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Paga che ti passa la paura – Fare dischi oggi tra Bandcamp e Crowdfunding!

C’era una volta la casa discografica, un’entità mitologica, lontana, irraggiungibile, temuta, riverita, a cui solo pochissimi eletti potevano accedere. Accadeva che, negli anni 80, nella folle corsa dei gruppi dal demo al primo LP (lucido, morbido e nero e no, mi spiace, non è il “black mamba” anelato oggi da qualche radical chic di estrema sinistra over 50) la maggior parte di essi arrestava la corsa ancor prima di intravedere la linea di arrivo. La selezione naturale inesorabilmente stroncava quasi tutti, poiché investire tempo, soldi e risorse sul gruppo musicale sbagliato significava, per un etichetta, mettere un tassello per un futuro di cambiali, bancarotte e vita sotto i ponti del proprietario.

Oddio, le ciofeche e le cantonate (pagate a caro prezzo dai boss) anche allora si palesavano, ma in linea di massima, qualche dollaro al gruppo sotto contratto per produrre l’album veniva dato. Il 90% di quelle band non svoltava, restava povera come la merda, i musicisti continuavano a fare il lavapiatti o il netturbino a Kansas City, però la soddisfazione di aver fatto il disco almeno restava, sopratutto a spese di qualche John Ballbuster che, alla fine dei conti, pure lui magari faceva l’infermiere.

Il disco ai tempi del Nice Price

A riempire la buca del “nice price” con l’adesivo rosso e giallo per altri decenni sono finiti anche album di grande spessore artistico, ma con vendite da percentuale di sodio nell’acqua. Poi, sgonfiata la bolla, anno dopo anno, con l’avvento del cd, produrre un supporto costava sempre di meno, costruirsi un “home studio” nel garage di papà era fattibile e da lì in poi la fine di tutto.

Come sia ormai al collasso l’industria discografica è noto, le vendite di Cd e vinili sono irrilevantei eppure il sogno per tanti continua. Come con  la “vanity press”, dove aspiranti poetesse di Pordenone e saggisti settantenni di Macerata che scrivono la propria autobiografia, pagando possono pubblicare il proprio libro, la formuletta è stata mutuata paro paro da tante case discografiche.

I millemila gruppi

I millemila gruppi, specie in Italia dove tutti suonano metal e nessuno va ai concerti delle altre band dove tutti suonano metal, speranzosi se non altro di appagare il proprio sogno, si gettano come tonni nelle reti in questi fantastici “discografici”. Tu gruppo metal di Avellino, ti paghi il master, ti paghi la grafica, ti paghi il mix, ti paghi l’ospite famoso, ti paghi lo studio e ci porti tutto e noi VOILA’ ti stampiamo il disco, a tue spese, in 100, 200, 300 copie, ci mettiamo il nostro bel loghino “Spakkamazza Records”, ce ne teniamo il 20% da venderci per cazzi nostri e via.

Un giorno John Pelazza, il bassista degli Inkulator Force, riceve la telefonata dal boss e a sue spese va alla sede della Spakkamazza, si piglia gli scatoloni, una stretta di mano al boss, a cui paga il pranzo e con la sua Skoda Fabia torna al paesello.

A capodicazzo Montano

A Capodicazzo Montano il resto della band attende con ansia l’arrivo degli scatoloni, si dividono le copie, pagano a Pelazza la quota e poi tutti a nanna. Sul groppone e con migliaia di euro in meno in tasca, mentre il boss della Spakkamazza con quattro o cinque gruppi all’anno si fa le ferie a Pattaya a champagne, caviale e troie.

Se pensate che questo lo facciano solo le band piccole siete fuori strada. Nomi insospettabili medi e medio grossi fanno la stessa cosa, salvo poi fare gli sboroni su Facebook, visto che “esce il nostro disco in digipack in pelle di culo d’asino in 400 copie con adesivi, cucchiaino e calzascarpe col logo per la Spakkamazza Records”.

Se dovessi fare uscire un disco oggi, credetemi, meglio farsi l’autoproduzione, farsi Bandcamp, al limite tentare un bieco crowdfunding, ma affidarsi a etichette “paga e poga” è come presentarsi in Corea Del Nord pitturato con la bandiera americana sulle chiappe.

L’onestà intellettuale è nel pagare e poi ammetterlo, l’ipocrisia è come avviene nel 90% dei casi, pagare e poi deridere chi si ferma al demo su CDR. Senza fare nomi, ovvio, che chi è avvezzo all’ambiente metallico nostrano (ed estero) ai Pelazza e ale Spakkamazza potrà mettere lui nomi e cognomi.