opeth

Opeth – Un ottimo disco se si guasta il cd delle ninne nanne per i pargoli

Cari centauri, cavalli ed equini tutti, oggi mi farò molti nemici lo so, ma voglio dire due parole a proposito dell’ultimo degli Opeth (e temo che saranno parecchi coloro che non gradiranno). Ovviamente me ne frego perché sono una possente creatura mitologico-meccanica e ho scorte per barricarmi degli anni nella mia officina, bevendo come una spugna e lanciando ricambi contundenti ai potenziali assedianti.

So che molti di voi amano alla follia il gruppo svedese, che se gli Opeth registrassero un album di rutti con l’eco lo comprereste in tanti dicendo che è un’avanguardia bla bla bla e che io sono solo un vecchio trombone metallaro, ma su, ragazzi, qui andiamo oltre, ma tanto.

Premesso che io amo la lingua svedese e adoro il Paese delle Tre Corone,devo dire che ammiro il coraggio di questi vikinghi che fanno una versione in inglese e una, di certo per le loro zie, in lingua madre. Si perché in Svezia tutti tranne certi anziani parlano inglese perfettamente, quindi se fai un disco in lingua o sei un troubadour autoctono (cantautore svedese tra il folk e il liscio, ma versione nordica) o sei un montato che dice che in inglese la sua opera sopraffina perde (e chi cazzo siete, i Rammstein che cantano in tedesco? Herregud, kompis!). Collezionisti avanti c’è posto!

Ma parliamo dell’opera in questione, non voglio annoiarvi con noiose lagne pro e contro gli Opeth, il mio scopo è darvi una mia impressione a caldo dopo aver ascoltato il nuovo In Cauda Veneum (e qui il titolo in  latino però ce lo metti, che ti fa vendere sei copie in più, vero Mikael?).

Quando un disco attacca con fanfare o cori gregoriani io mi faccio la domanda di rito: sono i Therion? Se la risposta è si proseguo l’ascolto, se non lo è decido sul momento. Oggi, mannaggia a me, ho continuato, oltre il lento svilupparsi di cori con contorno di tastiere, voci, campane e rumorini vari. Ma giuro che se tornassi indietro… Cominciava male, ma poteva migliorare.

Invece no.

Il disco si sviluppa lento, monotono, con troppa pompa magna e poca sostanza, tra atmosfere rarefatte e poco altro. Non fraintendetemi, gli Opeth restano degli ottimi musicisti, solo che questo In Cauda Venenum gli è riuscito proprio moscio, lento e sfibrato. Ascoltate la parte centrale di Dignity senza dormire con gli occhi rovesciati e la bavetta di lato alla bocca e potrete contestare, per me risulta letale, giuro.

opethQuando fai un disco sperimentale, ma così sperimentale, hai solo due possibilità. O sei i Celtic Frost e partorisci Into The Pandemonium, un capolavoro delirante e incompreso, o sei gli Opeth e fai un In Cauda Venonum, che potrebbe anche vendere bene ma…

Pezzi migliori a mio avviso Hearth in Hand, cui avrebbero potuto evitare di appiccicare l’arpeggino finale (che proprio no, dai, non ci sta) e la bizzarra The Garroter, canzone nella quale suoni quanto mai prima lontani dal metal e dal rock delineano una melodia strana ma ipnotica. Ammetto che sanno ancora fare cose che stupiscono, perché, giuro, questa sul garrotatore mi ha spiazzato, anche se troppo lunga e poco nelle mie corde.

Ora, io la mia l’ho detta, non ho parlato di artwork (non voglio infierire) e so che alcuni di voi mi diranno che non capisco un pistone di musica, ma quando mi annoio sento il dovere di avvertire i miei cari lettori (davvero, lo faccio per voi).