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I musicisti guardino agli uomini e non ai suoni del passato

Tempo fa David Gilmour disse una cosa che definisce benissimo la scena rock e metal di oggi. Ai nostri tempi i giovani musicisti guardavano avanti, adesso i giovani musicisti guardano indietro. Difficile fare obiezioni. Di fatto questo succede. Prendete il nuovo corso degli Opeth. Ho sentito il loro ultimo album e per quanto mi riguarda è un po’ meglio dei due precedenti, ma sapete perché? Trovo che nonostante l’uso di sonorità ancora legatissime al prog rock anni 70 (specie quello italiano e nord-europeo) e la voce sempre pulita, la lunghezza dei pezzi e l’enfasi siano quelle dei tempi in cui la band mi piaceva di più, vale a dire fino a Ghost Reveries e l’album successivo che ora non ricordo il titolo.

Però gli Opeth, come anche per esempio i Borknagar nel nuovo album, recuperano suoni e soluzioni appartenenti a un’epoca passata del rock. Sarebbe interessante capire come mai, i primi li detesto da quando hanno svoltato in quella direzione, mentre i norvegesi mi esaltano qualsiasi mossa facciano, ma non è il punto di questo articolo.

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Stavamo parlando di Gilmour. A parte la frase da vecchio di cantiere “ai miei tempi…” è indiscutibile che i nuovi gruppi studino e apprendano quanto più possibile dai giganti del passato. I Pink Floyd non avevano nessuno alle spalle. C’era il blues (e infatti il loro nome nasce dalla fusione di due bluesman, o così si dice) e poi Elvis. Il resto era tutto in divenire. Intorno a Syd Barrett c’erano band e artisti volti alla ricerca di una forma, un modo di contenere vecchia e nuova cultura, droghe e suoni sperimentali. Era un tempo in cui la letteratura, il cinema, la politica, tutto passava attraverso un enorme cambiamento.

Pretendere che oggi il rock (e il metal) guardino avanti, quando il mondo ha praticamente voltato le spalle al futuro, sarebbe inutile. In realtà poi l’arte ha sempre guardato al passato, anche la più coraggiosa e di rottura. La tecnologia ha smosso le cose in avanti. Gli artisti hanno sperimentato solo quando hanno avuto i mezzi per farlo. Oggi puoi riprendere in mano il moog, ma cosa speri di ottenere? Quel suono è così radicato in un’epoca, che qualsiasi cosa suonerai, il pubblico vedrà la sagoma scombussolata di Keith Emerson e le copertine sballate della Vertigo.

Ciò che i nuovi gruppi dovrebbero fare non è tanto riprodurre in modo quasi maniacale il contenuto dei dischi, ma prendere esempio da chi quei dischi li faceva, studiare gli uomini, le loro vite, le imprese che hanno compiuto e le circostanze che possono averli favoriti o penalizzati nella corsa al successo. Dietro un album c’erano dei pazzi, dei disperati, dei sognatori spericolati, non ragazzini in fissa con un sottosottogenere di epoche passate, chiusi in una specializzatissima riserva temporale ed espressiva.

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La musica di per sé è un prodotto del mondo. Fedele a come vanno le cose là fuori. L’ultra settorializzazione del metal rispecchia la tendenza a specializzarsi in competenze sempre più specifiche e distaccate dal resto. Un gruppo si distanzia dagli altri perché fa djent con la chitarra e un altro perché parla solo di pirati! In fondo nelle Università succede la stessa cosa. Escono professori che sanno tutto di Erich Fromm e medici che sanno tutto dell’alluce valgo. Ma lo studente che si ritroveranno a guidare o il paziente che dovranno curare non è solo un libro e nemmeno un alluce.

Vorrei tanto trovare un metallaro che legge Baricco. Non perché mi piaccia Baricco. Sarei più felice se amasse Evelyn Waugh, che non era una donna, sia chiaro. Stiamo parlando di scrittori, eh? No, vorrei solo un accostamento imprevisto. Un metallaro invece legge (?) Lovecraft. Magari più che altro ha iniziato vent’anni fa Alle montagne della follia ed è a pagina quindici, ma se c’è da cacciare un nome per il questionario annuale di Rock Hard, allora scrive, Love(r)craft e il povero Maurizio De Paola ci mette una pezza e leva la r. Uscite dal ghetto, metallari. State mangiando pizza dalla mattina alla sera. E siete sempre più brutti. Lo so che la pizza è buona, di meglio non c’è. Io sono pizzariano quanto voi, ma cibarsi solo di quello vi sta rendendo grassi, gialli e con le bolle sul culo. Praticamente siete dei Simpson.

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Le persone possono crescere, indipendentemente dal mondo che li ha cagati. Tutti noi dobbiamo cercare di aumentare le nostre potenzialità e questo è possibile solo misurandoci con chi è più grande di noi e prendendo esempio dalle sue azioni. Gandhi non era solo un chiacchierone, morì per le sue idee. Morire per delle idee (va beh, ma di morte certa) oggi sembra stupido a molti.

Le band che guardavano al futuro erano più idealiste di quelle che oggi calcano la scena. Lasciate perdere che poi un giorno divennero ciò che odiavano. Guccini dice: “più l’età si allunga e più capisci quei padri che anni prima avevi rifiutato o combattuto, soprattutto perché le loro sconfitte sono diventate poi anche le tue e così le piccole, tempo prima non riconoscibili, vittorie”

E quelle band si battevano con i giganti della musica, non con i nani. Se oggi il vostro limite massimo sono i Foghat, allora vi saluto. Sarete come i Foghat. Ci vorrà poco. Riprodurrete quei riff, quei suoni, potrete addirittura essere fisicamente simili a loro, ma cosa avrete ottenuto? Primo, che non potete essere i Foghat, quelli sono loro e basta. Sarete delle copie di una band minore della storia del rock e terrete il vostro potenziale in un contesto davvero limitato. Voi siete infiniti, teste di cazzo. Tutti voi! Misuratevi con questa cosa. Drogatevi se proprio vi serve spandere il cervello e sentire che siete fatti di fottuta luce, ma cercate di alzare il vostro livello animico.

Vi parlo di cazzate? Allora mettiamola così. Se per uno che ha sperimentato l’esaltazione della grande musica, parlare di anima è una puttanata, vuol dire che non ha davvero sentito quell’elevazione spirituale che i picchi musicali di alcuni artisti producono nel cuore della gente.

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Ovvio che al tempo di Gilmour e per una quindicina di anni dopo, ci fu un contesto produttivo in grado di curare i talenti. Oggi non c’è più. Oggi c’è la pornografia di X Factor. Ti fanno vedere come si prepara una concubina. Primo le si toglie tutto ciò che ha, look, nome, idee. Poi le si mette in bocca il nulla e le si schianta sulla schiena una chiavetta che gira e gira e gli avvolge le budella. Poi si lascia andare la carica e l’artista pupazzo schizza fuori la plastica. E arrivano i soldi. Un po’ anche per lui, ma il grosso è per chi non ha speso nulla. Volete mettere qualche milione di euro contro la dignità e il cuore di un cantante?

Voi potreste obiettare che chi va a X Factor non ha cuore e dignità in partenza. Magari fosse così. Io vedo tanti ragazzi che invece sono ricchi di cuore. Glielo tolgono. Lo mettono in un barattolo dicendogli, quando ti avremo usato e sarai inutile, passerai a ritirarlo, se vorrai.

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Ai tempi un produttore sapeva scrivere musica e spesso aiutava i musicisti di talento ma carenti sul piano teorico. Sapete che conoscere la teoria conduce più in alto di quanto possiate mai fare usando l’orecchio e le dita. Bob Ezrin è il motivo per cui amate così tanto certi dischi di Alice Cooper e dei Kiss. Inoltre se non funzionava il primo album c’era tempo di provare con un secondo e un terzo. Le nuove leve si proteggevano. Oggi non è più così, ma le difficoltà con cui deve misurarsi un musicista non sono superiori a quelle con cui doveva misurarsi Alice Cooper al tempo in cui arrivò a Los Angeles. C’erano un sacco di posti in cui suonare ma per ogni locale una fila di due chilometri da affrontare.

Cercate di conoscere la storia dei musicisti. Ispiratevi agli uomini, non ai suoni che usavano. Potete fare anche quello, ma sono orpelli, non la sostanza. Uscirsene con un riff alla Black Sabbath non vi rende i Black Sabbath e nemmeno la donna delle pulizie di Tony Iommi. Vi rende solo la copia di qualcuno. Siate il cazzo che potete essere, ma siate voi e solo voi. Poi magari cominceremo a parlare di salvar la musica e dopo anche il mondo.