Ancient VVisdom

Gli Ancient VVisdom si elettrificano ma non deludono!

Due anni fa scoprii gli Ancient VVisdom. Ricordo che stavo passando un momento difficile e loro, oltre a sorprendere il critico ormai stanco e disilluso, coccolarono e tennero compagnia al povero stronzo che sprofondava in una crisi matrimoniale; al disoccupato con due figlie a carico che vagava per le strade del litorale tarquiniese guidando una macchina senza revisione, pasticciandosi la testa con una vacillante fede satanista. Loro mi aiutarono. Per questo sento la musica, oltre che scriverne la uso perché sovente è una mano tesa dal buio, una carezza sul cuore o magari una scossa alle gengive, fate voi. Però mi aiuta a vivere e accettare e affrontare le cose brutte che mi succedono.

E così, dopo un pezzo che li avevo messi da parte, riecco la band che mi permise di restare tutto unito in una fase tremenda della mia vita. E per quanto ora io sia molto lontano dai lidi occulti di allora, forse per un bisogno di riconoscenza e non molto altro, mi dedico a questo nuovo loro album. Mundus.

Dura 30 minuti, quindi se vorrete provarlo, non vi toglierà molto. Di sicuro potreste scoprire qualcosa di speciale e addentrarvi, a ritroso, nel path della discografia di una band underground della miglior specie: qualità, intransigenza e passione.

Mundus parte davvero caciarone. E tenete presente che questa è una novità assoluta perché gli Ancient VVisdom, pur parlando di Satana e facendo ecumenismo oscuro, hanno sempre usato mezzi garbati: chitarre acustiche e percussioni d’accatto, cori e liriche evocative. Qui invece sembra di ascoltare una normalissima band doom, di quelle che spuntano oggi, una al giorno. La produzione è un po’ peciona e i riff non trasmettono chissà quale epifania.

Però l’album presto decolla, cresce e se l’iniziale Human Extinction non sorprende, con quel riff rielaborato da Hole in the Sky dei Sabs e con attaccata la parte cantate alla Bloody Hammer, già con la successiva Plague The Night torniamo un po’ a quei registri acustici ed eucaristici che mi hanno fatto innamorare della band.

Le chitarre malinconiche conducono amanti terrorizzati verso il tunnel della guerra e il vocione di Nathan Opposition gorgeggia un po’ alla Hetfield e un po’ alla Don Giosy Cento i consigli su come satanizzarsi l’anima nel modo più proficuo. Subito dopo si torna all’elettrico spinto, con una parentesi goth tra The Mission e Sisters Of Mercy (per i primi I Am Everywhere e i secondo a palla con Desensitized) ma la cosa più riuscita è l’ignorantissima For The Glory Of The Grave. Metallone sozzo e cadenzato con momenti di epica crescente.

La chiusa di Mondus, Edge Of The Abyss, ci restituisce definitivamente gli Ancient VVisdom acustici, con quello stile un po’ lascivo, minaccioso e romantico insieme. Robbie Robertson alle porte del regno di Manitou.