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Per tutti gli angeli dell’Inferno e del Paradiso! – I Vision Divine dal 1999 al 2019

1999 – Il Side Project Vision Divine

“Il primo Vision Divine… ha venduto cifre enormi, rapportato al fatto che era nato come side project”. Olaf Thorsen

Il sottotitolo è provocatorio. Olaf leggendolo avrà già portato la mano alla fondina… o forse si sarà limitato a guardare il cielo scuotendo la testa, stanco di doverlo ripetere e ripetere per vent’anni. Ma io che ne scrivo ho ben chiara la situazione. I Vision Divine non sono mai stati un side-project. O meglio, nelle intenzioni iniziali può anche esserci stato un progetto. Di fatto la Metal Blade in origine offre l’opportunità a Olaf Thorsen di fare un disco solista, ma dato che lui è allergico agli album strumentali, pensa subito di chiamare a raccolta, oltre gli strumentisti necessari, anche un cantante.

E il nome che gli viene in mente è quello di Fabione Lione. Nel 1998, i Rhapsody escono con il secondo, Symphony Of Enchanted Land e sono lanciatissimi a livello internazionale. Anche i Labyrinth (ci sarebbe l’umlaut sulla Y e sulla o di Thorsen, ma va beh) vanno alla grande. Return To Heaven Denied è anzi il picco assoluto della loro popolarità.

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La copertina inedita del primo disco solista di Olaf Thorsen mai realizzato

Un innocuo album in solitaria del loro chitarrista e compositore, tutto lì (un po’ alla stregua del Turilli, che nel 99 inizia ad ammorbare la gente con le sue tarantelle power in King Of The Nordic Twilight), il “Thorsen album” deve semplicemente essere una strategia per battere il ferro e basta. Invece Olaf, tipo che va sempre un po’ come gli pare, decide di fare qualcosa di meglio. Mette in piedi un gruppo vero insieme a Fabio e lo fa uscire con un’etichetta indipendente (Artheia Records). Per i giovinotti del power, il binomio Lione-Thorsen richiama l’esordio dei Labyrinth, No Limits e l’idea di un disco con loro due insieme è quantomeno interessante. Per nessuno, tra stampa, Metal Blade c’è però dubbio che i Vision Divine siano un side-project e basta, fatto per arrotondare sul buon momento del power sinfonico italiano, tutto lì.

E invece un paio di palle. Del resto Vision Divine vende bene e se non fa il botto è solo per via della manovra “contenitiva” della Metal Blade e della Limb Music, le etichette tedesche di Labyrinth e Rhapsody, che oltre a rilasciare dichiarazioni fasulle di Olaf e Lione in cui entrambi assicurano che l’album “è solo un passatempo”, non li fanno esibire al Wacken in veste di Vision Divine. In Europa con simili presupposti non può che andare di merda alla band, che però trova un’oasi felice in sud-America, dove il pubblico impazza per il duo Lione-Thorsen.

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2000-2002 – Per tutti gli angeli del Paradiso…

Il secondo album dei Vision Divine esce tre anni dopo l’esordio, dando ancora l’idea, anche per le tempistiche così prolungate dalla prima uscita, che si tratti solo di un progetto. Fosse un gruppo serio, avrebbe dovuto ripresentarsi sul mercato già nel 2000, ma quello è l’anno di Son Of Thunder e del tracollo dei Labyrinth, che pagano il salto di popolarità troppo alto fatto con il secondo album.

Dalla versione di Tiranti e Cantarelli, pare infatti che la presa di coscienza che il music business non sia solo un gran bel divertimento (e che i contratti vadano guardati in controluce prima di apporre una firma) sia un trauma per l’intero gruppo. Nascono beghe legali che sprofondano soprattutto Olaf in una specie di crisi, da cui non riesce a sollevarsi, una volta risolte le dispute.

Per gli altri Labyrinth è tutto passato, vogliono realizzare un altro gran disco e fanculo il resto. Thorsen però non pè tanto convinto di questa strategia. La decisione di incidere in uno studio di livello, avvalendosi pure dei servizi di un produttore internazionale, Neil Kernon, con cui i Labyrinth proprio non riescono a comunicare, finisce per compromettere l’esito del terzo disco della band, a cui segue un tour piuttosto deludente.

Se le cose non girano le tensioni finiscono per emergere e fagocitare tutto. Cantarelli racconta un episodio che la dice lunga sullo stato delle cose all’interno della band nel 2000-2001. Il gruppo si trova in saletta e cerca di tirar fuori qualche idea. Purtroppo non esce niente e Olaf dopo un po’ di sospiri e scrollate di spalle va fuori a fumare una sigaretta. Gli altri in due minuti compongono un nuovo brano dal titolo Slave To The Night, che poi sarà inserita nell’album omonimo della band senza di lui.

La stessa felicità creativa, Olaf Thorsen la ritrova subito con il secondo lavoro dei Vision Divine, Send Me An Angel, che spopola ancora in Sud-America, ma in Europa subisce lo stesso trattamento del primo album. Nelle interviste i giornalisti parlano sempre della band come un progetto e Olaf dirà anni dopo che l’album ha finito per risentire dello stress di questa e mille altre situazioni. A parte la crisi con i Labyrinth (e dei Labyrinth) che lui vive malissimo, già durante la lavorazione di Send… è chiaro che diversi membri dei Divine non resteranno. Mattia Stanciou e Andrew McPauls, rispettivamente batterista e tastierista dei Labyrinth, vogliono andarsene e anche Fabio, per ragioni estranee alla sua volontà, è costretto a salutare Olaf.

Il responsabile della separazione tra Thorsen e Lione, che in realtà si chiama Tordiglione, nome piuttosto medievale che forse avrebbe funzionato con i Rhapsody (bada, messer Tordiglione!) è al giogo di Joey DeMaio. E per un pelo non ci finiscono anche i Vision Divine, tra le sue fameliche e infide grinfie. Olaf però non trova molto simpatico il capoccia dell’etichetta e bassista dei Manowar e per due volte al telefono risponde no alle sue proposte.

Non è solo per le cifre poco allettanti che Thorsen rifiuta. Il problema è che non si fida di DeMaio. E fa bene, visto che se avessero firmato con la Magic Circle, i Vision Divine sarebbero stati trattati come i Rhapsody, costretti a rimanere inchiodati per anni alle sue dispotiche necessità e paranoie varie.

2003-2004 – Un parto complicato

Olaf Thorsen ha dovuto affrontare momenti davvero complicati nella sua vita creativa. E probabile che il periodo di gestazione del terzo album dei Vision Divine sia stata la più dura di tutte. Per prima cosa deve trovare un cantante in grado di sostituire Fabio Lione. Poi ci sono da rimpiazzare Andrea De Paoli (forse fuggito anche perché un po’ traumatizzato dagli sproni di Olaf a usare suoni che andassero oltre i soliti clavicembali, fiati e violini) e il batterista Mattia.

E in più bisogna scrivere un lavoro che dia alla band una collocazione definitiva nel mondo e che sia uno smacco per i Labyrinth. Olaf riesce in tutto questo alla grande, ma gli occorrono due anni tondi tondi per farcela. Uno gli basta per scrivere l’album, che guardando al recente lavoro dei Fates Warning A Pleasant Shade Of Gray e a vecchi amori progressive come Rush e Yes, diventa davvero ambizioso: un concept di una sola canzone divisa in atti e spalmata su un disco intero. Un altro anno gli occorre per incidere il tutto e far quadrare la nuova line-up.

L’album è grandioso, anche grazie al nuovo cantante Michele Luppi, giovane e di poca esperienza ma notevole talento, e soprattutto un tastierista esperto, propositivo e sperimentatore come Oleg Smirnoff (già negli Eldritch e Death SS). Stream Of Consciusness, così si intitola il terzo lavoro dei Vision Divine, spinge molti recensori a usare la parola “capolavoro” e forse lo è. Di sicuro è una delle vette compositive del metal italiano.

I Vision Divine e il power metal

Oggi i Vision Divine non usano la definizione di power metal, quando parlano della loro musica. Per qualcuno può sembrare un bisogno di scostarsi di dosso un’etichetta che ormai non va più, ma le ragioni sono più antiche. Per stessa ammissione di Thorsen, il primo album della band ha sovente melodie in maggiore e “soffre” di un’impostazione power. Già con il secondo Send Me An Angel crescono le composizioni in minore e l’aggressività, ma non solo. Taste Of A Goodbye, sposta lo stile verso contesti più orecchiabili e hard rock, anima completamente esposta solo tra l’ultimo lavoro con Luppi e il disastro fatto da Tolkki su quello dopo.

Stream Of Consciousness aggiunge oscurità e l’intrigo del progressive, mentre da The Perfect Machine in poi lo spessore dei suoni aumenta ancora e i riff diventano sempre più cattivi, tra il thrash e il power americano, anche se i momenti iper-melodici non mancano (che volete, Thorsen divide i suoi gusti tra i Watchtower e gli Alphaville). E poi, ovvio, troveremo sempre dei rimandi al metallo neoclassico di fine anni 90 nei suoi lavori, è lì che Olaf ha le radici di compositore. Liquidare i Vision Divine con la definizione di power significa non rendere all’enorme lavoro evolutivo svolto dal 2001 a oggi, al di là di tutto.

Le difficoltà con le etichette però sono il pane quotidiano per la band, che a forza di mettere angeli in copertina e usarli nei loro concept tra cielo e terra, finisce per trovarsi negli scaffali americani del Christian Metal. In realtà Thorsen, autore delle storie, per quanto creda in un dio e faccia di tutto per nutrire la sua spiritualità nel tentativo di crescere come individuo, non è certo un evangelizzatore. Gli angeli non sono neanche usati in senso esoterico, come potrebbe fare uno in fissa con Crowley. Lui ha avuto solo l’intuizione che possano essere suggestive metafore della coscienza e dato che ogni uomo ne ha una, va da sé che i personaggi delle sue storie finiscano per incontrare questi misteriosi esseri alati, scoprire da loro cose importanti e trovar perdizione o venir fuori dai casini in cui Thorsen stesso li ha infilati.

Non si è detto mai abbastanza della qualità dei testi e delle storie inventate dal leader dei Vision Divine. Del resto il metal soffre di troppi pregiudizi per spingere le persone a leggere le liriche dei gruppi, specie italiani, senza sghignazzare ancora prima di capire due parole in fila, ma il lavoro con i testi di Thorsen è funzionale alle musiche e se lo esortate a parlarne gli fate venire il buon umore. Lui usa le parole per dire sul serio qualcosa su ciò che l’esistenza gli ha insegnato e fatto conoscere e l’esigenza del racconto è solo un mezzo per tentare sul serio di comunicare qualcosa.

2005 – 2008 – C’è chi “Living In A Maze” e chi va “Out Of The Maze”

Curioso che mentre i Labyrinth (Maze in Inglese significa sempre Labirinto) scrivano, per il loro primo album senza Olaf, un pezzo dal titolo “Vivere nel labirinto” (Livin’ In The Maze), mentre lui sul terzo lavoro dei Vision Divine ne intitola un altro “Fuori dal labirinto” (Out Of The Maze). Ma in situazioni di grande stress accadono cose curiose. Di sicuro la band di Tiranti e Cantarelli, dopo una ripartenza soprendente e che vira in direzioni più pesanti, finisce per perdere quota, mentre Thorsen appare rinato e la sua di band, in pratica raggiunge livelli di popolarità e di rispetto molto alti proprio in Italia, dove gli dedicano la copertina tutte le riviste specializzate (meno Rock Hard).

Olaf e Tolkki

E tenendo a mente la recettività interiore di Olaf, è facile immaginare che l’incontro con una personalità complessa e instabile come quella di Timo Tolkki, abbia prodotto non solo dischi eccellenti (The Perfect Machine e The 25th Hour sono entrambi dei lavori a pippa di cocco) ma anche degli scambi intellettuali notevoli. Ce li vediamo i due a dibattere su Erasmo da Rotterdam e Krishnamurti tra un’incisione e l’altra. Sono anche sicuro di percepire un estratto con la voce di quest’ultimo nel brano The 25th Hour.

Il periodo con Tolkki produttore non è però semplice. Per prima cosa Smirnoff lascia la band dopo The Perfect Machine e l’album successivo poggia tutto sulle spalle di Thorsen e Luppi, la cui collaborazione fitta e proficua finisce per stroppiare i confini della buona tolleranza. Non è un caso che dopo un lavoro così impegnativo (seguito del miliare The Stream Of Consciusness) i due si separino.

E il ritorno di Lione non è che sia salutato con grande enfasi dai giornalisti. Le domande rivolte a Thorsen, in occasione di 9 Degrees West Of The Moon sono quasi tutte per le cause del divorzio con Luppi e soprattutto le strane voci intorno a Timo Tolkki. Olaf minimizza dicendo che “quell’uomo sa rendere complicato ciò che è semplice” ma se si vuol conoscere la verità, con Thorsen occorre aspettare almeno la successiva tornata promozionale.

Timo Tolkki e il tempio maledetto

Olaf è un tipo discreto ma anche uno che non le manda a dire. Mentre i Rhapsody, anche per ragioni legali non aprono bocca sul loro periodo con la Magic Circle, lui non ha paura di definire DeMaio un uomo molto piccolo, al di là dei mutandoni. E riguardo Tolkki, oggi Thorsen confermerebbe la bontà della persona, nel 2007 lo ha definito quasi come “il settimo membro della band”, ma non eviterebbe di descrivere lo sbrocco effettivo del 2008-2009, periodo che coincide anche con la fuoriuscita del chitarrista dalla sua band principale, gli Stratovarius.

L’instabilità mentale del musicista finnico finisce per fare danni anche nella produzione del disco dei Vision Divine. Timo si mette improvvisamente in testa di registrare il gruppo di Olaf come fosse una band punk-rock. Tutti in presa diretta, per catturare l’energia. Confina i musicisti in stanze diverse e li sprona a non badare agli errori. Quello che conta è la carica del sound, yeah. “Poi si corregge, state tranquilli”.

Per Fabio Lione in particolare il trattamento che gli riserva Tolkki è quasi alla stregua di un pischello di un gruppastro che deve fare un demo con mille euro. Timo gli fa cantare tutti i pezzi in otto ore. Vai, veloce, al fine di carpire la cosa lì… la “grinta live”. Azz, che grinta!

Indubbio che i risultati si sentano. Oggi 9 Degrees West Of The Moon è un lavoro “disturbato” ma che ci offre qualcosa di interessante. Pensate solo alla prestazione “alla Slayer” di Lione in The Killing Speed OfTime; vi consiglio di recuperarla. Inoltre il sound di chitarra di Olaf è molto meno controllato e rude, meno palo nel culo, per capirci. Magari l’album non sarà la solita cosa impeccabile dei Divine, è sinceramente orrido sul piano produttivo, ma è un lavoro che ci racconta delle cose. La storia di una band chiusa in una sala d’incisione con un pazzo e che non vede l’ora di uscirne viva. In simili casi, vedi Ramones e Clash, ne sono scaturiti dei capolavori, nel caso dei Divine è un mezzo disastro. Però non tutto il Tolkki è stato per nuocere. C’è tanto hard rock credibile in mezzo a quei rumori, e una delle più belle canzoni del gruppo, The Street Of Laudomia, fa la sua porca figura, con quel ritornello così dolce e fragile.

 

2012 – Odissea nello spazio

Se escludiamo il periodo 2004-2009, con quattro dischi in cinque anni, i Vision Divine hanno finito per arenarsi facendone solo altri due album nei successivi dieci.

Sì, c’è stato il ritorno di Olaf nei Labyrinth e dei cambiamenti di mercato che oggi non invogliano molto la pubblicazione di dischi nuovi. In più Lione ha finito per ridurre gli impegni, puntando su Angra e i Rhapsody con Turilli. Quindi per Thorsen, tanto per cambiare, le cose si sono complicate al punto di dover attendere un bel pezzo prima di tornare in sella con i Vision Divine.

Oggi sono vent’anni dalla nascita del gruppo e si parla di un lavoro, dal titolo allegro When All The Heroes Are Dead, qualitativamente impeccabile, un nuovo singer di classe, Ivan Giannini (Olaf ha sempre avuto culo e gusto per i cantanti) e uno scenario davvero tanto diverso da quello del 1999.

O meglio, c’è sempre da lamentarsi, volendo, sulla scena italiana. La mancanza di professionalità dei gruppi, che però sono cresciuti a livello di tecnica e di originalità e soprattutto l’assenza, ormai cronica e definitiva di uno scenario in grado di nutrire e far crescere le band, sono temi eterni.

Olaf Thorsen è sempre stato severo sull’andazzo del metal italiano, dove il metallaro è stato tutta la vita pronto a salire sul carrozzone dell’ultima moda, muovendosi in un territorio perennemente privo di location adatte ai concerti e così fesso da mandare a saturazione l’unico momento favorevole che gli sia stato favorevole (1998-2000). Il metallaro italiano, così meridionale, inguaribilmente esterofilo eccetera eccetera.

Ma rispetto a qualche anno fa, il motivo dell’insuccesso delle band nostre non è più dovuto all’assenza totale di canali promozionali favorevoli. “MTV e Allmusic ci snobbano, fortuna che c’è Rock TV… se paghi”. Ormai Rock TV è estinta e di canali ce ne sono fin troppi per farsi conoscere. Forse questo è l’eccesso che conduce allo stesso risultato: essere ignorati dal grande pubblico.

I Vision Divine restano un punto di riferimento per le giovani band nostrane. Anche se queste li snobbano e guardano magari ai Twilight Force e Dragonforce, sperando in un contratto con Nuclear Blast e Century Media, fregandosene quasi di mandare il promo alla Scarlet Records. Olaf Thorsen però, dopo aver firmato con una major per Destination Set To Nowhere, che contiene se non altro la più bella storia che abbia mai ideato e scritto, ha finito per tornare proprio all’etichetta milanese, come già anni fa. Segno ulteriore della bonaccia che tira? Di sicuro i Vision Divine ancora oggi hanno un angelo che li protegge e meritano la nostra attenzione.