toxic holocaust

Se pensi che Greta sia un trucco, sentiti i Toxic Holocaust!

Oggi sono un centauro di buon umore, ho avuto una bella giornata e posso davvero ritirarmi nel mio antro a riposarmi, parlandovi di un disco che mi fa pensare da stamattina. A discapito della copertina inguardabile degna del peggior kitsch “ottantone” pseudo fantascientifico, racchiude un gioiellino che farà discutere per un bel po’, ne sono certo, quindi non perdiamo altro tempo.

Atteso dal 2013, anno in cui uscì Chemistry of Consciousness, il nuovo Primal Future:2019 ha saputo tener testa alle aspettative esasperate da un’attesa di sei anni. In realtà va detto che la band è sempre stata frutto di una sola ma geniale mente creativa, Joel Grind, un musicista dai poliedrici talenti in grado di sfornare delle vere chicche di qualità sopraffina. Il “progetto” Toxic Holocaust ci ha regalato in passato canzoni memorabili, con uno stile dalla innegabile matrice thrash metal che in molti casi tendeva a un crossover con influenze hardcore molto marcate.

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Con questo Primal Future:2019 l’olocausto tossico riprende alla grande da dove ha lasciato, ma innesta una marcia in più, adottando un suono più tendente al metal classico e un po’ meno legato all’hardcore. Intendiamoci, la violenza dei vecchi dischi non è scomparsa, tutt’altro, ma è evidente una vena più vicina all’heavy che non stona affatto, anzi a mio avviso arricchisce il tutto. La velocità fulminante dei primi lavori viene incanalata in strutture melodiche più ordinate, come se l’aggressività presente nei pezzi fosse più “ragionata” e questo finisce per diventare un punto a favore, soprattutto dopo ripetuti ascolti.

Joel Grind ha fatto centro anche questa volta, Chemical Warlords, il pezzo che apre il disco ha una potenza invidiabile, in certi momenti ricorda i Venom dei primi dischi per il suono potente e il riff portante, ma ha, per esempio, un assolo efficacissimo pur senza necessitare di velocità astronomiche.

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Una piacevole sensazione di accelerazione da grosse cilindrate che si respira anche tra i solchi di Black’out The Code, veloce thrash metal che farà felici fans vecchi e nuovi. Discorso ben diverso per il pezzo che io trovo sia il migliore di tutto l’album, Cibernetyc War, decisamente legato ai suoni del metal più classico fino a ricordare in certi momenti i Judas Priest più cattivi. Si tratta effettivamente di un nuovo elemento nella formula proposta dalla band americana, ma vi assicuro che è un piacere da ascoltare. Non si preoccupino però gli amanti del pogo da pezzo tirato, in Deafened By The Roar troveranno pane per i loro denti e tutto il corredo per il moshpit sottopalco!

Un disco da ascoltare tutto d’un fiato, senza perdere troppo tempo a pensare ma lasciandosi trasportare e godendosi la corsa che porta al futuro selvaggio. Bel lavoro Joel (copertina a parte, beninteso, quella fa proprio cagare).