pure se non siamo sicuri nemmeno noi se ci sia o meno. Sembra un paio due occhi e una cosa nera intorno. C’è sicuramente qualcosa, d’accordo. Ma non è tanto questo a spaventarci, è come la cosa resti diabolicamente appollaiata sul ramo che divide paura e raziocinio. I ragazzi rientrano e noi spettatori davanti a loro.
Hisji, Hisji, Hisji, Hisji…
Potrei fare altri esempi ma vi tedierei. Solo questo. C’è una capanna di fronte al villino. Il protagonista si volta a guardare e poi esclama: “Fuck, no!” rientrando di corsa in casa. Cosa ha visto? Non si sa. Forse una sagoma robusta vicino l’uscita posteriore della catapecchia o magari no. In fondo sappiamo che la risposta è sì.
Non lasciarci soli, Elle!
Spesso in Head Count la Callahan lascia lo spettatore da solo, proprio come faceva quel geniaccio di Bob Clark in Black Christmas. La scena finale del film che tanto spaventò Carpenter e ancora inquieta generazioni di mangia-pop-corn lo è non perché scopriamo quanto sia tutto ancora molto pericoloso, ma per essere lasciati soli in casa con l’assassino. Tutti se ne vanno. La porta si chiude e la camera viaggia per le stanze fino al cadavere in soffitta. C’è un silenzio pesantissimo e noi sentiamo che sta arrivando qualcosa di spiacevole. E poi la voce ci raggiunge. Cazzo… questo è davvero terrificante, non trovate? Terrificante e triste. Perché se c’è un condimento fondamentale che esalta il sentimento della paura è anche quello della desolazione, la malinconia di un luogo dimenticato o di una vita distrutta.
Ecco, la Callahan usa lo stesso (non voglio chiamarlo trucco) sistema di Clark. Ci lascia soli con il mostro. Ah, l’essere si chiama Hisji. Si tratta di un fittizio spirito leggendario. Secondo la regista, che l’ha inventato, è un misto del Wendigo e altre creature che affollano il folklore del New England, dove lei è cresciuta. Se come idea non è niente male, soprattutto per il modo pazzesco in cui l’Hisji si manifesta, l’escamotage che ne provoca la venuta è davvero poco fantasioso e fa troppo pensare a Candyman.
In ogni caso importa una sega. Hisji funziona e Head Count vi terrà per le palle fino alla fine.