Ma che bello scorrazzare sulle stradine tortuose quando le foglie ingialliscono e l’aria diventa fresca. Certo, come tutti i momenti gradevoli c’è bisogno di una colonna sonora adeguata alla situazione, e oggi mi serviva proprio qualcosa che sapesse di passato e moderno allo stesso tempo.
Inutile dire che l’ho trovato al primo colpo, si sa che sono un centauro fortunato! A soddisfare la mia voglia di un hard rock bello e coinvolgente sono arrivati i Danger Zone col loro ultimo album: Don’t Count On Heroes.
I Danger Zone sono una band storica del panorama tricolore, per un certo periodo approdata in America, purtroppo senza sfondare nel difficile mercato statunitense dei nitrenti fine 80s. Questi ragazzi bolognesi hanno deciso di riprendere a suonare nel 2011, sfornando alcuni dei più bei dischi tra hard rock e AOR.
Tornano a noi con un disco maturo e ragionato ma pieno di energia e, come sempre in casa Danger Zone, le cose sono fatte a regola d’arte; questo Don’t Count On Heroes non fa che confermarne l’alto livello di professionalità. Il lavoro di Roberto Priori alla chitarra è sempre piacevole e trascinante. Lo affiancano Danilo Faggiolino alla seconda chitarra e la voce unica di Giacomo “Giga” Gigantelli (ex cantante degli Spitsfire) rende unico il marchio stilistico della band. La formazione comprende il duo Paolo Palmieri alla batteria e Matteo Minghetti al basso: sezione ritmica ideale, precisa e potente.
Pur avendo aggiunto alla loro formula collaudata un sottofondo di tastiere, i nostri non ne risentono, anzi, il loro suono è reso più armonico e pieno grazie a Pier Mazzini sui tasti d’avorio.
Con un sound che a tratti riporta alla mente i Dokken dei tempi migliori e a volte arriva a ricordare cose più europee del passato, con aperture ampie alla Europe (mi riferisco in particolare a Rise Again e Destiny) i Danger Zone riescono a non perdere mai la marcia in più che li rende, a mio avviso, superiori a tante band straniere, ben più osannate dalla critica internazionale.
Personalmente se dovessi scegliere i brani migliori di questo disco opterei certamente per Faster Than Love e RollingThunder, due delle canzoni più movimentate, ma non posso dire che ci siano parti meno belle perché il livello generale resta alto in tutte le tracce, senza mai scadere nel già sentito: pericolo maggiore per chi fa il genere di questi fuoriclasse bolognesi.
In sostanza questo è uno di quegli album che mi sento di consigliare senza remore, gagliardo ma raffinato, classicista ma non scontato. Da ascoltare assolutamente dando gas di brutto, ovviamente a volume adeguato!